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La maschera e il desiderio

di Riccardo Cenci
  L'elisir d'amore
Data di pubblicazione su web 19/01/2023  

Pregno di una qualità onirica spiccata, accentuata dal luminismo avvolgente di Vinicio Cheli, e percorso da un frenetico dinamismo circense, L’elisir d’amore allestito al Teatro dell’Opera di Roma recupera uno spettacolo di Ruggero Cappuccio andato in scena per la prima volta al Costanzi nel lontano 2011, forse eccessivamente affollato, comunque carico di ritmo teatrale. Un allestimento che non si basa su un’idea registica forte, ma che immerge l’azione in un’atmosfera sognante che rende credibili le oscillazioni emotive e i comportamenti bizzarri dei personaggi.


Una scena dello spettacolo
© Fabrizio Sansoni

Dicevamo del ritmo; effettivamente i protagonisti vengono costantemente impegnati ad assecondare i guizzi di una partitura fra le più brillanti nell’ampio catalogo donizettiano, in un flusso di danza quasi ininterrotto. Fanno eccezione le oasi di lirismo che, con le loro aperture improvvise, aprono spiragli su un’emotività di romantica pregnanza. Saltimbanchi e acrobati definiscono coordinate dal sapore felliniano, in equilibrio fra realtà e immaginazione. Dulcamara scaturisce da una sorta di astronave a forma di piramide, piegato come un nano o come una creatura sovrannaturale, salvo poi mostrarsi in tutta le sue furfantesche dimensioni. I soldati che accompagnano Belcore hanno le movenze di pupazzi meccanici, come l’uomo barbuto dal cui ventre spunta un paio di voraci forbici.


Una scena dello spettacolo
© Fabrizio Sansoni

L’intero allestimento ha il sapore del gioco, del divertissement al quale si può perdonare anche una certa genericità nella confezione registica. Perché il divertimento, che è la sostanza dell’opera, trabocca abbondante negli occhi degli spettatori, i quali tributano agli interpreti un vero e proprio trionfo. Se lo spettacolo addita movenze da teatro delle marionette, umanissima appare invece l’esecuzione musicale. Nell’Elisir, Donizetti trascende i limiti del farsesco confezionando una partitura colma di risonanze emotive. Il microcosmo idilliaco del villaggio si apre a improvvise crudeltà, perché tale è l’atteggiamento di Adina nei confronti del languente Nemorino. Se la posa adorante del tenore amoroso genera disprezzo, il distacco del quale si mostra capace una volta convinto dell’efficacia dell’elisir stimola al contrario curiosità e interesse; perché il desiderio si infiamma per ciò che appare irraggiungibile. Ecco dunque che le maschere comiche, filtrate attraverso l’esperienza rossiniana, acquistano un carattere inedito e del tutto peculiare.


Una scena dello spettacolo
© Fabrizio Sansoni

Le figure meccaniche si vestono di una toccante umanità, come se un ignoto demiurgo avesse girato la chiave che non solo attiva il movimento, ma anche dona inedito spazio ai sentimenti. Rispetto al modello francese, il libretto di Le philtre confezionato da Eugène Scribe per Auber, l’orizzonte espressivo assume qui una complessità inusitata. Nemorino può farci sorridere con i suoi atteggiamenti naïf ma, quando si effonde in frasi colme di rimpianto come Adina credimi, te ne scongiuro, riesce davvero a commuovere fino alle lacrime. Screziature emotive che John Osborn evidenzia con tutta la maestria della quale è capace. La vis comica e le immersioni sentimentali vengono rese con una linea di canto sempre impeccabile, in grado di delineare sia le esternazioni più ingenue quanto i malinconici ripiegamenti. La furtiva lagrima è davvero un momento di sospensione, un gesto poetico ritagliato nel vorticoso procedere della trama. Osborn riesce a conferire un’anima al personaggio, trasformando Nemorino nel prototipo del tenore romantico.


Una scena dello spettacolo
© Fabrizio Sansoni

Aleksandra Kurzak è un’Adina ricca di personalità e fornita di una vocalità limpidissima, alla quale si può perdonare qualche fissità in zona acuta. Il volubile ondeggiare dell’anima, il capriccioso dipanarsi del carattere femmineo viene reso con sensibilità e dovizia di sfumature. Impagabile Simone Del Savio nel ruolo del ciarlatano Dulcamara, vero motore dell’azione. La sua interpretazione, mai sopra le righe, delinea il carattere di un personaggio complesso e senza paragoni nel panorama coevo. La vocalità è piena, il timbro rotondo, la dizione perfetta. Molto meno convincente il Belcore di Alessio Arduini, non a proprio agio nei panni del sergente spaccone. Il timbro arido e l’accento sommario mancano il bersaglio. Ottima la Giannetta di Giulia Mazzola, vocalmente e scenicamente molto convincente. Francesco Lanzillotta dirige con attenzione e ritmo teatrale, ma manca un poco di fantasia. Da segnalare infine l’ottima prova del coro, ben preparato da Ciro Visco.

 


L'elisir d'amore



cast cast & credits
 
trama trama



Una scena dello spettacolo visto al Teatro dell'Opera di Roma
© Fabrizio Sansoni



 
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