drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Pessimismo culturale

di Giuseppe Gario
  Pessimismo culturale
Data di pubblicazione su web 03/02/2023  

«Nell’edificio in costruzione, sull’arida terra di Arizona, Morris Chang, novantuno anni, vede uniti il suo passato e avvenire. Fondatore dell’impresa di chip elettronici TSMC, non può mascherare l’amarezza: “La globalizzazione è morta, il libero-scambio è morto, penso che non lo rivedremo tanto presto”. Peraltro era lì per celebrare un lieto evento. Con il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e i capi di Apple, AMD o Nvidia, tra i suoi principali clienti, assisteva alla cerimonia d’apertura di una fabbrica elettronica gigantesca, la prima da molto tempo su suolo americano. I due attori del dramma erano sul podio. Il creatore Chang che negli anni Ottanta teorizzò e lanciò la grande ondata di globalizzazione dell’industria elettronica, e il becchino Biden. Ampliando la guerra commerciale alla Cina lanciata da Donald Trump, l’attuale inquilino della Casa Bianca ha dato il colpo di grazia vietando l’export di tecnologia verso la Cina e riversando fiumi di sovvenzioni per attrarre nuovi stabilimenti sul suo territorio». «In questo contesto, non stupisce che il 53° Forum economico di Davos, lunedì 16-venerdì 20 gennaio, abbia scelto come tema principale “Cooperare in un mondo frammentato”» (P. Escande, A Davos, l’ombre de la démondialisation, in «Le Monde», 18 gennaio 2023, on line).

Nel 1936 John Maynard Keynes in «General Theory of employment, interest and money gettò le basi della teoria macroeconomica moderna. Negando la visione, tipica dell’economia classica, secondo la quale l’offerta di beni crea sempre la propria domanda, K. mise in discussione la spontanea tendenza del sistema concorrenziale alla piena occupazione e mostrò come il sistema economico possa attestarsi in una condizione caratterizzata da equilibrio fra domanda e offerta di beni, accompagnato però da sottoccupazione di capitale e lavoro. La teoria di K. poggia su tre concetti fondamentali. Il primo è dato dalla funzione del consumo, secondo la quale il consumo cresce meno che proporzionalmente al reddito. Il secondo riguarda l’efficienza marginale del capitale, secondo la quale gli investimenti variano sulla base di aspettative incerte e mutevoli in merito al loro saggio di rendimento atteso. Il terzo concetto è dato dalla funzione della preferenza per la liquidità, secondo la quale il saggio d’interesse è un fenomeno puramente monetario, anch’esso determinato dall’incertezza. Questa analisi spiega la tendenza degli investimenti a rimanere a un livello troppo basso per ottenere la piena occupazione e la necessità dell’intervento dello Stato, attraverso investimenti pubblici e politiche monetarie espansive, per riportare e mantenere il reddito nazionale a livello compatibile con tale obiettivo» (Enciclopedia Treccani, on line).

Lo confermarono i “Gloriosi Settanta”, anni di storico sviluppo non solo economico. Col necessario lievito politico anche «la globalizzazione sarà ridisegnata. La guerra in Ucraina ha fatto emergere con particolare violenza le tensioni restate finora sotterranee tra “libertà di scambio” e “libertà di scelta” che caratterizzano molte interazioni tra Paesi con culture economiche, politiche e sociali spesso molto diverse e apparentemente difficili da conciliare». «L’esito più probabile di questa riconfigurazione strategica a livello mondiale non sembra poter essere tanto la deglobalizzazione temuta o auspicata da molti commentatori, quanto una riglobalizzazione selettiva, una ridefinizione cioè dell’economia globale per gruppi integrati di paesi affini, coalizioni in competizione tra loro per l’egemonia  economica, politica e culturale, sullo sfondo di un riequilibrio di forze tra Paesi industrializzati occidentali e Paesi emergenti, soprattutto asiatici» (G. Ottaviano, Riglobalizzazione. Dall’interdipendenza tra Paesi a nuove coalizioni economiche, EGEA, recensito da P. Bricco, La globalizzazione va capita bene e reinterpretata, in «Il Sole 24 ore», “Domenica”, 9 ottobre 2022, p. II).

Gruppo integrato di paesi affini è già oggi l’UE in un mondo di stati arroccati su complessi militar-industriali denunciati da Eisenhower nel 1961 a fine presidenza: «Solo una cittadinanza attenta e ben informata può obbligare a unire adeguatamente l’enorme apparato di difesa industriale e militare con i nostri metodi e obiettivi pacifici, in modo che la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme» (https://it.alphahistory.com/). Ma la globalizzazione ha moltiplicato gli stati-tribù militar-industriali.

