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Capricci d’amore nel paradiso perduto

di Gianni Poli
  Béatrice et Bénédict
Data di pubblicazione su web 06/11/2022  

Programmata e allestita in prova a Lione, poi rinviata causa pandemia, l’opéra-comique di Hector Berlioz viene ora coprodotta dal Teatro Carlo Felice di Genova e dall’Opéra de Lyon quale novità assoluta per l’Italia. Quando la scrisse, il compositore francese prolungava la gestazione di un progetto decennale, ispirato alla shakespeariana Much Ado About Nothing, commedia ambientata a Messina, nell’Italia da lui frequentata – anche con ambiziose e ripetute partecipazioni al Prix de Rome – e comunque molto amata. Il libretto, che dimostra modesta levatura nella semplificazione dei personaggi, nella superficialità dei loro moventi drammatici e nel suo procedere ripetitivo in rima, resta certamente ancillare alla partitura. 

Nella regia di Damiano Michieletto l’ambientazione, decisamente attualizzata, si serve d’una mitologia fantasiosa e intellettualistica per infrangere le pastoie realistiche. Il panorama d’una Messina pittoresca e popolare cambia nella configurazione d’una società riconoscibile oggi, nei notabili e nei rapporti sociali e famigliari. L’elemento sentimentale del soggetto si esplica nel confronto fra modi relazionali contrapposti: quello socialmente conformista, omologabile, fra Héro e Claudio e quello ribelle e selvaggio fra Béatrice e Bénédict. Parte la storia dall’incontro di saluto e d’accoglienza del Governatore, seguito dalla figlia e dalla nipote, e i rappresentanti militari, reduci vittoriosi da una guerra per la quale meritano i festeggiamenti del popolo.


Una scena dello spettacolo
© Teatro Carlo Felice di Genova
                                
Nel dispositivo vuoto, ma funzionalmente meccanizzato di Paolo Fantin, la fantasia di Damiano Michieletto evoca l’interno uniforme e bianchissimo del palazzo del Governatore, aperto sul bagliore del golfo di Messina, luogo dell’azione nel primo atto. L’organizzazione del ricevimento, affidata al Maestro Somarone, prevede la documentazione dell’evento, con microfoni, cuffie e registratore. Il secondo atto inizia in un parco esotico, che si scopre Paradiso terrestre abitato da Adamo ed Eva e da uno scimpanzé. Poi il ribaltamento del grigliato che reggeva il giardino dell’Eden forma una barriera, simbolo della prigionia prevista per i promessi sposi dopo il matrimonio. Infine, nello spazio liberato dalle piante e ridiventato il palazzo, s’avvia a scioglimento la vicenda di Claudio ed Héro, coppia impaziente di convolare a nozze. Parallela è la storia di Béatrice e Bénédict, per principio avversi al matrimonio, litiganti capricciosi e ambigui nei sentimenti reciproci. 

L’esempio dei fidanzati, l’invito degli amici propiziato da uno stratagemma convinceranno gli eterni indecisi al grande passo. Nel frattempo, lo scimmione (mimato in travestimento da Amedeo Podda, scattante d’agilità belluina) si mostra allegoria della condizione a cui aspira la coppia dei fidanzati. Il ruolo dei progenitori (Alessandro Percuoco e Myriam Tomè), nudi, puri e teneramente espansivi, viene turbato e avvilito quando vestiti anch’essi con abiti nuziali, ficcati in teche dorate, ascendono al cielo del palcoscenico. Altri simbolismi appaiono nella casa di tulle calata sui renitenti eroi del titolo per invischiarli e nelle farfalle di carta, catturate, chiuse sottovetro e liberate in coincidenza con lo sposalizio. 

Gli interpreti non risparmiano energie: con generosa dedizione contribuiscono a ravvivare il ritmo dell’azione, già didascalica nei segni ridondanti, forse a giustificare le carenze drammaturgiche, a colmare le quali si presume mirato l’apporto della coreografia. La fonte shakespeariana poco dona ai personaggi che pure dovrebbero sostanziare l’opera. Sicché anche i recitativi, ripetitivi e impoetici, sminuiscono la potenzialità lirica e le prestazioni canore.


