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Il sogno dell'homo felix

di Carmelo Alberti
  Naturae
Data di pubblicazione su web 20/06/2023  

Procede sul confine di un sentiero a lungo meditato tra utopia e paradosso Naturae, la realizzazione che Armando Punzo ha presentato come spettacolo inaugurale di Emerald, ovvero del 51° Festival Internazionale del Teatro, curato da Stefano Ricci e Gianni Forte (ricci/forte), edizione nella quale gli è stato assegnato il Leone d’oro alla carriera. La figura di Punzo, spesso associata in modo sbrigativo al genere teatro-carcere, incarna l’esempio di un’inconsueta carriera di teatrante, impegnato in un incessante lavoro di progettazione drammatica con la Compagnia della Fortezza, costituita in prevalenza dai detenuti della casa circondariale di Volterra.

In trentacinque anni di attività, dunque, il regista ha saputo affermare caparbiamente l’originalità di un pensiero culturale, che è possibile verificare proprio nell’episodio, per ora finale, di Naturae; la produzione, che ha alle spalle una ricerca tematico-espressiva lunga almeno otto anni, si fa iniziare da Dopo la tempesta (2016), che è stata l’occasione per fare i conti con la grandezza di Shakespeare. La svolta effettiva interviene con l’allestimento di Beatitudo (2018), quando l’artista entra in sintonia con la letteratura di Borges e, soprattutto, con i personaggi da lui descritti, quali Funes, Averroé, Pierre Menard, l’Uomo Grigio, Almotasim, Emma Zunz, Asterione, Tzui Pen, che si muovono con lievità nel “lago” di un’ambientazione fluida. Negli anni successivi Punzo e il suo gruppo s’inoltrano nel progetto Naturae, cominciando da Ouverture (2019), seguito da La vita mancata in quattro quadri, La valle dell’innocenza (2020), La valle dell’annientamento (2021) e La valle della permanenza (2022).

La sala rettangolare del Teatro alle Tese nell’Arsenale di Venezia, lungo le cui pareti sono sistemati gli spettatori, è interamente ricoperta da uno strato di luccicante e prezioso sale di Volterra, tanto che risulta simile a un deserto fertile, puro e, insieme, assoluto, infinito. Lo stesso Armando Punzo lo percorre in lungo e in largo, facendo volteggiare una sfera rossa, simbolo della speranza, officiando riti di purificazione, accompagnando attori-sacerdoti in un mondo labirintico e favolistico. Intanto, sullo sfondo e sui lati volteggiano gabbie vuote a forma di prisma, in grado di roteare sulle braccia di una galassia di figuranti, definendo attraversamenti e slanci immaginari verso molteplici direzioni, oppure sistemando una biblioteca di volumi, tra i quali è possibile annoverare Verbo degli uccelli di Farid ad-din Attar, opera prediletta dal regista.


Un momento dello spettacolo
© Stefano Vaja

Guidati dall’atmosfera acustica di Andreino Salvadori, segnata da una musica minimalista e da un canto ininterrotto, chi assiste è stimolato a lasciarsi ammaliare dal ritmo delle apparizioni e a smarrirsi nella complessità di una trama tanto impalpabile quanto suggestiva. Si mescolano, in tal modo, sprazzi di vitalità primarie, frammenti di fantasie e, ancor più, strutture di pensiero ideale che sospingono verso il mondo del sogno. Punzo diviene il cerimoniere discreto e attonito di una sarabanda umana che tende a oltrepassare i limiti del tempo, perché si tratta di superare il modello dell’homo sapiens e di affermare la condizione dell’homo felix. Il miraggio della felicità entra nella sfera di una poetica ben chiara; la Compagnia della Fortezza guarda al potere della propria vocazione alla libertà, uno slancio che consiste nel farsi di continuo domande, piuttosto che parodiare le tracce di una realtà inattiva, che annichilisce l’immaginazione e, alfine, rimanda all’inerzia di chi sta rinchiuso dietro le sbarre di una prigione.

La realizzazione di Punzo, al di là della ricchezza che il quaderno di questa “regia collettiva” sfoglia direttamente in scena, include una miriade di riferimenti non solo ai maestri della teatralità, ma soprattutto alle culture umane da Occidente a Oriente; si possono osservare i segni rituali delle religiosità arcaiche: ad esempio, il vorticare della danza dervisci fa riferimento al sufismo e ai vari stadi di elevazione; oppure i costumi, gli oggetti, le mascherature, le pittoricità dei corpi e dei volti disegnano una sapiente combinazione mistica delle colorazioni.


Un momento dello spettacolo
© Stefano Vaja

Armando Punzo accompagna con un candido sorriso la moltitudine di interpreti che agiscono nello spazio scenico; sono circa trentacinque attori, ammirevoli per la profondità degli sguardi, per la fluidità dei movimenti e per l’intensità espressiva. Ciascuno traduce consapevolmente l’idea di una catarsi utopistica, che capovolge un diffuso pensare sull’immutabilità di un’esistenza destinata solamente alla morte. Il corpo guizzante e allegro di un essere crocifisso rimanda alle parole conclusive della pièce: «Respiri segreti che si fondono in altri respiri. C’è solo questo spazio. C’è solo questo tempo. Spazio delle infinite possibilità. Un presente parallelo, che ricrea la vita». 

Gli applausi convinti hanno confermato l’accoglienza positiva del pubblico, ripetuta nell’ovazione tributata a Punzo e agli interpreti durante la cerimonia di consegna del Leone d’oro, sognando di inaugurare presto il primo teatro stabile nelle carceri di Volterra.



Naturae
cast cast & credits
 



Un momento dello spettacolo
© Andrea Avezzù
 
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