«Essendo nato durante l’occupazione nazista e cresciuto dal lato sbagliato della Cortina di ferro, con una storia familiare rappresentativa delle origini nazionali e linguistiche spesso complesse degli europei, l’Europa odierna mi appare – con tutte le sue carenze – un risultato straordinario, troppo bello per crederci. Sicuramente, considerati i traguardi raggiunti, vale la pena raddoppiare i nostri sforzi nella ricerca di compromessi capaci di riportare l’unità tra le differenti nazioni. Invece, decenni di pace e prosperità vengono dati per scontati, e gli inciampi e le difficoltà (in alcuni casi inevitabili, in altri imperdonabili) sono serviti a riaccendere vecchi pregiudizi e animosità. Il mio desiderio per l’Europa: cercate di farcela. Un eventuale fallimento non va preso alla leggera». Così Vaclav Smil, classe 1943, boemo naturalizzato canadese, docente emerito di scienze ambientali all’Università di Manitoba (I numeri non mentono. Brevi storie per capire il mondo, Torino, Einaudi, 2021, pp. 67-68).

Madre delle rivoluzioni, l’Europa da decenni costruisce nell’UE una «economia globale per gruppi integrati di paesi affini» ed è matura per un reale governo europeo, anche perché «i deputati europei, abituati a operare in isolamento e a gestire internamente gli abusi, sembrano più che mai esposti ai rischi di ingerenza» (Ingérences: les élus européens à l’ère du supçon, in «Le Monde», 24 gennaio 2023, on line).

Salto di qualità indispensabile in un’epoca di pessimismo culturale.


Pessimismo culturale, scrive Oliver Bennet, direttore del Centre for Cultural Policy all’Università di Warwick, è «la convinzione che la cultura di una nazione, di una civiltà o dell’umanità stessa sia alle prese con un irreversibile processo di decadenza». «Secondo Oliver James ciò può essere ricondotto all’impatto sociale del “nuovo capitalismo”, che sta producendo un’epidemia di “impotenza appresa”, “confronto sociale non adattativo” e “attaccamento ansioso”». «Se James ha ragione – come io ritengo – ad ipotizzare che negli ultimi decenni tali disturbi siano stati aggravati dalle condizioni del “nuovo” capitalismo, si può dire che nel mondo postmoderno il pessimismo culturale sia non solo un giudizio sulla nostra cultura, ma anche una struttura del sentimento che costituisce sempre più un prodotto della nostra cultura» (Pessimismo culturale, Bologna, il Mulino, 2003, pp. 7 e 249).

La “fine della storia” profetizzata nel 1989 dopo il crollo dell’URSS (e il precedente della Russia zarista) era un errore, che Francis Fukuyama riconobbe nel 2017, ma ormai il progetto del mercato globale era stato imposto. «Ovunque c’è progetto, ci sono rifiuti. Nessuna casa è davvero finita prima di aver ripulito il cantiere dai materiali residui. Quando si progettano le forme della convivenza umana, i rifiuti sono esseri umani. Gli esseri umani che non si adattano alla forma progettata né possono esservi adattati» (Z. Bauman, Wasted Lives. Modernity and its Outcats, Cambridge, Polity Press, 2004, p. 30). «Forse l’unica industria fiorente dei paesi ritardatari (subdolamente e ingannevolmente soprannominati paesi in via di sviluppo) è la produzione di massa di profughi» (ivi, p. 73). Già dopo l’attentato alle Torri Gemelle a New York l’11 settembre 2001, su «The Guardian» Garry Younge concludeva «che il 10 settembre il mondo era “luogo senza legge” dove sia i ricchi sia i poveri sapevano che “il potere è diritto”» (ivi, p. 74). Oggi lo conferma una cronaca sempre più cupa. «Il mondo delle Compagnie militari private (Cmp), o “mercenari”, sta invadendo l’Africa. Mentre la stampa internazionale continua a focalizzarsi sulla Wagner russa, numerose società di sicurezza occidentali, mediorientali e asiatiche, molto più potenti di Wagner, sono riuscite a firmare contratti con decine di Stati africani» (M. Fraschini Koffi, Dagli eserciti privati in Africa il rischio di una colonizzazione, in «Avvenire», 13 gennaio 2023, p. 3). E in Italia, «la guerra alle organizzazioni non governative, le Ong, che salvano persone in mare è una cifra identitaria del nazional-populismo italiano e europeo» (M. Ambrosini, L’altra guerra senza senso, in «Avvenire», 29 dicembre 2022, pp. 1-2).

