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Giochi di reciprocità

di Giuseppe Gario
  Giochi di reciprocità
Data di pubblicazione su web 12/01/2023  

«Ci è stato detto: “il diavolo è padre delle menzogne e fu bugiardo fin dall’inizio”; perciò l’invenzione è indiscutibilmente antica. Ma quel che è peggio è che il primo uso che egli ne fece fu puramente politico; volto a minare l’autorità del suo principe e a distogliere un terzo dei sudditi dalla loro ubbidienza. Per la qual cosa, fu cacciato giù dal Cielo – dove, per dirla con Milton, egli era stato viceré di una grande provincia occidentale – e costretto a esercitare il suo talento nelle regioni inferiori tra altri angeli decaduti o poveri uomini illusi, che egli ancora quotidianamente tenta al suo stesso peccato e sempre continuerà a tentare fintantoché resterà incatenato nel pozzo senza fondo. Ma benché il diavolo sia il padre delle menzogne, egli, come altri grandi inventori, pare aver perso molta della sua reputazione a causa dei continui miglioramenti che sono stati apportati alla sua opera» (J. Swift, L'arte della menzogna politica, Como Pavia, Ibis, 1995, p. 15).

Oggi, esemplarmente, Putin che maschera la guerra come operazione speciale ed Elon Musk, boss di Tesla e Space X che, «a meno di tre mesi dall’acquisto di Twitter per 44 miliardi di dollari (41,5 di euro), in un sondaggio su Twitter ha chiesto se dovesse lasciare la direzione della società: dopo 24 ore il 57,5% di oltre 17 milioni di votanti ha risposto “si” lunedì 19 dicembre. Lascerà? “Mi piegherò all’esito del voto”, aveva promesso» (D. Leloup-A. Piquard, Twitter: le rôle du PDG Elon Musk en question, in «Le Monde», 21 dicembre 2022, on line). «Quando troverò qualcuno tanto pazzo da accettare», ha poi precisato il «pompiere piromane che ha troppo presunto delle proprie capacità per ideologia e arroganza», «portando Twitter a una perdita stimata di 4 miliardi contro 221 milioni l’anno scorso e con un giro d’affari in caduta del 40%, secondo le sue stesse previsioni» (S. Lauer, Twitter, nous avons un problème, in «Le Monde», 27 dicembre 2022, on line).

C’è chi fa molto meglio. «Le mafie si sviluppano in una logica d’integrazione e cooperazione. Dal livello più locale al livello planetario. E va anche ricordato che il mafioso ha sempre una lunghezza di vantaggio. È un modo molto semplice per dire una cosa complessa e talvolta fuorviante: le mafie non sono espressione di povertà, non sono il frutto di uno sviluppo limitato delle capacità umane. Le mafie hanno al contrario la straordinaria capacità di creare imprese, padroneggiare il funzionamento del mercato, le tecnologie. Da questo punto di vista, c’è molto lavoro da fare». «Il settore stupefacenti non è solo il principale motore dei traffici. È anche l’origine dei reinvestimenti speculativi. Si associa al “commercio del denaro”. Il denaro resta la merce più preziosa. Le frodi fiscali, le frodi ai contributi finanziari dell’UE o all’imposta sul valore aggiunto sono più redditizie e meno rischiose. Ricordo un passaggio della trascrizione di un ascolto […] quand’ero procuratore a Napoli. Uno dei due diceva: “Guadagno molto di più con le false fatture che con la droga”». «Bisogna fare ogni sforzo non solo per evitare che enormi masse finanziarie finiscano nelle mani del crimine organizzato, ma soprattutto per ripensare a livello europeo la percezione del rischio mafioso, costruire una risposta più globale» (G. Melillo, intervista a A. Kaval-T. Saintourens, Les mafias parlent le language du marché, in «Le Monde», 21 dicembre 2022, on line).

