È
difficile immaginare i conflitti che si annidano tra
le pareti delle case, ancor più quando coinvolgono ragazzi osservati negli anni
del loro sviluppo esistenziale. A offrire uno sguardo verosimile sulle
incomprensioni tra generazioni in seno alla famiglia ci prova Il figlio, il dramma di Florian
Zeller che Piero Maccarinelli ha tradotto e messo in scena in prima
nazionale al Teatro Carlo Goldoni di Venezia. Il testo fa parte di una trilogia
che comprende La madre (La Mère, 2010) e Il padre (Le Père, 2012),
già trasformato in un film diretto dallo stesso Zeller, con cui ha vinto lOscar per la sceneggiatura, insieme a quello
andato a Anthony Hopkins come migliore attore. Dopo avere
realizzato nel 2017 Il padre,
rappresentazione in cui si affrontava lo sconvolgimento domestico causato dalla
malattia dellAlzheimer che colpisce un anziano genitore, stavolta Maccarinelli affronta con particolare garbo il
disorientamento dei personaggi dinanzi alle condizioni
critiche di un adolescente. 
Un momento dello spettcolo
©Achille Le Pera
Fin dallinizio emerge la consapevolezza di quanto sia difficile
per i due genitori attoniti intendere ciò che sta accadendo nella mente di
Nicola, il figlio liceale prossimo alla maturità che da mesi ha smesso di
frequentare le lezioni, in apparenza senza alcun motivo. Nicola abita con la
madre Anna, dopo che il padre Piero si è separato per convivere con Sofia, una
giovane compagna dalla quale ha avuto un altro figlio. Dopo essere stato
scoperto il ragazzo tende a minimizzare, giustificandosi con una miriade di
bugie, ossia un amore finito e la difficoltà di socializzare; poi chiede di
potersi trasferire nella casa paterna, nonostante la sfiducia che Sofia ha
verso di lui. Non basta a rimediare neppure limpegno del padre, un avvocato
che si è fatto da sé e che si tormenta per gli errori commessi; Nicola continua
a mostrarsi inerte,
gridando a tutti che non sa spiegare il suo disprezzo per la vita; intanto, sul
suo braccio si cominciano a scorgere i segni allarmanti di lacerazioni e di
tagli. Ben presto la situazione sfugge a ogni controllo, fino al ricovero in
ospedale con la diagnosi di una pericolosa tendenza allautolesionismo.
Gradualmente la vicenda scivola verso un passaggio ancora più cupo e
grave.

Un momento dello spettacolo ©Achille Le Pera
La regia di Piero Maccarinelli definisce la coesione scenica del
racconto lasciando emergere la
tensione drammatica che saccumula sempre più nel cuore del giovane, incapace
fino alla fine di uscirne, e che travolge il fragile equilibrio di ogni
protagonista; valorizza, inoltre, le abilità degli interpreti. Cesare Bocci
disegna con accuratezza la figura di un padre testardamente positivo, sempre
alla ricerca di una soluzione possibile, eppure consapevole della propria
debolezza che lo vede precipitare in uno stato di allucinazione; Galatea
Ranzi interpreta in modo esemplare una madre abbandonata, infelice e
insicura, seppure non ancora rassegnata; Giulio Pranno si rivela
ammirevole nel ruolo di Nicola, soprattutto per la capacità di descrivere i
dettagli del scivolare verso la tragedia estrema; Marta Gastini
restituisce unimmagine sfaccettata di Sofia, giovane innamorata e madre, a sua
volta; Riccardo Floris risulta sicuro nel delineare i tratti di un
medico che conosce i pericoli estremi della malattia dellinfelice adolescente.
Sono da riconoscere positivamente gli apporti
di Carlo de Marino per lelegante e appropriata ambientazione
scenografica, di Gianluca Sbicca per la qualità dei costumi, di Antonio
di Pofi per le sottolineature musicali e di Javier Delle Monache per
la definizione delle luci.
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