Ogni guerra genera inflazione e, «quale che sia la causa, le società che lasciano entrare l’inflazione dovrebbero aspettarsi qualcosa più della semplice caduta del loro tenore di vita» (The great inflation of the 1500s is echoing eerily today, in «The Economist», 20-24 dicembre 2022, on line). Addirittura «brutti tempi per i ricchi», inclusi Elon Musk, Tim Cook, Mark Zuckerberg. «L’annata cattiva si spiega anzitutto con la fine della politica di denaro gratis che nella pandemia Covid 19 aveva dato le ali al capitalismo di borsa. Azzerati da marzo 2020, i tassi direttori della Banca centrale Americana superano ora 4,24%. Wall Street è su valorizzazioni pre-pandemiche, cura dimagrante per i più ricchi». «Paradossalmente la situazione è più favorevole per i salariati in fondo alla scala. In pandemia hanno avuto indennità di disoccupazione anche superiori ai salari, la scarsità di manodopera consentiva di ottenere aumenti» e ora «il 50% più povero di americani detiene il 3,3% invece dell’1,9% di ricchezza nazionale» (A. Leparmentier, Big Tech: la récession des riches aux Etats-Unis, in «Le Monde», 25 gennaio 2023, on line). Ma il casinò di borsa va e «gli ultimi risultati dei fondi speculativi illustrano spettacolarmente questo asserto noto dal 1932», «quando il più famoso economista del XX secolo, John Maynard Keynes, l’ha capito» (P. Lescande, Le casino de la Bourse tourne à plein, «Le Monde», 25 gennaio 2023, on line).

Tuttavia, «IRA è l’acronimo dell’anno, in tutte le conversazioni al Forum di Davos in Svizzera. Adottando in agosto 2022 l’Inflation Reduction Act, Joe Biden ha fatto centro». «Obiettivo non è tanto contenere l’inflazione, compito della Riserva federale, quanto accelerare la decarbonizzazione dell’economia finanziando a colpi di sovvenzioni il ritorno della produzione su suolo nazionale». «Il dibattito che solleva questo nuovo dato va al di là della questione della competitività». «L’invisibile dipendente di base è divenuto, causa la pandemia, l’oggetto di ogni attenzione. “È la prima volta che vedo imprese capire il nesso tra il sociale e l’economia” assicura Christophe Catoir, presidente di Adecco, società di lavoro interinale. Nessun improvviso altruismo, ma il riconoscimento di un nuovo rapporto di forza che spinge le imprese a togliere il piede dai licenziamenti, come invece si fece nella crisi finanziaria del 2008». «“La pandemia (di Covid-19) ha accelerato la riforma del contratto che lega il dipendente al datore di lavoro”, conferma Martine Ferland, amministratrice delegata della società di consulenza e assicurazione Mercer. E questo è solo l’inizio» (P. Escande, L’employé de base, star de Davos, «Le Monde», 19 gennaio 2023, on line).

Leva dei miracoli economici tedesco e italiano, l’economia sociale di mercato – lo stato interviene dove il mercato fallisce socialmente – è nel Trattato di Lisbona. È il nostro vantaggio competitivo globale, individuato fin dal 1962 dallo storico dell’economia Carlo M. Cipolla: «Non sappiamo che cosa sia la felicità umana, ma sappiamo che cosa non è. Sappiamo che la felicità umana non può prosperare dove dominano l’intolleranza e la brutalità. Non c’è nulla di più pericoloso del sapere tecnico quando non è accompagnato dal rispetto per la vita e per i valori umani. L’introduzione di tecniche moderne in ambienti che sono ancora dominati dall’intolleranza e dall’aggressività è uno sviluppo estremamente allarmante» (Uomini, tecniche, economie, Milano, Feltrinelli, 1990, p. 142). La guerra di Putin trascina anche i governi nazionali UE a esaurire le proprie risorse in armi. «Come scrissi altrove: “Il fatto di istruire un selvaggio nell’uso di tecniche avanzate non lo trasforma in una persona civilizzata, ne fa solo un selvaggio efficiente”. Il progresso etico deve accompagnarsi allo sviluppo tecnico ed economico. Mentre insegniamo le tecniche, dobbiamo anche insegnare il rispetto per la dignità e il valore e il carattere sacro della personalità umana. Se non vogliamo che la fine sia peggiore dell’inizio è necessario intraprendere un’azione urgente» (ibid.)

Specie nel laboratorio Italia, che si reinventa l’anarchia, il futuro è questo progetto politico affidato al Governo Europeo e al Parlamento Europeo riformato in due Camere, Deputati e Senatori, in luogo del Consiglio Europeo e del Consiglio d’Europa, gruppi statali di pressione a loro volta esposti ai gruppi di interesse privati, tanto tecnicamente preparati quanto politicamente irresponsabili.





 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013