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Destino delle ideologie

di Giuseppe Gario
  Destino delle ideologie
Data di pubblicazione su web 24/04/2023  

Docente di Critica letteraria e Letterature comparate a all’Università Ca’ Foscari di Venezia, Mimmo Cangiano legge il nostro tempo Nelle tempeste d’acciaio (1920) dell’allora tenente Ernst Jünger. «La guerra non si rivela qui in contraddizione con la società moderna, non cioè come lo spazio “altro” dell’antimoderno o della “comunità del fronte” sognato nel ’14, ma come l’epitome del moderno stesso in quanto “lavoro” (la completa vittoria del materialismo come scrive Wittgenstein alla sorella), versione concentrata di una quotidianità taylorizzata». «Da un lato, la guerra passa a essere il centro dell’esperienza novecentesca, non attività anti-economica e anti-macchinica, non via di fuga dalla società della Zivilisation ma sua estrema rappresentazione (diventando così il fulcro a cui continuamente tornare per comprendere il secolo: “L’asse attorno al quale ruoterà la nostra vita futura”); dall’altro, tale esperienza passa ad assumere valore positivo, divenendo via maestra per la riformulazione di un universo valoriale (Kultur)» (M. Cangiano, Cultura di destra e società di massa, Milano, Nottetempo, 2022, pp. 473-474).

Ma a Natale 1914 soldati nemici avevano fraternizzato e «un secolo dopo o quasi, l’episodio suscita più che mai interesse facendo persino pensare che col passare del tempo la tregua di Natale apparirà forse a modo suo importante quanto una grande battaglia. Non pose fine alla guerra, ma ha almeno affermato la verità troppo spesso trascurata che l’umanità può sopravvivere, alla fine, solo nella riconciliazione e non nel conflitto». «Nel cuore dell’oscurità, la tregua natalizia del 1914 accese una candela di speranza» (M. Brown, Un joyeux entracte, in M. Ferro et al, Frères de tranchées, s.l., Perrin, 2005, pp. 72-73).

Docente di Intelligenza artificiale all’Università di Bath, Nello Cristianini ricorda che «il fondatore della cibernetica, Norbert Wiener, era preoccupato che le macchine potessero prendere delle scorciatoie pericolose, e le paragonò al talismano di un vecchio racconto dell’orrore, che fa ciò che gli viene richiesto, ma lo fa “alla lettera”. Oggi le sue preoccupazioni potrebbero realizzarsi: usiamo algoritmi statistici per valutare i rischi di decisioni, spesso associate a individui, anche quando la posta in gioco è molto alta. Per fortuna finora il danno è stato contenuto, ma come possiamo assicurarci che le macchine non violino le fondamentali norme sociali, eseguendo “alla lettera” quello che viene chiesto loro?» (N. Cristianini, La scorciatoia. Come le macchine sono diventate intelligenti senza pensare in modo umano, Bologna, il Mulino, 2023, p. 83).

Il talismano citato da Wiener fa avere a Mr. White le 200 sterline che gli servono, ma per la morte del figlio sul lavoro. «Faremmo bene a tenere questo in mente, mentre consideriamo se c’è un modo di insegnare i nostri valori e le nostre norme a queste macchine, potrebbe essere come cercare di spiegarli a una lumaca o a un astuto piccione. Come disse Ludwig Wittgenstein: “Se un leone potesse parlare, noi non potremmo comprenderlo”» (ivi, p. 68). «Le nostre culture evolveranno, in qualche modo, per incorporare questa nuova presenza. Quello che dovremmo comunque continuare a insegnare alla prossima generazione, è che il valore supremo è la dignità degli esseri umani, ed è così che dovremmo misurare qualsiasi decisione futura riguardo al ruolo delle macchine intelligenti. A prescindere da quanto più intelligenti di noi potranno essere diventate, “non saranno mai meglio di noi”» (ivi, pp. 205-206), perché a noi appartiene il destino delle ideologie.

