drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Il carro della vivandiera è sempre pesante

di Gianni Poli
  Madre Courage e i suoi figli
Data di pubblicazione su web 20/05/2023  

Già nel repertorio del maggiore teatro genovese, il dramma di Bertolt Brecht viene riallestito da una compagnia rinnovata e giovanile. In particolare, è la giovane Elena Gigliotti a raccogliere la sfida d’un confronto con i registi storici, Luigi Squarzina e Marco Sciaccaluga. Le loro edizioni fanno da sfondo al suo approccio all’opera, sentita impegnativa, ma molto stimolante.

Con umiltà e decisione l’artista affronta un progetto interpretativo coerente ed espressivamente efficace. Malgrado basi e suffraghi le sue lunghe Note di regia su considerazioni più storiche e sociologiche che drammaturgiche, in palcoscenico svolge un adattamento funzionale all’ampio rifacimento del testo che muta il registro del linguaggio originale. Alla fantasia poetica che informava i fatti, anche storici, elaborati dall’autore, preferisce le immagini in movimento e i suoni delle parole ripresi dalle cronache insistenti dei media nostri contemporanei.

Nel 1939 Brecht riusciva a implicarci universalmente nelle guerre attuali, alludendo a quella dei Trent’anni nel Seicento e saprebbe adesso coinvolgerci in quelle del Duemila con lo stesso testo (tradotto da Saverio Vertone), tanta è l’intelligenza e l’energia drammatica della sua parola. Gigliotti sembra non fidarsi di quel potere evocativo e costruttivo della verità poetica. Si prodiga nel riscrivere scenicamente il testo per ambientare la vicenda in conflitti riconoscibili e a noi vicini, in un linguaggio aderente alle condizioni attualizzate dell’ambiente e dei protagonisti. Così i costumi di Carlo De Marino s’attagliano a personaggi di provenienze disparate, dalla gestualità genericamente quotidiana e volgare. Il parlato riproduce l’impasto multilingue, ricalcato su modelli provenienti da fiction e documentari recenti, comprese le varianti e le storpiature dialettali. La fedeltà al reale è quella del registratore, del video o del podcast. Le pronunce mediterranee s’accostano a quelle dei paesi balcanici e slavi. Accenti anglosassoni garantiscono la par condicio, nel rispecchiare il neocapitalismo globalizzato. Il verismo del dialogo, accentuato dalla recitazione, non sollecita giudizi e confronti a mente fredda e distaccata, come auspicava l’autore. Più fantasiosi e liberi però suonano i songs, sia i nuovi, sia quelli di Dessau, rielaborati dall’elettronica sofisticata di Matteo Domenichelli per l’accompagnamento e l’immersione in un musical dai ritmi techno e afro – e rutilante di luci e fumogeni.

Una scena dello spettacolo ©Federico Pitto
Un momento dello spettacolo
© Federico Pitto

Il dispositivo scenico usa la pedana girevole sulla quale ruota o avanza il veicolo della venditrice. La sua carretta costituisce uno strano anacronismo – fra i tanti plausibili e necessari all’adattamento – per la struttura artigianale in legno, ruote massicce e traino a stanga. L’immaginazione s’attendeva forse un camper o un furgone da rottamare. Poiché anche la merce della Ditta Courage è aggiornata con gli anfibi e i mitra, pubblicizza il logo McDonald nello spaccio fast food, corredato di mezzi elettronici, come la slot machine che sorteggia il destino infausto dei figli.

La scena è alquanto arredata e colorata, inserita in un palcoscenico aperto, collegato alla sala, in uno spazio agibile agli scambi. I video proiettati di Daniele Salaris forniscono immagini ridondanti, quando si sovrappongono alle coreografie di Claudia Monti che amplificano i sentimenti in movimento, li traducono in supplemento di sensibilità e d’emozione. Ne nasce un tempo ritmato, concesso all’ineffabilità della parola, oppressa o distorta dal dolore intollerabile. Così si concentrano i momenti tragici, quali la morte di Schweizerkas, che si dilata in danza con la madre e si protrae in addio straziante, e la fine di Kattrin, anch’essa prolungata ritualmente nella ninna-nanna che le sussurra la madre, finché non risorge in lei la voce che le permette di cantare l’ultima canzone.  

