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Bellezza specchiata nel tempo e nel disinganno

di Carmelo Alberti
  Il trionfo del tempo e del disinganno
Data di pubblicazione su web 29/05/2023  

Dinanzi allo specchio che riflette inerte l’immagine di chi si guarda, la figura di Bellezza s’interroga dubbiosa sulla peculiarità del suo splendore; Piacere la rassicura perché, se osserverà i suoi dettami edonistici, rimarrà per sempre uguale a se stessa. A contraddirlo intervengono Tempo e Disinganno, che insistono invece sulla caducità del bello. Su tale schema dialettico s’avvia Il trionfo del tempo e del disinganno (ovvero: La bellezza ravveduta nel trionfo del tempo e disinganno) di Georg Friedrich Händel, rappresentato a Roma nella primavera del 1707 su libretto del cardinale Benedetto Pamphilj. L’oratorio in due parti è ora andato in scena con successo al Teatro Malibran di Venezia, in una produzione dal Teatro La Fenice, con la direzione di Andrea Marcon e con la regia, le scene, i costumi e le coreografie di Saburo Teshigawara.

Il giovane musicista tedesco, giunto in Italia, ha modo di esibirsi nei palazzi della nobiltà romana, mostrando non solo le sue abilità di organista, ma anche quelle di compositore eclettico, pronto a rimodulare gli spunti creativi che coglie intorno a sé. L’oratorio, alquanto sterile dal punto di vista drammatico, sviluppa in chiave allegorica un’intensa disputa di natura morale; è la sorprendente creatività di Händel a determinare una ricaduta teatrale efficace e innovativa, a tal punto che il musicista lo rielabora nel 1737 e, poi in versione inglese, nel 1757, oltre a trasferire alcuni passi in altre sue opere. Considerando, dunque, la struttura chiusa, basata sui recitativi e sulle arie, l’azione è definita dalle ripetute variazioni e dall’intensità del virtuosismo vocale.


Un momento dello spettacolo  © Michele Crosera
Una scena dello spettacolo
© Michele Crosera

Il maestro Marcon guida con impareggiabile bravura l’Orchestra della Fenice, composta da due flauti, due oboi, un fagotto, due cembali, un organo, due tiorbe e dagli archi, sottolineando le sfumature di una partitura dai toni struggenti. Per suo merito, in modo coerente, gli strumentisti dialogano con i cantanti e sviluppano le scale canore sulla scia di una continua modulazione, innalzando e, talvolta, attenuando la sonorità. Il confronto tra i sentimenti delle quattro figurazioni si sviluppa in uno spazio neutro, giocato sul contrasto simbolico bianco-nero, buio-luce, nel quale il regista-coreografo Saburo Teshigawara, premiato con il Leone d’oro alla carriera nella Biennale-Danza del luglio 2022, ha tracciato un armonico intreccio tra musica e corporeità: quattro danzatori, Rihoko Sato, Alexandre Ryabko, Javier Ara Sauco e lo stesso Saburo, disegnano con rigore un movimento parallelo alla presenza quasi statuaria dei cantanti, ai quali si suggeriscono spostamenti minimali, seppure significativi, entro l’evoluzione di quattro cornici cubiche movimentate dai ballerini. L’insieme trasmette una velata e diffusa malinconia, che sfocia talvolta nella tragicità e, insieme, nel desiderio dell’oblio.


Un momento dello spettacolo  © Michele Crosera
Una scena dello spettacolo
 © Michele Crosera

Particolarmente apprezzati sono stati gli interpreti, distinti ciascuno da un differente ruolo metaforico, anche quando si uniscono in duetti e quartetti; la loro bravura si ammira ancor più quando debbono affrontare agilità e vocalizzi. La dubbiosa Bellezza è espressa con proprietà dal soprano Silvia Frigato, che esprime in nove arie l’intenso dilemma tra il godimento e la moderazione in un viaggio lungo il tracciato della conoscenza. Piacere è reso da Giuseppina Bridelli con l’eleganza e la consapevolezza di una figura che in ben sei arie assume interamente su di sé la funzione del contraddittorio; è toccante per intensità la sua esecuzione dell’aria «Lascia la spina / cogli la rosa», ripresa da Händel nel Rinaldo («Lascia ch’io pianga»). La contralto Valeria Girardello sostiene con sicurezza la parte di Disinganno in cinque arie dai preziosi toni meditativi. Nelle vesti di Tempo si afferma il tenore Krystian Adam, con quattro arie in cui si manifesta la cupa tragicità del vivere.

Nel finale la sfida tra verità (Bellezza: «Con troppe chiare note / la verità mi chiama») ed edonismo (Piacere: «Se l’inganno è il mio solo alimento / come viver io posso nel vero? ») celebra la metamorfosi di Bellezza il cui inno s’innalza al cielo avvolta nell’abbraccio impalpabile di un candido angelo bianco.




Il trionfo del tempo e del disinganno



cast cast & credits
 
trama trama

Un momento dello spettacolo © Michele Crosera
Un momento dello spettacolo
 © Michele Crosera




 
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