Levatasi il pensiero del
politically correct con due, peraltro correttissimi, premi per le migliori
interpretazioni, la giuria della Berlinale ha potuto questanno dare vita ad un
palmarès sorprendente. Sorprendente, però, alla rovescia. Andiamo con ordine.
Tra le dichiarazioni della
presidente della giuria Kristen Stewart (celebre per la serie Twilight e poi
come Biancaneve e Diana Spencer in successive prove) si era affacciato un
preoccupante bisogno di opere che sorprendessero e scuotessero. Ci si predisponeva
dunque a provocatori premi ad opere prime telluriche e improbabili,
provocatorie e marginali oltre i limiti ben noti del consueto slancio
promozionale di ogni marginalità scovata e coltivata. La correttezza politica
del festival berlinese ne è stata da sempre la cifra.
Questanno, in assenza o quanto
meno carenza, di opere di grande afflato politico, la correttezza si è limitata
al privato, premiando le/gli interpreti (beate le lingue che non hanno il
genere o che hanno almeno il neutro!) di due opere incentrate sulla diversità
di genere. Bis ans Ende der Nacht (Till the End of the Night) del regista
tedesco Christoph Hochhäusler, protagonista lattrice e attivista trans Thea
Ehre, e 20.000 especies de abejas (20,000 Species of Bees) di Estibaliz Urresola
Solaguren con la giovanisssima Sofia Otero che veste i panni di un bambino
dalla femminilità ingabbiata da pregiudizi che alla fine si scioglieranno
nellaffetto familiare. Riconoscimenti ineccepibili.
Mal viver di Joao Canijo
Passando ai premi più consistenti,
e inerpicandosi fino allOrso doro, constatiamo la sparizione del mondo. Tutto
si restringe. Tutto diventa privato: pur condividendo lopinione che (secondo
lo slogan di Carol Hanisch negli anni Sessanta), “il privato è politico”, non
possiamo non constatare la novità di questa scelta. Sul podio sono saliti
conflitti familiari dallaspetto strinberghiano (Mal viver del
sessantacinquenne Joao Canijo, Orso dargento Premio della Giuria); storie
garbatamente autobiografiche sul problema della creazione artistica (Roter
Himmel dellultrasessantenne Christian Petzold, Orso dargento Gran Premio
della Giuria) e della trasmissione del mestiere nelle famiglie darte (Le grand
chariot, del settantacinquenne Philippe Garrel, Orso dargento per la miglior
regia, qui burattinaio dei suoi tre figli).
Al vertice il bel documentario Sur
lAdamant del navigatissimo ultrasettantenne Nicolas Philibert, sbalordito come
noi per il premio che saliva sul barcone francese dove il regista aveva
filmato, con abili ma disadorne interviste, la vita quotidiana, lumanità
quotidiana di un gruppo di persone con disturbi mentali accolte dal servizio
diurno della mairie di Parigi. Anche qui però, ben più importanti di qualunque
proclama, il regista intervistatore mette in luce i volti, i talenti, le
vicende umane dei suoi ospiti.
Sur lAdamant di Nicolas Philibert
Insomma, per fare un calcolo
statistico e rendere plastica la novità di questa edizione, basterà constatare
che i premiati sono tutti maschi, bianchi, solidamente insediati nella terza
età, già ampiamente riconosciuti nel loro campo dazione. È proprio questa la
novità, è questo lo stupore: niente donne, niente giovani, niente
cinematografie emergenti, niente promozioni pour épater. Nessuna promozione
risarcitoria. Forse la giuria presieduta dalla giovane vampira ha giudicato le
opere secondo i propri gusti, abbandonando il criterio sottilmente coloniale
della promozione.