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Spazio e Cittadinanza

di Giuseppe Gario
  Spazio e Cittadinanza
Data di pubblicazione su web 19/06/2023  

«Alla fine del secondo ventennio del XXI secolo, la questione regionale, lungi dall’essere risolta, è tornata prepotentemente – e per molti versi sorprendentemente – al centro della discussione politica in molti paesi». «È cresciuta la convinzione che, nel quadro dell’economia contemporanea, le dinamiche endogene delle economie e delle società possano far crescere le disparità e che le moderne politiche di sviluppo regionale siano indispensabili. In Europa e negli Stati Uniti il dibattito è ripreso con grande vigore. Molto di più che in Italia» (G. Viesti, Centri e periferie. Europa, Italia, Mezzogiorno dal XX al XXI secolo, Roma-Bari, Laterza, 2021, p. 144). «Le variazioni della popolazione sono già e diventeranno sempre più importanti per determinare i livelli di benessere e le prospettive di sviluppo delle regioni europee». «L’immigrazione è già divenuta da tempo decisiva per il futuro economico della Germania, ma il tema riguarda e riguarderà sempre più anche i paesi mediterranei. Le politiche che influenzano i movimenti della popolazione, soprattutto giovane, all’interno o all’esterno dei paesi diverranno sempre più importanti» (ivi, pp. 163-164).

«Nell’Europa dell’inizio degli anni Venti pare comunque esserci una consapevolezza maggiore della centralità dell’azione pubblica; della necessità di garantire ai cittadini una maggiore e diffusa tutela contro i grandi rischi collettivi che sono stati messi in luce dalla pandemia, di contrastare l’esclusione sociale e le diseguaglianze, di promuovere una maggiore sostenibilità ecologica delle attività economiche e di contrastare il cambiamento climatico. E, anche per questi motivi, una maggiore attenzione a strategie di lungo termine di politica industriale volte ad accompagnare la trasformazione strutturale delle produzioni. Restano tuttavia molto forti ed influenti le voci di quanti al contrario propugnano la continuazione, se non l’intensificazione, di quegli orientamenti politici liberisti che hanno segnato il complessivo indirizzo delle politiche pubbliche. Il confronto è aperto. Ed è della massima importanza. Il problema delle periferie in Europa, come tutte le questioni legate alle diseguaglianze, è in primo luogo eminentemente politico. Prima e più della definizione tecnica di misure ed interventi, esso è legato al prevalere della convinzione nelle classi dirigenti e nei cittadini elettori che un eccesso di disuguaglianza sia nocivo per la qualità della vita collettiva e per lo sviluppo a lungo termine; e che per garantire lo sviluppo nell’accezione più ampia del termine, soprattutto nelle regioni relativamente più deboli, siano necessarie adeguate politiche pubbliche» (ivi, p. 409).

In particolare nel laboratorio Italia, pesano le «condizioni che hanno portato un paese ad accumulare un debito elevato e a ritrovarsi sotto il giogo dei mercati finanziari. In questo caso, l’illegittimità trova la sua origine in tre meccanismi: un livello elevato di spesa avente il carattere di regali al capitale; un livello basso della fiscalità diretta (imposte sui redditi, sul capitale e sul profitto delle imprese) e la sua debole progressività; un’importante evasione fiscale» (F. Chesnais, Les dettes illegitimes, Paris, Éditions Raisons d’Agir, 2011, p. 109).

Finora ci ha salvati l’area Euro, ma le coordinate strategiche sono spazio e cittadinanza.



Spazio e cittadinanza (L. Mazza, Roma, Donzelli, 2015) sono coordinate fondative. «Lo spazio è la risorsa di mediazione grazie alla quale le pratiche che ridisegnano la cittadinanza costruiscono e rappresentano l’ordine sociale. In particolare, i diritti sociali vengono negoziati nello spazio. Lo spazio è il legame chiave tra cittadinanza e governo del territorio in quanto strumento di redistribuzione, ordinamento e controllo dell’uso dello spazio» (ivi, p. 4). «Nel susseguirsi delle trasformazioni dell’idea di cittadinanza e della cultura della pianificazione, sono rimaste in sospeso due questioni chiave per la cittadinanza e per il governo del territorio: la questione della legittimazione delle decisioni dello Stato e, in particolare, delle decisioni di ordinamento dello spazio, e la questione della regolazione, strumento cardine dell’ordinamento dello spazio» (ivi, p. 6).

