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Olandese in Fiera

di Daniele Palma
  Der fliegende Holländer
Data di pubblicazione su web 09/02/2023  

Il vascello fantasma attracca nuovamente nel porto amico della città felsinea, che le diede i natali italiani centoquarantasei anni or sono quando il wagnerismo infuriava a tempesta per la penisola, e non solo. Questa volta, però, la cornice è quella del Teatro EuropAuditorium, tappa doppiamente provvisoria nel transito del Comunale verso la sua sala Nouveau, allorché quella del Bibiena resterà chiusa per anni causa necessari lavori di manutenzione. E non c’era forse titolo migliore per un’occasione del genere: in un gioco di rispecchiamenti che Wagner avrebbe probabilmente apprezzato, la mistica di viaggio, trasformazione e redenzione incarnata dai personaggi dell’Olandese trova eco in una prima di stagione inconsueta, giocata al crocevia tra gli usuali tratti di solennità di un simile evento e gli spiazzamenti obbligati di un luogo geograficamente e simbolicamente tanto lontano dai portici del centro. 

Sul piano più eminentemente pragmatico (del resto, non meno caro al compositore tedesco), fare opera all’EuropAuditorium vuol dire confrontarsi con uno spazio difficile per acustica e logistica, se non addirittura ostile. Buca poco profonda e schiacciata in lungo, che impone il rimescolamento delle posizioni orchestrali, coi primi violini al centro e corni staccati dagli altri ottoni e a essi affrontati per farne emergere i giochi contrappuntistici; poi, un palco altrettanto largo e dispersivo, ulteriormente deficitario di graticcia e quinte. La prova della compagine orchestrale riesce comunque pregevole per intensità e tenuta sulle lunghe campate di senso wagneriane – ad esempio, non si registra alcuna perdita di tensione per tutto il terzo atto, nonostante la scelta wagneriana di posizionare un lungo terzetto tra Erik, Senta e Olandese dopo la scena corale in apertura. Il merito va senza dubbio alla visione d’insieme forte di Oksana Lyniv, direttrice stabile del Comunale, che con questo titolo ha debuttato a Bayreuth nel 2021, prima donna in assoluto a occuparne il podio.

Una scena dello spettacolo
© Andrea Ranzi

Lo stesso non si può dire dello spettacolo curato da Paul Curran, pure regista intelligente e capace che, però, rimane pressoché entro il solco del già visto. Certo non è semplice disancorare Olandese dagli immaginari marinareschi di cui sono imbevuti libretto e partitura (gli «Hojohe! Hallojo!» di timoniere e marinai, seppure su linee melodiche vagamente italianeggianti): da qui assistiamo a un florilegio di cerate gialle, lanci di cime e casse contenenti tesori o altrettanto preziosi liquori. Il tutto, poi, è incistato in una scena necessariamente semplice e statica, in virtù delle caratteristiche logistiche di cui s’è già detto. In questo senso, le scelte di Robert Innes Hopkins sono mirate innanzitutto a riportare lo sguardo al centro, laddove la forma del palco (e la distribuzione spaziale del suono in buca) porterebbe a disperderlo lateralmente. Abbiamo dunque due alti praticabili laterali sagomati a mo’ di prue, sorta di cornice per un fondale in legno e tendaggi, pensati e utilizzati come diaframma tra terreno e oltretombale. Da qui sbuca l’Olandese nel primo atto; lì vengono proiettate la sua ombra e quella di Senta, dopo il di lei sacrificio finale. Garantiscono un seppur limitato movimento i cambi di attrezzeria (le postazioni da cucito del secondo atto, rimosse dai figuranti, a scena aperta, durante la transizione al terzo) e soprattutto le video-proiezioni di Driscoll Otto: per lo più onde, ma anche riferimenti pittorici (il Viandante di Friedrich, epiteto perfetto dell’Holländer) e un occhio strizzato a Dario Argento nel coro dei fantasmi. Spettacolo solido, interessante fintanto che punta a umanizzare l’amore per il reietto e ci risparmia l’ennesima Senta sognante o inderogabilmente invasata; in definitiva, però, poco emozionante. 

Un giudizio consimile potrebbe applicarsi al cast vocale: di pagine capaci di commuovere o inchiodare alla poltrona ce ne sarebbero, ma ciò non accade. Nei panni dell’eroe eponimo, Thomas Johannes Mayr recita ottimamente, forse fin troppo: la sua prova vocale è spesso risolta nel parlato, meglio, in forme di sussurro intelligentemente dosate per caratterizzare il personaggio, a volte però a discapito dello spessore cantabile di alcune frasi, come ad esempio nella dolente (e meravigliosa) invocazione al «gepriesner Engel Gottes» (atto primo, seconda scena). La Senta di Elisabet Strid convince per timbro e fraseggio, un po’ meno per solidità in acuto, zona in cui si sente qualche costrizione e il tentativo (certo riuscito) di superarle di forza. Metallicamente monocorde, ma non senza fascino, è Adam Smith, che porta a casa la parte di Erik senza gli ingolamenti o le nasalizzazioni che molti suoi colleghi tenori spesso non riescono a evitare. Infine, perfettamente in parte Peter Rose, un Daland abbastanza ideale per voce, azione e figura; precisa Marina Ogii, costretta a confrontarsi con la parte ingrata (per non dire sadicamente scomoda) di Mary; suadente lo Steuermann di Paolo Angioletti, dotato di bel timbro da tenore lirico, rotondo e squillante come italica tradizione, a quanto dicono, vorrebbe. 

Una menzione finale va ai due cori presenti in sala: quello del Comunale, guidato da Gea Garatti Ansini, e quello del Teatro di Piacenza, preparato da Corrado Casati per affrontare il cromaticissimo coro dei fantasmi nel terz’atto, cantato alle spalle degli spettatori dal fondo della sala. Seppure siamo lontani dal muro di suono che aveva galvanizzato il pubblico nel Lohengrin dello scorso autunno (ovviamente, anche in virtù della differente scrittura wagneriana), la prova di entrambe le compagini è puntuale e convincente, ben bilanciata per volumi e colori con la buca, e ben orchestrata nello spazio. Ulteriore dimostrazione di quel “fare di necessità virtù” che i melomani bolognesi dovranno recitare quale mantra per un bel po’ di tempo.




Der fliegende Holländer
Opera romantica in tre atti


cast cast & credits
 
trama trama


Una scena dello spettacolo visto al Teatro EuropAuditorium di Bologna il 28 gennaio 2023
© Andrea Ranzi







































































Una scena dello spettacolo
© Andrea Ranzi

 
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