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Ombre nate dai ricordi

di Carmelo Alberti
  House of us. Part I – The mother
Data di pubblicazione su web 07/12/2022  

Forme evanescenti, ombre guizzanti e sagome nere di corpi umani, accanto agli oggetti del quotidiano, ai lampi tenui degli schermi-video, alle luci di piccole lanterne e alle atmosfere segnate da tinte giapponesi, definiscono il tracciato di una singolare dimora dei ricordi. È questa l’ambientazione di House of Us. Part I - The Mother, il personale viaggio teatrale creato da Irina Brook e presentato a Venezia, presso la Casa dei Tre Oci alla Giudecca; si tratta di un progetto che ha già preso vita nel settembre 2021 presso il Palazzo Sant’Elia a Palermo, con il sostegno del Teatro Biondo e degli allievi della scuola, e che ora rivive in una nuova versione sostenuta dal Teatro Stabile del Veneto - Teatro Nazionale e da altri enti culturali. Anche stavolta l’impegno dell’eclettica artista si collega a un programma di formazione per giovani attori dell’Accademia Teatrale e per futuri scenografi provenienti dall’Accademia di Belle Arti. Gli spettatori entrano in piccoli gruppi e partecipano a un avvenimento misterioso che ha uno sviluppo libero e variabile. 

In questa prima fase la performance pone al centro la relazione di Irina con la memoria della madre, vale a dire con Natasha Parry, l’appassionata attrice scomparsa nel 2015 che ha interpretato tanti capolavori con la direzione di Peter Brook. Entrando nella Casa-museo veneziana ci si trova subito nella «Sala delle ombre, del letto e della spirale», dove le icone dipinte dalla regista accentuano il senso di solitudine e di nostalgia sofferto da una donna che amava il teatro a dismisura: un letto sospeso oscilla leggero nel vuoto, circondato da una valigia, dai libri, dalle grucce senza vestiti, immagini di una partenza ricorrente che per la figlia si traduce in assenza, in lontananza. Nella stanza laterale, nel «Camerino della madre», una sedia vuota e una specchiera per il trucco paiono reperti di un ambiente evanescente, appena segnato da fotografie sparse e da reperti dei trionfi teatrali, a cominciare dal memorabile successo avuto con le recite de Il giardino dei ciliegi di Čechov al Théâtre des Bouffes du Nord di Parigi.


Una scena dello spettacolo
© Serena Pea

Salendo al primo piano si apre la «Sala degli specchi e del pianoforte», una stanza in forte penombra che alle pareti mostra una serie di specchi sciupati; qui i dieci bravi attori esordienti ondeggiano intorno alla figura logora e emaciata dell’attore Geoffrey Carey, intento a declamare in modo soffuso, con un tono derisorio, frammenti di testi shakespeariani. Dal volteggiare dei corpi e dall’accavallarsi delle voci proviene gradualmente la necessità di prendere le distanze dallo schematismo interpretativo e, soprattutto, dall’egemonia dei maestri, tanto più quando costoro comprimono gli impulsi creativi dei propri figli. L’impeccabile Carey, ad esempio, nella sua «Stanza» oscura, stracolma di scuri imballaggi, mentre apre la scatola degli oggetti infantili, sussurra la sconvolgente sofferenza di un fanciullo che racconta le prevaricazioni del padre, un’autoritaria star delle soap hollywoodiane, prima di trovare il coraggio di fuggire a Parigi. Anche nella «Cucina di Irina» s’affastellano tanti reperti della nostalgia e si elencano brani di letture che esplorano l’essenza del vivere, che esprimono il desiderio di migliorare il mondo. E ancora la «Stanza di Kostia», in cui emerge il difficile conflitto artistico tra le generazioni, attraverso il dramma di Konstantin Treplev ne Il gabbiano, schiacciato dalla sfiducia di una madre artista famosa.


Una scena dello spettacolo
© Serena Pea

Nel salone centrale si ricompone la comunità degli attori e degli spettatori; si recita, si canta, si sogna sulla scia delle citazioni dai capolavori di Čechov, sperando di diradare l’oscurità che si è insinuata nei cuori degli uomini, come dichiarano le parole di un anonimo: «Quando diventi il sole, le ombre spariscono». Dopo la discesa verso il piano terra Carey compone una danza a «spirale» in un labirinto di candele, un cammino intimo e silenzioso, prima che ciascun ospite sia invitato a liberare i pensieri più sinceri, scrivendo il nome di una persona cara su un foglio che una navicella a forma di casa lascia navigare sopra l’acqua di una vasca oscura, un gesto che s’ispira alla «cerimonia giapponese Obon». Il saluto di Irina Brook, che merita l’apprezzamento per la sua creazione autobiografica, somiglia a un arrivederci, perché si accinge a preparare altre due tappe della sua House of Us: nei prossimi anni sono previste, infatti, una Part II - The Son, dedicata alla condizione giovanile, e una Part III - The Daughter sulla meraviglia e sull’immaginazione.




House of us. Part I – The mother
cast cast & credits
 




Un momento dello spettacolo visto il 29 novembre 2022 alla Casa dei Tre Oci di Venezia
 
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