 

Destino delle ideologie (Bologna, Cappelli, 1964), scrive Jean Meynaud, professore di Scienze politiche a Ginevra e Losanna, è che «ad una prima analisi, può sembrare desiderabile alle classi dirigenti di sfuggire alla turbolenza politica. Ma se il pendolo oscilla nella direzione di una completa indifferenza, la situazione può comportare virtualmente il rischio di un indebolimento della coscienza civica e, da ciò, il pericolo di un ritorno al dispotismo più o meno illuminato, se non addirittura nei casi più gravi alla formula del totalitarismo civile o militare. La lotta dei partiti genera spesso demagogia e sperperi, ma sono tare da cui i regimi non democratici non sono affatto esenti. Anche per gli apparenti beneficiari, non è sicuro che questa “desideologizzazione” o più semplicemente questo apolitismo, sia uniformemente benefico. L’apolitismo-ideologia – con la mediocrità, la noia, il disorientamento che possono risultarne – facilita in certi casi la creazione dei regimi oppressivi capaci in seguito di rigettare la responsabilità sulle classi dirigenti tradizionali (ivi comprese quelle che hanno inizialmente contribuito all’instaurazione di tali regimi)» (ivi, p. 221).

Meynaud ricorda la progressiva crisi socio-economica fra le due guerre mondiali e «l’intensità del disorientamento che può risultarne: disordine tanto più grande – o che almeno rischia di esserlo – quanto più l’individuo si troverebbe posto ideologicamente in una specie di vacuum. È probabile che, in una situazione di questo tipo, un paese il quale disponga di un solido sistema di fazioni sarebbe meglio armato per ricevere il colpo, di un altro nel quale la contesa ideologica non abbia avuto il tempo di impiantarsi o si trovi in stato di disintegrazione». «L’universo in cui il fenomeno si produce non costituisce che una frazione ridotta dell’umanità – mentre l’altra è votata a esercitare una crescente pressione sul nostro mondo con tutti i mezzi, ivi compresi il bombardamento e l’intossicazione ideologica. Come si può pretendere che un popolo, intontito dal rifiuto delle contese di parte, sia in grado di valutare criticamente, e se necessario di respingere brutalmente, le accuse e gli “slogans” che non cesseranno di pesare su di esso» (ivi, pp. 222-223).

Meynaud ci aiuta a capire. «La tecnica ha trasformato e arricchito la scala delle soddisfazioni (grandi immobili d’affitto, macchine di piccola cilindrata, attrezzatura domestica duratura, turismo…); essa non ha reso eguali le condizioni di accesso a tali beni: soprattutto non ha modificato il contenuto morale dei rapporti del lavoro» e «l’opportunismo rinasce facilmente dalle sue ceneri. Lo si ammetta o lo si respinga, esso non dovrebbe ostacolare il riconoscimento della sua vera natura e del suo posto nell’arsenale ideologico del conservatorismo» (ivi, p. 228). Opportunismo: «comportamento per cui, nella vita privata o pubblica, o nell’azione politica, si ritiene conveniente rinunciare a principî o ideali, e si scende spregiudicatamente a compromessi per tornaconto o comunque per trarre il massimo vantaggio dalle condizioni e dalle opportunità del momento» (Treccani, on line).

L’etica dell’opportunismo si mostrò in modalità già quasi social un secolo fa nell’affondamento del Titanic, dovuto non a fatalità, ma a una filiera decisionale attenta al primato aziendale più che alla sicurezza del viaggio. La grande crisi degli anni Trenta del secolo scorso ha mostrato le conseguenze di irresponsabili opportunismi e la crisi finanziaria del 2007-2009 lo ha confermato. L’economia è un sistema di relazioni regolate con equità anche dalla legge, in un sistema più ampio di interdipendenze. Meynaud rinvia a «Theobald (Robert), The challenge of abundance, New York, 1961, in cui l’autore suggerisce che il bisogno di giustizia sociale deve costituire uno dei fattori della revisione degli atteggiamenti tradizionali» (p. 223). Destin-destino significa sorte/vita (Larousse, on line) e fatalità/futuro (Treccani, on line). Bisogna scegliere, perché tutto si tiene. Nel laboratorio Italia il naufragio di profughi a Cutro si inscrive in un contesto di frammentazione istituzionale (autonomia regionale differenziata), finanziaria (ponte sullo stretto di Messina) e politica: un governo attento all’interesse non dei cittadini, ma della nazione italiana, del «complesso delle persone che hanno comunanza di origine, di lingua, di storia e che di tale unità hanno coscienza, anche indipendentemente dalla sua realizzazione in unità politica» (Treccani, on line). Indipendentemente dalla unità del tutto, clima incluso.

