Le pagine di «Drammaturgia.it» ospitano, da qualche
mese, uno degli ultimi contributi di Georges
Banu, la relazione «LArt du
théâtre»: la scène et le livre presentata al convegno Il teatro delle
riviste (1870-2000). I periodici come oggetti e strumenti della storiografia
teatrale che si è tenuto a Venezia nel giugno 2022. Il convegno veneziano è
stata lultima occasione in cui ho potuto incontrarlo e ascoltare dalla sua
viva voce la vicenda de «Lart du théâtre», la rivista da lui creata insieme ad
Antoine Vitez negli anni in cui il
regista francese dirigeva il Théâtre National de Chaillot. Rileggere oggi
quella relazione, a pochi giorni dalla scomparsa di Georges, significa lasciar
risuonare nel ricordo il timbro amabile della sua voce, una voce dai toni a
volte sommessi. Quasi una cifra stilistica, che dava limpressione che il suo
eloquio fosse a improntato a una sorta di understatement,
che lo spingeva a parlare con pudore delle esperienze e degli incontri
eccezionali che avevano segnato la sua vita nel teatro. E tuttavia capace di
accendersi al fuoco della passione o della battaglia dialettica, non priva
talvolta di accenti polemici.
Gli anni rievocati dalla relazione veneziana si collocano
al centro del percorso intellettuale di Georges Banu uomo di teatro e studioso
di teatro – ma cè forse differenza tra le due dimensioni? –, un percorso intrapreso
fin dallinizio degli anni Settanta quando era giunto in Francia dopo gli anni
di formazione in Romania, dove aveva completato i suoi studi presso
lUniversità nazionale di arte teatrale e cinematografica di Ion-Luca-Caragiale
di Bucarest. Anni intensi, animati dalla presenza sulla scena internazionale dei
grandi maestri del teatro del secondo Novecento, da Peter Brook a Tadeusz Kantor, da Eugenio Barba allultimo Grotowski,
da Arianne Mnouchkine a Luca Ronconi, a Giorgio Strehler, da Patrice
Chereau allo stesso Vitez. Di queste vicende artistiche Georges Banu è
stato non solo un testimone assiduo, animato dalla necessità di sottrarre il
teatro – che lui amava definire come larte dellistante – allevanescente e
ineludibile destino delle arti performative, ma ha anche costruito, ponendovisi
al centro, una rete di relazioni senza uguali, spesso trasformando i suoi
rapporti in sodalizi amicali o intellettuali di maggiore o minore durata, ma
tutti di grande intensità: Banu compagnon de route di molti protagonisti
della scena contemporanea.
Lo sguardo di Georges si è posato su quanto
espresso dal teatro degli ultimi cinquantanni. Uno sguardo onnivoro,
totalizzante, rivolto a tutto ciò che poteva animare la scena, a prescindere da
orientamenti, ideologie, geografie e culture, capace di mettere insieme Oriente
e Occidente. Non possiamo neanche lontanamente immaginare di quanti spettacoli
sia stato appassionato ma allo stesso tempo lucidissimo spettatore, capace di
abbandonarsi al piacere della visione e di cogliere e portare alla luce i
fondamenti teorici e strutturali, le istanze di carattere estetico, le
implicazioni politiche riferibili a singoli eventi, a forme spettacolari, a
visioni artistiche, a dichiarazioni di poetica, allimprescindibile relazione
tra teatro e pubblico. Ma possiamo rendercene conto a partire dai suoi scritti
e dalle iniziative di carattere editoriale. Saggista, animatore e direttore di riviste
specialistiche («Travail théâtral», la già citata «Lart du théâtre»,
«Alternatives théâtrales») e di collane (Le temps du théâtre per Actes
Sud), Georges Banu ha fissato mezzo secolo di vita teatrale in una cinquantina
di volumi tra monografie e curatele, alcuni dei quali pubblicati anche in
edizione italiana.[1]
O ancora, oltre agli studi su Brook, Cechov, Shakespeare,[2] sguardi sul teatro
giapponese,[3]
saggi che indagano il teatro in quanto dispositivo[4] o che analizzano, in una
dimensione introspettiva, lintimo rapporto di Banu col teatro,[5] oppure raffinate trilogie
dedicate al rapporto tra teatro e pittura[6] o studi sulle relazioni
tra teatro e fotografia.[7]
Scrittore infaticabile, Georges Banu ha dato alle
stampe lultimo libro pochi mesi prima della sua scomparsa: Les objets blessés[8] nel quale fa agire sulla scena privata della
propria dimora gli oggetti che nel corso della loro esistenza hanno subito gli
insulti del tempo ma che mantengono inalterato il loro valore affettivo per chi
li possiede. Lanno prima Georges
aveva pubblicato Les récits dHoratio.
Portraits et aveux des maîtres du théâtre européen[9]
che può essere considerato il suo testamento intellettuale e quasi una
premonizione: «À lheure de la fin, indispensable et bienvenue, je me
“distribue” moi-même dans le rôle dHoratio». Assumendo su di sé la
funzione di Orazio, lamico fedele incaricato da Amleto di narrare la sua
storia, Banu rivendica il proprio ruolo di «spectateur témoin» riaffermando il
valore della memoria e facendo emergere non soltanto loperato artistico, ma
anche le linee più recondite e personali, quasi intime, della lunga
frequentazione con i maggiori esponenti della scena europea del secondo
Novecento.
Senza la
voce di Orazio, come potremo sottrarre alloblio la vita del teatro? Ancora
più dura risuona oggi la frase di Amleto nel momento della sua morte: tutto «il resto è silenzio».
[2] Shakespeare: métaphores et pratique du théâtre, Avignon, Éditions Universitaires dAvignon, 2010.
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