Già
nel repertorio del maggiore teatro genovese, il dramma di Bertolt Brecht viene
riallestito da una compagnia rinnovata e giovanile. In particolare, è la
giovane Elena Gigliotti a raccogliere la sfida dun confronto con i
registi storici, Luigi Squarzina e Marco Sciaccaluga. Le loro
edizioni fanno da sfondo al suo approccio allopera, sentita impegnativa, ma
molto stimolante.
Con
umiltà e decisione lartista affronta un progetto interpretativo coerente ed
espressivamente efficace. Malgrado basi e suffraghi le sue lunghe Note di regia su considerazioni più
storiche e sociologiche che drammaturgiche, in palcoscenico svolge un
adattamento funzionale allampio rifacimento del testo che muta il registro del
linguaggio originale. Alla fantasia poetica che informava i fatti, anche
storici, elaborati dallautore, preferisce le immagini in movimento e i suoni
delle parole ripresi dalle cronache insistenti dei media nostri contemporanei.
Nel
1939 Brecht riusciva a implicarci universalmente nelle guerre attuali,
alludendo a quella dei Trentanni nel Seicento e saprebbe adesso coinvolgerci in
quelle del Duemila con lo stesso testo (tradotto da Saverio Vertone),
tanta è lintelligenza e lenergia drammatica della sua parola. Gigliotti
sembra non fidarsi di quel potere evocativo e costruttivo della verità poetica.
Si prodiga nel riscrivere scenicamente il testo per ambientare la vicenda in
conflitti riconoscibili e a noi vicini, in un linguaggio aderente alle
condizioni attualizzate dellambiente e dei protagonisti. Così i costumi di Carlo
De Marino sattagliano a personaggi di provenienze disparate, dalla
gestualità genericamente quotidiana e volgare. Il parlato riproduce limpasto
multilingue, ricalcato su modelli provenienti da fiction e documentari recenti,
comprese le varianti e le storpiature dialettali. La fedeltà al reale è quella
del registratore, del video o del podcast. Le pronunce mediterranee saccostano
a quelle dei paesi balcanici e slavi. Accenti anglosassoni garantiscono la par
condicio, nel rispecchiare il neocapitalismo globalizzato. Il verismo del
dialogo, accentuato dalla recitazione, non sollecita giudizi e confronti a
mente fredda e distaccata, come auspicava lautore. Più fantasiosi e liberi
però suonano i songs, sia i nuovi,
sia quelli di Dessau, rielaborati dallelettronica sofisticata di Matteo
Domenichelli per laccompagnamento e limmersione in un musical dai ritmi
techno e afro – e rutilante di luci e fumogeni. 
Un momento dello spettacolo © Federico Pitto
Il
dispositivo scenico usa la pedana girevole sulla quale ruota o avanza il
veicolo della venditrice. La sua carretta costituisce uno strano anacronismo –
fra i tanti plausibili e necessari alladattamento – per la struttura
artigianale in legno, ruote massicce e traino a stanga. Limmaginazione
sattendeva forse un camper o un furgone da rottamare. Poiché anche
la merce della Ditta Courage è aggiornata con gli anfibi e i mitra, pubblicizza
il logo McDonald nello spaccio fast food, corredato di mezzi elettronici, come
la slot machine che sorteggia il destino infausto dei figli.
La
scena è alquanto arredata e colorata, inserita in un palcoscenico aperto,
collegato alla sala, in uno spazio agibile agli scambi. I video proiettati di Daniele
Salaris forniscono immagini ridondanti, quando si sovrappongono alle
coreografie di Claudia Monti che amplificano i sentimenti in movimento,
li traducono in supplemento di sensibilità e demozione. Ne nasce un tempo
ritmato, concesso allineffabilità della parola, oppressa o distorta dal dolore
intollerabile. Così si concentrano i momenti tragici, quali la morte di
Schweizerkas, che si dilata in danza con la madre e si protrae in addio
straziante, e la fine di Kattrin, anchessa prolungata ritualmente nella
ninna-nanna che le sussurra la madre, finché non risorge in lei la voce che le
permette di cantare lultima canzone.
La
distribuzione pare bene assortita e funzionale, con molti attori in più ruoli. Simona
Guarino, “comica” caratterista di vaglia, offre una figura solida e
simpaticamente prosperosa alla capofamiglia aggiogata, ma indomita e fiera.
Maschera di gran duttilità, figura infagottata a strati multicolore, usa il
megafono per imbonire, rimproverare, supplicare e blandire il popolo di eterni
erranti al quale appartiene senza confondervisi. Popolana intelligente e
schietta, sprizza saggezza pragmatica e spirito di adattamento. Le sue risate
denunciano latrocità a cui cerca di sopravvivere. Capace di crudeltà
masochista, quando disconosce il figlio nel cadavere che le giace dinanzi. A
suo tempo, Sciaccaluga regista coglieva, nellavvento scenico della
protagonista, la «grandezza e miseria duna povera capitalista». Ella non
scamperà, insieme con i figli covati gelosamente, alla rovina per fedeltà a
oltranza ai suoi principi, pure moralmente riprovevoli. 
Un momento dello spettacolo © Federico Pitto
Il
gruppo di famiglia appare paradossalmente armonico nei contrasti. Il figlio
maggiore, Eilif, è reso da Aleksandros Memetaj (dalta statura e con
cappello elegante) secondo una violenza rattenuta che parrebbe ieraticità, se
non prepotenza in millantato eroismo, lodato dal superiore. Sebastiano
Bronzato raffigura il giovane Schweizerkas (berretto rosso sui riccioli
neri), figura dellincoscienza innocente. La muta Kattrin è interpretata da Didì
Garbaccio Bogin, vibrante di tensione mimica rafforzata dalla perdita della
voce. Il generale di Andrea Nicolini (anche vecchio colonnello e dolente
contadino) ricorda Fidel Castro nel
berretto. Il cappellano trova in Alfonso Postiglione un prelato
ossequioso, gregario di vocazione, dallappetito insaziato e incline ai piaceri
sensuali. Aldo Ottobrino dà slancio alla verbosità del cuoco, in gara
culinaria con Courage. Nella tentata convivenza con la donna (scena IX)
manifesta tortuose ragioni e necessità. Spicca infine, nellepico sarcasmo,
lesasperazione della sua Canzone di
Salomone, eseguita in sala fra gli spettatori plaudenti. Yvette Pottier
(Esela Pysqyli) esalta ironicamente il ruolo espressionista della puttana,
giocando alla seduzione, risibile e patetica con sonorità tipiche del suo
albanese autentico. Sarah Pesca passa dalla soldatessa (ma con croce
impugnata), alla donna bendata e alla contadina, pietosa quando veglia Kattrin
morente. Matteo Palazzo è il reclutatore e Ivan Zerbinati un sergente
nervoso che doppia tanti soldati logorati dalla guerra.
La
dedizione totale e appassionata della regista al soggetto è il contributo forse
maggiore al lavoro. Assecondata da compagni fiduciosi nella sua guida, compone
uno spettacolo generoso, vivace, luminoso. Se alcune soluzioni stilistiche
risultano inadeguate alla resa critica di unopera tanto storicamente
condizionata ed esteticamente complessa e polivalente, il gesto rigenerativo
impresso alla rappresentazione e lurgenza comunicativa del suo messaggio
costituiscono apprezzabile e lodevole novità.
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