Già «la Lega lombarda auspicava una Italia federale, divisa in tre zone, intendendo implicitamente che quella meridionale sarebbe stata affidata alla mafia. Un intellettuale della Lega, il professor Gianfranco Miglio, un accademico milanese che aveva contribuito a far conoscere in Italia il pensiero di Carl Schmitt, si dichiarava apertamente favorevole al «mantenimento della mafia e della ‘ndrangheta al sud», precisando sibillinamente: «Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. Esiste anche un clientelismo buono, che può determinare la crescita economica» (J. De Saint Victor, Patti scellerati. Una storia politica delle mafie in Europa, Torino, UTET, 2013, p. 336. Fonte a p. 453: G. Miglio, Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica, in «Il Giornale», 20 marzo 1999». Proprio così).

Oggi «l’inflazione danneggia molti e va a vantaggio di pochi. Ma questi pochi possono essere sui reggitori più influenti dei molti» (M. Vitale, Uscire dal Paese dei Balocchi, https://www.vnz.it/newsletter-19.html: Carlo Collodi ci ha spiegato che è una truffa). Sulla nazione francese «Le Monde» ha dedicato due pagine alla «BOURSE» (9 marzo 2023, on line). «I profitti delle multinazionali francesi hanno superato 150 miliardi nel 2022» e «per la prima volta la capitalizzazione di borsa di Parigi supera Londra» (J.-M. Bezat, L’insolente santé des sociétés du CAC 40, ibid.). I «profitti inattesi consentiranno record di dividendi e riacquisti di azioni proprie» che secondo i beneficiari «non sono un “regalo”. Pure e semplici operazioni speculative, replicano gli oppositori» (J.-M. Bezat, Les profit comblent les actionnaires et gonflent l’inflation, ibid.). In effetti, «il presidente democratico americano propone di quadruplicare la tassa sugli acquisti azionari per incoraggiare gli investimenti a lungo termine» (A. Leparmentier, Biden fustige les bénéfices excessifs, ibid.). In sostanza, «il problema è che molti di questi campioni non gestiscono le loro responsabilità aziendali all’altezza delle loro responsabilità economiche. È l’etica del capitalismo. Non ci si può accontentare di produrre ricchezza che non avvantaggia a sufficienza la società in cui vivi» (P. Escande, Faut-il brûler le CAC 40?, ibid.).

Scelte di vita/futuro, non sorte/fatalità. In una molteplicità di nazioni l’UE è nata da un’ideologia: «credenze, opinioni, rappresentazioni, valori che orientano un determinato gruppo sociale» (Treccani, on line). Quasi un’utopia, parola/idea europea pensata nell’antichità e col conio di Tommaso Moro divenuta riferimento per tutte le successive utopie politico-sociali (Treccani, on line). È la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia che ha aperto il procedimento su Putin per il rapimento di bambini ucraini nell’aggressione al loro paese, in nome dei cittadini del mondo che, come noi europei e solo una parte dell’umanità, ne abbiamo il diritto/dovere per la nostra vita/futuro, invece della sorte/fatalità di nazioni, mercati, metaversi senza legge se non la propria.

Si è avverata la prognosi del 1997 di Ian Clark, allora vicedirettore del Centre of International Studies Università di Cambridge. «Come di preciso sarà regolato l’equilibrio tra globalizzazione e frammentazione dipende dal nuovo ruolo che gli Stati sono in grado di forgiare per se stessi e da quanto riescono a mediare tra sempre più potenti pressioni internazionali e accresciuti livelli di malcontento interno inevitabilmente portati sulla loro scia» (Globalization and Fragmentation, Oxford, Oxford University Press, 1997, p. 202). L’equilibrio tra globalizzazione e frammentazione neppure si intravede e gli stati sono “sovrani” solo sui propri banali cittadini/sudditi: «dal fr. banal, “appartenente al signore”» (Treccani, on line).

«La guerra russa all’Ucraina ha innescato una miccia che si chiama “disordine internazionale”. Non conosciamo le caratteristiche di quest’ultimo, ma sappiamo che l’ordine mondiale del dopo-Guerra fredda è finito. Siamo entrati in una terra incognita, in particolare in Europa». «Bruxelles deve fare ciò che le capitali nazionali non possono fare e viceversa» (S. Fabbrini, Nel nuovo disordine mondiale la UE deve cambiare, «Il Sole 24 ore», 26 febbraio 23, p. 1). Nella concretezza dell’area euro e di un lavoro impossibile in ambito nazionale e prematuro in ambito globale: realizzare e governare un equilibrio tra sorte/fatalità globale e vita/futuro europeo.






 
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