«Siamo dunque di fronte a un processo di lungo periodo che accompagnerebbe dalle origini tutto l’arco della vicenda cristiana. In questo modo viene messa indirettamente in discussione l’abitudine piuttosto diffusa di studiare il processo di secolarizzazione con riferimento agli ultimi duecento anni della storia europea». «È la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 il termine da cui si fa iniziare il processo di secolarizzazione, in quanto, nei limiti dell’ordinamento legale pubblico, la Dichiarazione garantiva la libertà di opinione religiosa». «Senonché, il processo di secolarizzazione e le migrazioni hanno portato alla formazione di società caratterizzate da una crescente diversità di convinzioni morali. Nozioni come comunità, bene comune, interesse collettivo, libertà, proprietà, benessere individuale e sociale sono diventate sempre più problematiche, perché è venuto a mancare il consenso attorno ai valori a cui si ispirano» (ivi, pp. 168-169). «Nell’Ottocento questo problema era stato, almeno in parte, risolto dall’idea di nazione che ha agito come una nuova forza unificatrice, l’Unità nazionale è stata un sostituto per l’unità fondata sulla religione. Poiché l’idea di nazione ha gradualmente esaurito la sua efficacia, il problema è riapparso» (ivi, p. 170).

Della nazione è rimasto solo il guscio fin dagli anni sessanta del secolo scorso, con l’evidenza che «una delle principali conseguenze della Rivoluzione Industriale è stata la riduzione del costo e l’aumento della velocità dei trasporti. Le distanze si sono ridotte ad un ritmo stupefacente. Giorno per giorno il mondo sembra diventare sempre più piccolo e società che da millenni si ignoravano praticamente a vicenda si trovano all’improvviso a contatto – o in conflitto. Nel nostro modo di agire, sia in campo politico che in quello economico, sia nel settore dell’organizzazione sanitaria che in quello della strategia militare si impone un nuovo punto di vista. Nel passato l’uomo ha dovuto abbandonare il punto di vista cittadino o regionale per acquisirne uno nazionale. Oggi dobbiamo uniformare noi stessi e la nostra maniera di pensare ad un punto di vista globale» (C.M. Cipolla, Uomini, tecniche, economie [1962], Milano, Feltrinelli, 19905).

Partita letteralmente per la tangente, la globalizzazione neoliberista ignora che «la teoria dell’ordine spontaneo può essere sostenuta o contrastata con molte argomentazioni, ma non è applicabile al mercato della terra. Quello della terra non è un vero mercato, perché la terra manca del carattere tipico di un normale bene di mercato, in quanto ha una limitata sostituibilità. La qualità della terra è determinata soprattutto dalla sua localizzazione, carattere che rende la terra una risorsa scarsa e quasi insostituibile. Il valore della terra non sta nel suo valore d’uso, come accade per un normale bene di mercato, ma nell’aspettativa di prezzi crescenti, aspettativa di solito legata alla sua poca sostituibilità». «In breve, il mercato della terra ha caratteristiche tali che gli impediscono di funzionare senza interventi di regolazione» (Mazza, Spazio e cittadinanza, cit., p. 177), ma «nel contesto della cultura neoliberista e della globalizzazione la finalità primaria delle pratiche di governo del territorio è cambiata, è diventata soprattutto la riproduzione del capitale, a questa finalità sono funzionali il controllo sociale e il ridisegno della cittadinanza» (ivi, p. 181).

Di fatto, «il fenomeno chiamato ellitticamente “globalizzazione” non è omogeneo. Gli effetti sulla popolazione risultano indubbiamente e rapidamente “globalizzati”, ma quelli sulla distribuzione delle risorse, no». «Nessuna illusione: le soluzioni le dobbiamo trovare noi, come sempre, col biblico “sudore della nostra fronte”» (L.L. Pasinetti, Dottrina sociale della Chiesa e teoria economica, Milano, Vita e Pensiero, 2012, p. 81). La terra è riproducibile su carte e mappamondi, ma sul mercato è solo appropriabile anche con le PMC (Compagnie Militari Private), che forniscono contractor (soldati professionisti) e, vincolate agli stati committenti da contratti e leggi, alla svolta del millennio hanno lavorato per UK, USA, Turchia e per la Russia di Putin, dove però non sono legali e ufficialmente non esistono (come afferma Eleonora Tafuro Ambrosetti, ricercatrice Centro Russia, Caucaso e Asia Centrale ISPI, intervistata da Laura Silvia Battaglia l’8 giugno 2023 a Radio3 Mondo, Le milizie di Gazprom).