Nel laboratorio Italia, dov’è nata la mafia, è da manuale la combinazione di repubblica presidenziale e abrogazione della legge “spazza-corrotti” quando, secondo «l’Institut V-Dem, osservatorio collegato all’università di Göteborg in Svezia e finanziato in particolare dalla Banca mondiale […], il 70% della popolazione mondiale vive in autocrazia, e il numero delle democrazie liberali, stimato in sole 34, non è mai stato così basso dal 1995». «Le democrazie liberali sono ridotte perciò a rannicchiarsi e sperare che l’onda autoritaria si esaurisca. Loro migliori alleati sono le stesse autocrazie. Dallo stallo russo in Ucraina alla selvaggia repressione in atto in Iran, passando per la gestione erratica della pandemia nella Cina di Xi Jinping, le terre dell’autoritarismo mostrano oggi in ogni aspetto lo stesso paesaggio desolato» (G. Paris, L’autocratisation résiste dans le monde, in «Le Monde», 22 dicembre 2022, on line). Come «l’Artico dove si sente più forte l’eco dei cannoni che tuonano in Ucraina. È dove Nato e Russia si sono dati appuntamento per il duello finale. Era considerato l’ultima delle ultime frontiere e ora è il fronte più caldo. È il grande convitato di pietra del nostro tempo, in apparenza estraneo alla dissoluzione dell’ordine mondiale in atto, in realtà al centro di tutto. La guerra bianca è già tra noi, e il dominio dell’Artico è la vera posta in gioco. Quando Joe Biden prevede un “possibile conflitto” con la Russia sul controllo dell’Artico, per Vladimir Putin è un’esplicita dichiarazione di guerra: “Spaccheremo i denti a chiunque pensi di sfidare la nostra sovranità. L’America sappia che non c’è Russia senza Artico e non c’è Artico senza Russia”» (Radio3Mondo, Zelensky a Washington: la reazione di Mosca / La guerra bianca, il fronte artico, in «Rai Play Sound», 22 dicembre 2022, on line, con L. Spinola e M. Mian, autore di Artico, la battaglia per il grande Nord, Vicenza, Neri Pozza 2018 e Guerra bianca. Il fronte artico, Vicenza, Neri Pozza 2022). Sempre più abitabile nel cambiamento climatico, l’Artico è ricco delle terre rare necessarie alle tecnologie del nostro futuro, energie pulite incluse.

«“I paesi sviluppati sono riusciti a evitare grandi conflitti tra loro già da 75 anni”, ha scritto John Mueller, politologo, nel luglio 2021, quando Putin ha messo su carta i suoi deliri sull’Ucraina. È stata forse la pausa più lunga della storia. La domanda è se le delusioni di Putin manderanno in frantumi la lunga pace o serviranno da monito per gli altri» (Making sense of Vladimir Putin’s war, in «The economist», 23 dicembre 2022, on line). Anche l’inflazione ha una lunga storia. Nel 1500, «alla fine la grande inflazione cessò. Lo sviluppo demografico rallentò, riducendo la domanda di beni e servizi. I monarchi ebbero il controllo della politica monetaria e fiscale con la promessa di fallire e svilire la moneta meno spesso. E si affievolì il flusso di metalli preziosi dalle Americhe. Le lezioni del secolo sono chiare. Quale che sia la causa, le società che lasciano entrare l’inflazione dovrebbero aspettarsi qualcosa più della semplice caduta del loro tenore di vita» (The great inflation of the 1500s is echoing eerily today, in «The Economist», 20-24 dicembre 2022, on line). «Valutato sul metro liberale dei limiti al governo, del rispetto della dignità individuale e della fiducia nel progresso umano, il 2022 è stato misto. Ma c’è speranza. L’Occidente è stato arrogante dopo il crollo del comunismo sovietico. Ne ha pagato il prezzo in Iraq, Afghanistan e nella crisi finanziaria globale del 2007-2009. Nel 2022, scosso dal populismo interno e dalla ascesa straordinaria della Cina, ha ritrovato i suoi fondamenti» (What 2022 meant for the world, in «The Economist», 20-24 dicembre 2022, on line).

L’economia è politica, vive di relazioni cooperative in sviluppi condivisi pur tra inevitabili conflitti. La rivoluzione industriale fu preceduta dalle ribellioni inglesi del 1628-60 e 1688-89 che imposero alla corona il controllo del parlamento sulla politica fiscale. La rivoluzione francese andò ben oltre con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1793, il «vero atto di morte dell’antico regime» (in Enciclopedia Treccani, on line). E a Parigi, il 10 dicembre 1948, l’ONU – il “parlamento dell’umanità” – votò solennemente la Dichiarazione universale dei diritti umani, una presa d’atto.

«Tuttavia, quasi ottant’anni dopo la pubblicazione de La via della servitù di Friedrich von Hayek (1899-1992), viviamo ancora nell’eredità delle politiche estremiste che, con Milton Friedman (1912-2006), ha ancorato nella corrente economica dominante. Queste idee ci pongono su una traiettoria pericolosa: la via verso un fascismo versione XXI secolo» (J. Stiglitz, La minaccia più grande per l’economia è politica, in «Le Monde», 31 dicembre 2022-1 gennaio 2023, on line). Il laboratorio Italia conferma.

È la minaccia più grande perché economia e politica vivono nei giochi di reciprocità.