La distribuzione pare bene assortita e funzionale, con molti attori in più ruoli. Simona Guarino, “comica” caratterista di vaglia, offre una figura solida e simpaticamente prosperosa alla capofamiglia aggiogata, ma indomita e fiera. Maschera di gran duttilità, figura infagottata a strati multicolore, usa il megafono per imbonire, rimproverare, supplicare e blandire il popolo di eterni erranti al quale appartiene senza confondervisi. Popolana intelligente e schietta, sprizza saggezza pragmatica e spirito di adattamento. Le sue risate denunciano l’atrocità a cui cerca di sopravvivere. Capace di crudeltà masochista, quando disconosce il figlio nel cadavere che le giace dinanzi. A suo tempo, Sciaccaluga regista coglieva, nell’avvento scenico della protagonista, la «grandezza e miseria d’una povera capitalista». Ella non scamperà, insieme con i figli covati gelosamente, alla rovina per fedeltà a oltranza ai suoi principi, pure moralmente riprovevoli.

Una scena dello spettacolo ©Federico Pitto
Un momento dello spettacolo
© Federico Pitto

Il gruppo di famiglia appare paradossalmente armonico nei contrasti. Il figlio maggiore, Eilif, è reso da Aleksandros Memetaj (d’alta statura e con cappello elegante) secondo una violenza rattenuta che parrebbe ieraticità, se non prepotenza in millantato eroismo, lodato dal superiore. Sebastiano Bronzato raffigura il giovane Schweizerkas (berretto rosso sui riccioli neri), figura dell’incoscienza innocente. La muta Kattrin è interpretata da Didì Garbaccio Bogin, vibrante di tensione mimica rafforzata dalla perdita della voce. Il generale di Andrea Nicolini (anche vecchio colonnello e dolente contadino) ricorda Fidel Castro nel berretto. Il cappellano trova in Alfonso Postiglione un prelato ossequioso, gregario di vocazione, dall’appetito insaziato e incline ai piaceri sensuali. Aldo Ottobrino dà slancio alla verbosità del cuoco, in gara culinaria con Courage. Nella tentata convivenza con la donna (scena IX) manifesta tortuose ragioni e necessità. Spicca infine, nell’epico sarcasmo, l’esasperazione della sua Canzone di Salomone, eseguita in sala fra gli spettatori plaudenti. Yvette Pottier (Esela Pysqyli) esalta ironicamente il ruolo espressionista della puttana, giocando alla seduzione, risibile e patetica con sonorità tipiche del suo albanese autentico. Sarah Pesca passa dalla soldatessa (ma con croce impugnata), alla donna bendata e alla contadina, pietosa quando veglia Kattrin morente. Matteo Palazzo è il reclutatore e Ivan Zerbinati un sergente nervoso che doppia tanti soldati logorati dalla guerra.

La dedizione totale e appassionata della regista al soggetto è il contributo forse maggiore al lavoro. Assecondata da compagni fiduciosi nella sua guida, compone uno spettacolo generoso, vivace, luminoso. Se alcune soluzioni stilistiche risultano inadeguate alla resa critica di un’opera tanto storicamente condizionata ed esteticamente complessa e polivalente, il gesto rigenerativo impresso alla rappresentazione e l’urgenza comunicativa del suo messaggio costituiscono apprezzabile e lodevole novità.




Madre Courage e i suoi figli
cast cast & credits
 

Una scena dello spettacolo ©Federico Pitto
Un momento dello spettacolo
 © Federico Pitto



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013