Dopo
aver ospitato coreografi del calibro di Michele Di Stefano, Virgilio
Sieni, Jurij Konjar, Enzo Cosimi e Alessandro Sciarroni,
il festival La Democrazia del Corpo apre le porte di Cango Cantieri
Goldonetta a Saburo Teshigawara. Per la prima volta a Firenze, il
poliedrico artista giapponese lascia il pubblico estasiato con Adagio, opera creata nel novembre 2021 a Tokyo e prodotta da KARAS, compagnia
da lui fondata nel 1985.
Adagio è unode
alla lentezza e alla sua sostanza profonda e spesso non apparente. La musica
classica di Mahler, Beethoven, Bach, Mozart, Rachmaninov,
Ravel e Bruckner è il motore di una coreografia che richiama sia
le arti orientali come il Tai Chi sia il moto perpetuo della natura, delle
foglie e dei rami leggeri. Ogni parte del corpo di Teshigawara, fino alla più
remota, sembra manovrata da energie sconosciute; tuttavia il movimento è frutto
di un estremo controllo interiore, fisico e mentale. La luce e la colonna
sonora sono fili manovrati dallo stesso artefice della coreografia; ne consegue
una continua alternanza di chiari e di scuri, di toni, di ombre e vesti
bianche, di tensioni e contrazioni. La tecnica del coreografo e danzatore
richiama sia la danza classica sia quella moderna ma allo stesso tempo la
rinnega. Il gesto, personalissimo, è fuorviante: si nutre della cultura
autoctona dellartista ma anche di costanti influssi di gusto cosmopolita,
europeo e mondiale.
Un momento dello spettacolo
© Lorenza Daverio
Sulla scena di Cango, la danza di Teshigawara si
alterna a quella di Rihoko Sato, collaboratrice e interprete di lunga
data tra le fila di KARAS. Sato richiama le forme animali e vegetali più
armoniche e disparate. Rievoca anche i quattro elementi, in continuo divenire,
e fa pensare allo stream of consciousness di James
Joyce. Più che il ritmo, Adagio esprime
la forma delle onde sonore nella loro essenza più fisica, privando il
contrappunto di tutta la sua artificialità di sapore occidentale. Rihoko Sato è
capace di porre in dialogo la grazia di Odette, adattandola a una pièce
moderna, e lintensità di una performatività più rituale che ha origini antiche
ma che è espressa in capolavori come Le Sacre du Printemps nella
versione – più che di Nižinskij – di Pina Bausch. In una sequenza
che richiama la morte del cigno di Petipa, cè spazio per esorcizzare la
fine della vita e per la rinascita. Più che di Adagio, si può
parlare di adagio con brio, di forme che
esteriormente non rivelano la complessità e la gravità di percezioni e
intenzioni.
Saburo Teshigawara sembra invece cercare il
movimento nellimitazione, nella tensione fisica ed emotiva, nella meccanicità.
La coreografia sembra basarsi sui vertici del corpo come la testa, i piedi e le
mani, ma anche sui sensi, che spesso si dissociano dalla vista come a voler
percepire tutto ciò che è invisibile agli occhi. Rispetto a Sato, Teshigawara
propone un movimento meno fluido, più nervoso e scattoso, alla continua ricerca
di elementi non presenti (o forse non immediatamente percepibili) del contrappunto
musicale. Il danzatore resiste alle posture e alle movenze più automatiche e
codificate per sperimentare rigidità e impulsi che renderebbero il moto
quotidiano più complesso e, appunto, lento.
Un momento dello spettacolo
© Lorenza Daverio
Non si tratta di un pas de deux ma di unalternanza
di soli che richiama i dialoghi filosofici, in cui lo scambio non è – come
solitamente accade nel frenetico mondo occidentale – lotta continua di chi ha
lultima parola, ma è prima di tutto ascolto, accoglienza e, infine, libera
espressione. Notevole anche la ricerca dellintimità col pubblico tramite lo
sguardo. La Democrazia del Corpo ha il
merito di proporre un continuo e fecondo dialogo tra le arti e le culture,
specialmente attraverso linguaggi non verbali e sperimentali come quello della
danza contemporanea.
I prossimi
appuntamenti vedranno come protagonisti ZOO/Thomas Hauert con una prima
nazionale dedicata alla materia organica e alla relativa energia (Efeu);
Irene Russolillo con una riflessione sulla tradizione orale (Dovè più profondo); Tempo Reale con una performance
audiovisiva per altoparlanti e dispositivi luminosi (La Légende dEer). Sarà Daniele Ninarello a chiudere
il festival con NOBODY NOBODY NOBODY Its Ok Not To Be Ok, dedicato alla
vulnerabilità del corpo.
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