GIOCHI DI RECIPROCITÀ. L’insorgenza della cooperazione (Milano, Feltrinelli, 1985) di Robert Axelrod, professore di scienze politiche alla University of Michigan, fu pubblicato nel 1984, vigente il Glass-Steagall Banking Act che, a tutela dei risparmi di ignari cittadini, dopo la grande crisi del 1929 vietò alle banche commerciali di operare nel settore finanziario. Abrogata nel 1999 dalla fede del libero mercato, portò alla grande crisi del nuovo millennio nella sequela di mutui immobiliari a alto rischio poi venduti senza controlli da società terze (Special Purpose Vehicle, SPV). Il lavoro in un gruppo assicurativo internazionale chiarì fin dal 2017 a Jean-Jacques Gury che «tra cinque o dieci anni, alle elezioni le stesse cause produrranno gli stessi effetti: austerità, pauperizzazione della classe media e disoccupazione di massa spingono verso reazioni istintive di rigetto dell’altro e di chiusura in se stessi». «Tagliando le radici del passato e senza molta fiducia nel futuro, restiamo attaccati alla spuma delle onde, alla dittatura di una informazione in tempo reale su fatti vari, ma senza cercare nelle profondità degli oceani delle biblioteche che permetteranno di scoprire ancora un futuro promettente» (J.J. Jury, Le coup d’État milliardaire, Paris, Les éditions utopia, 2017, p.  110). Anche con le nuove tecnologie dell’informazione, usate da Robert Axelrod in tornei del “dilemma del prigioniero”: cooperare lealmente per un risultato condiviso o giocarsela da solo a spese dell’altro.

Tornei ripetuti con esperti e strategie diversi, con l’inatteso ma indiscutibile successo di Colpo su colpo che, «cooperando alla prima mossa e quindi facendo esattamente quello tutto ciò che l’altro giocatore fa alla mossa precedente» (Axelrod, Giochi di reciprocità, cit., p. 146), chiarì che «fondamento della cooperazione non è la reciproca fiducia, bensì la prevedibile durata del rapporto». «Nel lungo periodo, non importa tanto che i giocatori si fidino gli uni degli altri, quanto il fatto che siano mature le condizioni che consentano loro di costruire un modello stabile di reciproca cooperazione». «Così come l’avvenire è importante per l’instaurarsi delle condizioni adatte alla cooperazione, il passato è importante ai fini del controllo dei comportamenti reali. È essenziale, cioè, che i giocatori abbiano la possibilità di osservare le scelte già effettuate dalla controparte e di reagire di conseguenza. In assenza di questa possibilità di sfruttare il passato, diventa impossibile castigare le eventuali defezioni, con conseguente scomparsa dell’incentivo a cooperare. Fortunatamente non è affatto necessario che la capacità di controllare il precedente comportamento dell’“altro” sia perfetta» (ivi, p. 151), dal momento che «COLPO SU COLPO si è comportata bene, nonostante l’errata interpretazione del passato proprio perché, essendo capace di perdonare volentieri, aveva una possibilità in più di ristabilire la reciproca cooperazione» (ivi, p. 152).

«Il nocciolo del problema del conseguimento del successo tramite la cooperazione sta nel fatto che l’apprendimento per prove ed errori è un processo lento, spesso penoso: potrebbero già esserci tutte le condizioni favorevoli a sviluppi di lungo periodo, ma può darsi che non si abbia tempo di aspettare che siano forze cieche a farci muovere lentissimamente verso strategie vicendevolmente premianti fondate sulla reciprocità. Se però comprendiamo meglio l’intero processo, possiamo almeno sfruttare la nostra preveggenza di esseri umani per accelerare l’evoluzione della cooperazione» (ivi, p. 158).

È la storia d’Europa dopo il 1945, a tappe: Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, patto di Roma, istituzione del parlamento europeo, integrazione economica e cooperazione tra le sue nazioni. Dopo l’ingresso di Danimarca, Irlanda e Regno Unito, consolidata in elezioni europee e nella politica regionale per le aree più povere, seguite dal programma Erasmus, dal lancio del mercato unico, dal superamento delle frontiere interne e dall’istituzione della moneta unica. Così ha preso via via forma e sostanza l’Unione Europea, con dodici nuovi paesi aderenti e la firma del trattato di Lisbona, giusto in tempo per affrontare la grande crisi del nuovo millennio: finanziaria, economica, politica e ora geopolitica. Ma con l’Europa unita nel principio della reciprocità.

«E per questo, soggiunge l’anonimo, si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio. È tirata un po’ con gli argani, e proprio da secentista: ma in fondo ha ragione» (A. Manzoni, I Promessi Sposi, Milano, Hoepli, 1998, p. 848).

 





 
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