Una scena dello spettacolo
© Teatro Carlo Felice di Genova

Per un organico quasi cameristico, si nota un’orchestrazione molto contenuta, nel confronto con l’usuale esuberanza spiegata dal compositore. Ciò appare nel fluire sonoro dell’Ouverture che segue limpida e cattivante l’accoglienza e la festa popolare. La direzione di Daniele Renzetti conferma la scelta d’una dinamica equilibrata nei rapporti fra i volumi, di cui beneficiano anche le voci dei cantanti, nel frequente intercalare dei recitativi “secchi”. L’impressione sui limiti della struttura drammaturgica non smentisce la convinzione autorevole del direttore, per la quale si trovino in partitura tesori nascosti e quindi sia «giusto riproporla affinché si ascoltino arie e duetti di grande spessore musicale e, a detta di alcuni musicologi, fra le pagine migliori che siano mai state ascoltate sulla scena lirica francese» (Note di direzione). 

Al cast giovanile e molto motivato spetta il merito d’offrire il primo ascolto originale di un’opera ritenuta minore e che rivela la sua giusta dosatura di pregi tematici e formali, con influssi di Mendelssohn, Rossini e Weber. Protagonista musicale è Héro, per la sua parte più consistente e strutturata, varia e irta, dalla prima aria (scena VI), chiara e speranzosa nell’incontro con l’innamorato. Se i versi mortificano il suo sentire, gioia e ardore ne sgorgano limpidi e sereni. Alla prova dell’abito nuziale, l’emissione gioca e ricama finemente la felice sorpresa, onorando il virtuosismo delle roulades (gorgheggi) convenzionali nel genere. Nota strana, la mancanza d’un duetto con Claudio, baritono dialogante appena con le voci maschili. La delusione canora nel rapporto con il partner è compensata dalla vivacità figurativa delle situazioni sceniche dispiegate. In duetto con la confidente Ursule, Héro tocca invece l’acme espressivo (atto I, scena XVI) per delicatezza e incanto nel notturno (lunare), con bucoliche suggestioni ed erotici sensi, eccitati dal clima, sfocianti in pianto.


Una scena dello spettacolo
© Teatro Carlo Felice di Genova

La coppia del titolo ha più occasioni di scambio, non sempre cantate. Nel duetto (atto I, scena 7) dichiarazioni contrarie al sentire, nella finzione. Nei momenti all’unisono, divagazioni e ritrosie attorno al letto matrimoniale, spunto alla vocalità vera e precipua del duo. Béatrice, una Cecilia Molinari soprano dal fraseggio un po’ rude, d’ironia urticante, finalmente liberato nell’unica aria tutta sua: «Dieu, que viens-je d’entendre? / Je sens un feu secret, / dans mon sein se repandre, / Bénédict... se peut-il?» (atto II, scena 2). Julien Behr tenore è un Bénédict volubile, dai pregiudizi facilmente ribaltabili, bastante uno scherzo simpaticamente concertato per aprirlo, nel rondò, a lodi sperticate per la “nemica” dichiarata. Somarone è comicamente reso dal basso Ivan Thiryon. Maestro titolare del coro, recita un curioso, pedante testimone e cronista delle voci di popolo. Ursule trova in Eve-Maud Hubeaux un mezzosoprano ricco e sfumato, con echi di più classiche dame di compagnia. Il governatore Léonato (Gérald-Robert Tissot, attore soltanto) e il Generale (Nicola Ulivieri, basso) s’inseriscono nella corrente motrice d’un mondo autarchico. Il coro, diretto da Claudio Marino Moretti, emula in sensibilità l’orchestra. In principio (scena V) aggiunge nobiltà all’inno di giubilo, malgrado la piatta retorica: «Le More est en fuite! Victoire! Vive la Sicile!». Segue un Epitalamio grottesco, augurale d’una morte-per-amore raddolcita. E al ritmo di marcia s’accende l’insegna luminosa, BÉNÉDICT L’HOMME MARIÉ, a suggellare il trionfo dell’unione già minacciata domani, dal ritorno delle ostilità.

Considerata la novità e l’infrequenza di altre esecuzioni, questa edizione si apprezza quale capostipite italiano, degno d’essere diffuso in diretta da Rai Radio3. Anche così si conferma una scelta programmatica, intesa a trarre dall’oblio opere del passato per riproporle a confronto con il repertorio.




Béatrice et Bénédict
Opéra-comique in due atti


cast cast & credits
 
trama trama



Una scena dello spettacolo visto al Teatro Carlo Felice di Genova 
il 28 ottobre 2022
© Teatro Carlo Felice di Genova 
 
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