La
colonia fa parte
delle cosiddette “utopie” di Pierre de Marivaux insieme a Lisola
degli schiavi – nota in Italia soprattutto per una regia di Strehler
– e Lisola della ragione. Dopo Il trionfo del dio denaro (2015)
e La seconda sorpresa dellamore (2021), Beppe Navello propone un
altro testo poco noto e di scarso successo.
A
seguito di un naufragio su unisola deserta, un gruppo di donne decide di
ribaltare lordine sociale e prendere le redini del potere al posto degli
uomini. Il regista si limita a “italianizzare” il testo di Marivaux, processo
opposto o speculare alla “francesizzazione” del repertorio della Comédie
Italienne che ebbe luogo a Parigi nel corso del Seicento. In entrambi i casi,
lobiettivo è quello di avvicinare culture diverse e straniere – quella
ospitata e quella ospitante – e di rendere comprensibile la storia.
In
questa commedia corale e al femminile, sul modello delle Ecclesiazuse (o
Le donne al parlamento) di Aristofane, i personaggi
maschili hanno uno spazio marginale e fanno un po da cornice alla vicenda. Tra
loro si registrano alcune persistenze della Commedia dellArte: Persinetto,
uno zanni acrobatico simile al più noto Arlecchino, che si pone come
punto di mediazione fra le due parti, accedendo alle trame del gentil sesso
origliando o per il tramite della propria innamorata. Il signor Sorbino
sembra uneco del vecchio o – per citare Goldoni – del “rustego”, corruttibile
dalla moglie ma fortemente legato al passato e al ricordo nostalgico di quando
le donne «cuociono la torta, come una volta, sfiancano il marito, come una
volta, fanno entrare lamante, come una volta, nelle spese si trattano bene,
come una volta…» (Aristofane, Le donne al parlamento, 221 ss.).
Un momento dello spettacolo
© Filippo Manzini I
costumi di foggia “classica” rimandano allantichità; i copricapi richiamano
lepoca di Marivaux; le pellicce leopardate e zebrate, indossate a un certo
punto dalle due donne ideatrici della rivoluzione, fanno pensare a una tribalità
intesa come punto di partenza ma anche come universo lontano. La scenografia di
Luigi Perego indica invece un tempo “coloniale”. Tramite elementi visivi
fortemente evocativi, lutopia attraversa varie epoche ma è anche
dichiaratamente funzionale alla messinscena: le vele leggere che simboleggiano
il naufragio – facilmente comprimibili, dilatabili e manovrabili – si adattano
al piccolo spazio del Saloncino Paolo
Poli del teatro della Pergola.
Un momento dello spettacolo
© Filippo Manzini
Le
luci e la musica hanno la funzione drammaturgica di scandire il ritmo del
racconto; la prima sembra anche segnare lo scorrere del tempo, rispettando in
qualche modo le unità pseudo-aristoteliche. Il “divertissement” originale – riadattato
da Germano Mazzocchetti, suonato al pianoforte e cantato dal vivo
rispettivamente da Alessandro Panatteri, dalle attrici e dagli attori – viene
replicato più volte sia per intramezzare la pièce sia per mettere in evidenza
frasi e questioni importanti. «Se anche non ci riusciremo noi, ci riusciranno
le nostre nipoti», dice una delle protagoniste. Unaffermazione un po sterile
che denuncia forse la reale mancanza di volontà e delle giuste condizioni per rendere
tangibile lutopia. Nellinsieme, la musica non è solo un elemento decorativo
ma contribuisce attivamente alla riuscita di un testo monotono e – un po come
riesce a fare il musical – unisce un pubblico potenzialmente diversificato.
Soprattutto nel finale, spiega lo stesso regista, lelemento musicale serve per
smorzare i toni e per “risolvere” la brusca interruzione che caratterizza
loriginale.
Un momento dello spettacolo
© Filippo Manzini La
colonia si pone
come linea di congiunzione tra passato e presente, accumunati dallutopia delle
donne al potere. Linattuabilità (e lironia) sta nel fatto che un mondo alla
rovescia, in cui le donne si comportano come gli uomini e gli uomini come le
donne, non sfocia in nessuna rivoluzione. Tutto è il contrario di tutto ma il
risultato finale è sempre lo stesso: un sistema scisso in due in cui qualcuno
comanda e qualcun altro soccombe, senza possibilità di integrazione e di
dialogo. Un simile ed estremo “femminismo” rischia, se possibile, di essere
ancor più rigido del “maschilismo” più incallito, privando lessere umano di
alcuni non indispensabili ma fondanti istituzioni, usi e sentimenti come il
matrimonio, lamore, la bellezza, la cura del corpo. Sono proprio questi
divieti a far scaturire i primi dissidi tra le donne, a introdurre nuovi
conflitti – oltre a quello di genere, quello tra ceti sociali – e a rendere
irrealizzabile la rivoluzione.
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