Bruxelles è una fucina di idee e di
sperimentazioni contemporanee di danza; basti pensare alla scuola Mudra di Maurice Béjart
– a partire dagli anni Settanta – e ad Anne Teresa de Keersmaeker. Nel territorio
belga ha trovato terreno fecondo anche il danzatore e coreografo svizzero Thomas
Hauert con la sua compagnia ZOO, fondata nel 1998.
Al pubblico de La democrazia del corpo
Hauert propone Efeu, dove il coreografo stesso si presenta come interprete
insieme a Sarah Ludi, Samantha Van Wissen e Federica Porello.
Si tratta di unintrigante ricerca sul corpo e sulla fusione tra organismi, in
cui i danzatori – singolarmente, attraverso pas de deux o in formazione
– mettono al bando ogni spazio vitale e ogni tacita regola di distanziamento
sociale, tornando a un “io” primitivo e libero da sovrastrutture. Il termine
tedesco Efeu significa “edera”: i corpi danzanti, esplorandosi a vicenda
tramite la mera osservazione ma anche attraverso una vicendevole intersezione,
invadono lindividualità dellaltro come fanno, appunto, ledera o le piante
rampicanti con dimore, tralicci e altri arbusti.
Un momento dello spettacolo
© Bart Grietens
Lintento di ZOO sembra allinearsi al
movimento tedesco, a cavallo tra Otto e Novecento, denominato Lebensreform,
favorevole a un ritorno alla natura attraverso vari precetti e al quale
aderirono anche Rudolf Laban e Isadora Duncan. Nella performance
di Hauert si invita a vivere la natura instaurando con essa un rapporto di
interdipendenza e allo stesso tempo di libertà, provando a rinnegare – o ad
abbandonare per un momento – lartificialità di cui nei secoli ci siamo
circondati. Efeu esplora i sentimenti, ricerca con intensità biologie e
dinamiche articolari. Il movimento si nutre del rapporto reciproco, della
presenza degli spettatori, della colonna sonora. A proposito di questultima,
incisivo e piacevolmente pop risulta lincipit della coreografia, sulle note di
Senza fine di Gino Paoli, nella versione interpretata da Ornella Vanoni
e Lucio Dalla. La scelta musicale di Hauert è di fatto ampia e
variegata, dai classici italiani fino a lavori di sapore più sperimentale come
quelli di Eric Thielemans e del polacco Krysztof Penderecki,
autore nel 1961 della struggente composizione Trenodia per le vittime di Hiroshima. Se nel primo caso il logos
richiama sentimenti ed emozioni
perlopiù condivisi, nel secondo – così come quando gli interpreti, in cerchio,
recitano parole a tratti incomprensibili, tra francese, italiano, spagnolo e
tedesco – è luniverso emotivo interiore del singolo ad avere la meglio.
Un momento dello spettacolo
© Bart Grietens
I costumi sono confortevoli e quotidiani; non a
caso, richiamano la tenuta sportiva di chi si appresta a fare una passeggiata proprio
nella natura. I piedi non sono tuttavia protetti da nessun tipo di calzatura,
nuovamente a richiamare il bisogno di un rinnovato e primordiale contatto col
terreno. Anche la permanenza e lo spostamento allinterno dello
spazio scenico risultano piuttosto insoliti: i danzatori hanno a che fare con
un inconsueto rombo caratterizzato da quattro vertici rialzati tramite altrettanti
cavi ancorati alle pareti. È insomma facile inciampare: è facile riconoscere i
confini di un mondo, quello di Efeu, da osservare sì ma al quale accedere
con delicatezza e consapevolezza.
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