Un Giardino che straborda oltre i limiti dello spazio scenico,
invadendo di petali bianchi la soglia del Saloncino “Paolo Poli” del Teatro
della Pergola e liberando perfino i suoi personaggi, che prima dellinizio
dello spettacolo “accolgono” il pubblico, seduti fra borse e bagagli nel foyer,
per guidarlo in una specie di processione rituale fino al luogo della
rappresentazione. Il Giardino è «una
nave scuola straordinaria su cui imbarcare anche lo spettatore», afferma il
regista Roberto Bacci nel programma
di sala. Lo sforzo di coinvolgimento diretto dello spettatore è, in effetti,
tangibile e suona come un segnale, una chiamata e allo stesso tempo un avviso:
“spettatrice, spettatore, riprendi il posto che ti spetta qui”.
Bacci mette in scena per la terza
volta il capolavoro čechoviano in un allestimento delicato ed essenziale, con
le luci di Samuele Batistoni,
dominato da pochi colori: il bianco irreale del tappeto di petali che tracima
ovunque, lamaranto e il porpora che screziano il pesante tendaggio sul fondo,
la palette di beige, panna e giallini
dei costumi sobri disegnati da Elena
Bianchini (con leccezione del vestito più ricercato e rosso squillante di
Ljuba) e realizzati dal Laboratorio dArte del Teatro della Pergola. Un momento dello spettacolo © Roberto Palermo
Il testo, rappresentato per la
prima volta nel 1904 al Teatro dArte di Mosca sotto la direzione di Stanislavkij e Nemirovič-Dančenko, è stato adattato per questa edizione da Stefano Geraci. Loperazione di Geraci,
coadiuvata dal regista, ha puntato a rimodellare lopera con piccoli tagli
(alle battute dei personaggi “minori” come Piščik, per esempio) e grandi
cuciture (quelle tra i quattro atti originari, sciolti sostanzialmente in un continuum spettacolare), lasciando in
qualche caso anche un certo spazio alla libertà creativa e “improvvisativa”
degli attori (come nella scena dei giochi di prestigio di Charlotte). La linea
del testo scorre dunque senza soluzione di continuità e senza interventi troppo
invasivi per unora e quaranta minuti, arrancando un po sul finale che sembra
non arrivare mai a compimento (e qui qualcosa si sarebbe potuto tagliare).
Bacci ha voluto inoltre costellare
il lavoro di molti inserti musicali (con protagonista la fisarmonica di Davide Diamanti) e momenti cantati ben
riusciti, che accentuano la nostalgica e profonda leggerezza di unopera particolare,
sempre sospesa fra dramma e levità. Un momento dello spettacolo © Roberto Palermo
Una levità ambigua, come i
trucchi e le “magie” della bizzarra Charlotte interpretata da una spiritosa e
coinvolgente Nadia Saragoni, o come la
bestialità amorosa del servo Jaša (Alberto
Macherelli Bianchini) che seduce una delicata Dunjaša (Annalisa Limardi). Tra le prove degli altri interpreti – alcune
oggettivamente complicate dalla grossa sfasatura di età fra attore e
personaggio – spicca quella ottima di Davide
Arena, efficace Piščik, proprietario terriero decaduto, sempre alla ricerca
di denaro. Meno convincente il vecchio Firs di Ghennadi Gidari che tradisce la difficoltà, per attrici e attori
ancora allinizio del loro percorso di vita e professionale, di dare corpo a un
personaggio carico non solo di anni ma soprattutto di una fedeltà dura,
nostalgica e insieme quasi ottusa, a un passato lontano e irrecuperabile: un
sentimento che è un pozzo senza fondo per le riflessioni che stimola e che
conferisce a Firs un ruolo davvero molto particolare, “chiave” di tutta la
vicenda čechoviana, e che Gidari risolve invece involontariamente in gran parte
solo in caricatura.
Un momento dello spettacolo © Roberto Palermo
Vivificare uno spazio lasciato
“aperto”, senza quinte o barriere forti, è stata una prova comunque non da poco
per le giovani attrici e i giovani attori del Teatro della Toscana. Il rischio
di unestrema staticità o, al contrario, di una dispersione incontrollata è
stato però scongiurato: il movimento collettivo e quelli individuali sono stati
elaborati, composti e restituiti in una tela variegata e brillante senza
intoppi, in una danza policentrica curata nei dettagli e nelle pose.
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