Il profitto viene dalle risorse del territorio, quelle umane se non da smaltire perché problematiche, inclusi i centosessanta milioni di bambini costretti a lavorare (+8,4 milioni in quattro anni, UNICEF-ILO). In USA, unico paese occidentale a non ratificare la convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, vari stati stanno autorizzando il lavoro minorile in occupazioni più pericolose, per un maggior numero di ore e in ruoli più ampi, dai quattordici anni in su (dati riportati da Anna Lombardi, corrispondente da New York di Repubblica intervistata da Roberto Zicchitella il 12 giugno 2023 a Radio3 Mondo, Contro il lavoro minorile).

Spazio di potere senza cittadinanza che la Russia di Putin vuole estendere in Ucraina con l’occhio all’UE post-Brexit, dove «il Parlamento europeo ha votato a maggioranza (422 voti a favore), con 144 voti contrari (tra cui quelli dei parlamentari di Fratelli d’Italia e della Lega) e 33 astenuti, una mozione che chiede di sospendere la presidenza semestrale che spetterebbe all’Ungheria (luglio-dicembre 2024) e alla Polonia (gennaio-giugno 2025). Per i parlamentari europei, il Consiglio dei ministri non può essere presieduto da due governi che sono e continuano a essere sottoposti a procedura per violazioni dello stato di diritto (Art. 7, Trattato dell’Ue), violazioni che hanno condotto anche alla sospensione dei finanziamenti del bilancio europeo (tra cui quelli di Next Generation Eu) spettanti a quei governi. L’abolizione dell’indipendenza del potere giudiziario non è questione di lana caprina. Non solo impedisce di proteggere i diritti individuali, ma anche al mercato unico di funzionare. La cosa è seria». «Se fossero Paesi esterni all’Ue, e facessero oggi domanda per entrare in quest’ultima, la loro domanda non potrebbe essere accettata». «La fusione tra il livello europeo e nazionale è l’esito di una colpevole ignoranza relativa al funzionamento di unioni di stati asimmetrici e con identità nazionali differenziate. Con la stessa ignoranza, si sostiene l’allargamento dell’Ue a paesi ancora più disomogenei, che avranno poi diritto alla loro presidenza di turno. Fusione e allargamento costituiscono una miscela per l’implosione dell’Ue». «Se i sovranisti mirano a svuotare l’Ue dall’interno, i ‘poeti’ del bricolage istituzionale sono lì ad aprir loro la porta» (S. Fabbrini, Perché Orban e Morawiecki non sono l’Europa, in «Il Sole 24 ore», 4 giugno 2023, pp. 1 e 7).

«L’attuale generalizzato sentimento contrario alla politica organizzata, l’appello a una presunta naturale sapienza della gente comune che non supera la soglia dei giudizi e dei pregiudizi individuali, la tendenza a dare voce immediata in politica a umori prepolitici, superando d’un balzo ogni istanza organizzata intermedia, sentita come impaccio, diaframma e tradimento, sono tutti segni attuali dell’adulazione del popolo, del tentativo di tenerlo in una condizione infantile, per poterlo meglio controllare». «Abbasso le istituzioni, viva il popolo! Questo potrebbe essere il motto dei demagoghi del nostro tempo: un motto che è un’arma potente perché assume il linguaggio della democrazia radicale e si rivolge, per travolgerlo, contro tutto ciò che – parlamento, istanze e procedure di discussione, controllo e garanzia – fa perder tempo e sembra disperdere e vanificare la forza pura che proviene dal popolo. Quando il popolo si è espresso – si dice – nessun intralcio è lecito» (G. Zagrebelsky, Il “Crucifige!” e la democrazia, Torino, Einaudi, 1995, pp. 115-116).

«L’insostituibile matrimonio tra democrazia e mercato potrà riprendere slancio assicurando la formazione di una nuova classe media; e difendendo l’idea di cittadinanza, intesa come pratica e non come mera enunciazione: per non rischiare, altrimenti, di dare spazio e una combinazione tra oligarchia e autocrazia o addirittura alla dittatura» (S. Carrubba, Mercato-democrazia, un’unione fragile, in «Il Sole 24 ore», “Domenica”, p. II). «Nella politica, la mitezza, per non farsi irridere come imbecillità, deve essere una virtù reciproca. Se non lo è, ad un certo punto prima della fine, bisogna rompere il silenzio e cessare di subire» (Zagrebelsky, Il “Crucifige!”, cit., p. 120).

«E ciò comporta, da un punto di vista che è rilevante proprio per gli economisti, maggiore attenzione a quelle caratteristiche che sono radicalmente nuove e tanto marcate nella nostra società, come la necessità della protezione dell’ambiente a livello globale e la crescente rilevanza del principio della destinazione universale dei beni» (Pasinetti, Dottrina sociale, cit., p.121). Spazio e cittadinanza.








 
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