Vincitore
dellambito Prix du scénario al 75° Festival di Cannes e, in seguito, candidato
svedese per la corsa allOscar 2023 come miglior film internazionale, La
cospirazione del Cairo (Boy from Heaven) è sicuramente uno dei
titoli più incisivi e memorabili di questa stagione. Tarik Saleh,
regista e sceneggiatore di origini egiziane ma nato a Stoccolma, ha saputo convogliare
in questo progetto una serie di tematiche spinose fornendo numerosi spunti di
riflessione. Il titolo in oggetto può essere inteso come un prosieguo del percorso
intrapreso nel 2017 con Omicidio al Cairo (The Nile Hilton Incident),
thriller politico incentrato sulla figura di un detective – inizialmente sulle
tracce di un serial killer – che si troverà in seguito a fronteggiare facoltosi
e intoccabili uomini di potere. Proprio per questopera sarà bandito a vita
dallEgitto.
In
questultima sua fatica è lampante lintenzione di denunciare il regime di Abdel
Fattah al-Sisi (in carica dal 2014), colpevole di manomettere i media e di
pilotare a proprio piacimento landamento del Paese, occultando crimini e
misfatti come nei casi tristemente noti di Giulio Regeni e di Patrick
Zaki. Ma lautore si sofferma anche sulle ipocrisie negli ambienti di
potere, dal mondo laico a quello religioso (quando si dice limportanza della
settima arte per comprendere il nostro presente). Tralasciando aspetti relativi
a momenti di alta tensione sorretti da unineccepibile impalcatura drammaturgica,
il quinto lungometraggio del regista classe 1972 è inquadrabile anche come una
sorta di romanzo di formazione, con un giovane protagonista chiamato, suo
malgrado, a dirottare un treno lanciato verso unincontrovertibile e cieca
corsa.
Una scena del film
Il
giovane e timido Adam (Tawfeek Barhom), figlio di un pescatore e orfano
di madre, viene ammesso con profonda sorpresa di tutti alla prestigiosa Università
al-Azhar – la massima organizzazione accademica e culturale dellislamismo
sunnita –, ubicata attorno allomonima moschea della capitale egiziana. Durante
il discorso di benvenuto ai nuovi studenti, il Grande Imam ha un malore e di lì
a poco spira. Da quel momento ha inizio la macchinazione dei servizi segreti
egiziani per sostituirlo con un Imam dalle idee e dai comportamenti
filo-presidenziali, con conseguenti spaccature interne, contraddizioni e
ambiguità. Poco dopo la morte del capo spirituale, Adam assiste al brutale assassinio
di un suo compagno di studi, proveniente da un altro paese (forse un richiamo
al nostro Regeni?). Questo episodio innesca il suo assoldamento da parte del colonnello
della polizia Ibrahim (Fares Fares), il quale lo costringerà a diventare
un vero e proprio informatore, scagliandolo come agnello sacrificale in un
ginepraio di dissimulazioni, fughe, tradimenti e compromessi, “pedone” di una
scacchiera dalle maestose proporzioni.
Una scena del film
Quello
con lEgitto è per il regista un rapporto stratificato: patria dei genitori e
luogo in cui, poco più che ventenne, ha vissuto e studiato in un istituto
darte, prima di ritornare in Svezia e cominciare una carriera prima televisiva
e poi cinematografica. Lesotismo di questo thriller ammicca a certe
macchinazioni hitchcockiane come in The Man Who Knew Too Much (1934) e come
nel successivo The 39 Steps (1935), per non parlare dellanalogia tra il
personaggio di Adam e quello di Roger Thornhill (Cary Grant) in North
by Northwest (1959). Tutti questi personaggi, così come il protagonista de La
cospirazione del Cairo, riescono a cavarsela grazie a una dose di fortuna
ma anche grazie ad acume, competenze e conoscenze. Al centro del film di Saleh un
potere che serpeggia tra i personaggi, di difficile definizione e collocazione
come in certi romanzi sciasciani, che muta gli animi degli uomini guidandoli su
sentieri erti e deprecabili. Per quanto riguarda il contesto ambientale è
indovinata la scelta di ambientare le vicende proprio nellaccademia di al-Azhar,
nella quale si sono registrati numerosi casi di radicalizzazioni, tra i
più celebri quello di un ex studente poi divenuto uno degli attentatori del
Bataclan.
Una scena del film
Più
che gli eventi e le azioni, emergono la natura dei personaggi e i compromessi
ai quali questi sono disposti a scendere in nome di un bene individuale ma anche
collettivo. La violenza non è mai mostrata direttamente ma solo suggerita, tra
minacce di morte e di tortura edulcorate da note ironiche, come ad esempio laccostamento
di uneffigie del dittatore egiziano alla maglia incorniciata e autografata del
celebre calciatore Mohamed Salah. A spiccare nel comparto
attoriale è il navigato Fares, nei panni di un personaggio costruito in maniera
egregia, capace di condensare imprevedibilità, sarcasmo ma anche comportamenti
decisi e senza scrupoli. Nota di merito anche per il protagonista Barhom,
ineccepibile nel restituire ansia, tensione e paura tramite una quasi
impercettibile mimica facciale.
Intraprendente
anche il montaggio, formidabile nel conferire ritmo alle immagini e funzionale
nellimbastire una sempre crescente tensione, talvolta stroncata sul nascere da
una scrittura e da una regia prudenti, controllate e tutto sommato solide.
Altro encomio spetta al reparto fotografia, abile nel valorizzare spazi bui e
angusti contrapponendoli con naturalezza e maestria ad assolate piazze, con
suggestive messe a fuoco. Una prova, insomma, che fa ben sperare
nellaffermazione di un autore in grado di maneggiare, con coraggio, questioni a
dir poco urgenti.
|
|