Programmata e allestita in prova a
Lione, poi rinviata causa pandemia, lopéra-comique di Hector Berlioz viene ora coprodotta dal
Teatro Carlo Felice di Genova e dallOpéra de Lyon quale novità assoluta per
lItalia. Quando la scrisse, il compositore francese prolungava la gestazione
di un progetto decennale, ispirato alla shakespeariana Much Ado About Nothing,
commedia ambientata a Messina, nellItalia da lui frequentata – anche con
ambiziose e ripetute partecipazioni al Prix de Rome – e comunque molto amata.
Il libretto, che dimostra modesta levatura nella semplificazione dei
personaggi, nella superficialità dei loro moventi drammatici e nel suo
procedere ripetitivo in rima, resta certamente ancillare alla partitura. Nella regia di Damiano Michieletto lambientazione, decisamente attualizzata, si
serve duna mitologia fantasiosa e intellettualistica per infrangere le pastoie
realistiche. Il panorama duna Messina pittoresca e popolare cambia nella
configurazione duna società riconoscibile oggi, nei notabili e nei rapporti
sociali e famigliari. Lelemento sentimentale del soggetto si esplica nel
confronto fra modi relazionali contrapposti: quello socialmente conformista, omologabile,
fra Héro e Claudio e quello ribelle e selvaggio fra Béatrice e Bénédict. Parte
la storia dallincontro di saluto e daccoglienza del Governatore, seguito dalla
figlia e dalla nipote, e i rappresentanti militari, reduci vittoriosi da una guerra
per la quale meritano i festeggiamenti del popolo.
Una scena dello spettacolo © Teatro Carlo Felice di Genova
Nel dispositivo vuoto, ma funzionalmente
meccanizzato di Paolo Fantin, la
fantasia di Damiano Michieletto evoca linterno uniforme e bianchissimo del
palazzo del Governatore, aperto sul bagliore del golfo di Messina, luogo
dellazione nel primo atto. Lorganizzazione del ricevimento, affidata al Maestro Somarone, prevede la documentazione dellevento,
con microfoni, cuffie e registratore. Il secondo atto inizia in un parco
esotico, che si scopre Paradiso terrestre abitato da Adamo ed Eva e da uno
scimpanzé. Poi il ribaltamento del grigliato che reggeva il giardino dellEden
forma una barriera, simbolo della prigionia prevista per i promessi sposi dopo
il matrimonio. Infine, nello spazio liberato dalle piante e ridiventato il palazzo,
savvia a scioglimento la vicenda di Claudio ed Héro, coppia impaziente di convolare
a nozze. Parallela è la storia di Béatrice e Bénédict, per principio avversi al
matrimonio, litiganti capricciosi e ambigui nei sentimenti reciproci. Lesempio dei fidanzati, linvito degli
amici propiziato da uno stratagemma convinceranno gli eterni indecisi al grande
passo. Nel frattempo, lo scimmione (mimato in travestimento da Amedeo Podda, scattante dagilità belluina)
si mostra allegoria della condizione a cui aspira la coppia dei fidanzati. Il
ruolo dei progenitori (Alessandro
Percuoco e Myriam Tomè), nudi,
puri e teneramente espansivi, viene turbato e avvilito quando vestiti anchessi
con abiti nuziali, ficcati in teche dorate, ascendono al cielo del palcoscenico.
Altri simbolismi appaiono nella casa di tulle
calata sui renitenti eroi del titolo per invischiarli e nelle farfalle di
carta, catturate, chiuse sottovetro e liberate in coincidenza con lo
sposalizio. Gli interpreti non risparmiano energie: con
generosa dedizione contribuiscono a ravvivare il ritmo dellazione, già
didascalica nei segni ridondanti, forse
a giustificare le carenze drammaturgiche, a colmare le quali si presume mirato
lapporto della coreografia. La fonte shakespeariana poco dona ai personaggi che
pure dovrebbero sostanziare lopera. Sicché anche i recitativi, ripetitivi e
impoetici, sminuiscono la potenzialità lirica e le prestazioni canore.
Una scena dello spettacolo © Teatro Carlo Felice di Genova Per un organico quasi cameristico, si
nota unorchestrazione molto contenuta, nel confronto con lusuale esuberanza
spiegata dal compositore. Ciò appare nel fluire sonoro dellOuverture che
segue limpida e cattivante laccoglienza e la festa popolare. La direzione di Daniele Renzetti conferma la scelta
duna dinamica equilibrata nei rapporti fra i volumi, di cui beneficiano anche le
voci dei cantanti, nel frequente intercalare dei recitativi “secchi”.
Limpressione sui limiti della struttura drammaturgica non smentisce la convinzione autorevole del direttore, per la quale si
trovino in partitura tesori nascosti e quindi sia «giusto riproporla affinché
si ascoltino arie e duetti di grande spessore musicale e, a detta di alcuni
musicologi, fra le pagine migliori che siano mai state ascoltate sulla scena
lirica francese» (Note di direzione). Al cast giovanile e molto motivato spetta il merito doffrire il
primo ascolto originale di unopera ritenuta minore e che rivela la sua giusta dosatura
di pregi tematici e formali, con influssi di Mendelssohn, Rossini e Weber. Protagonista musicale è Héro,
per la sua parte più consistente e strutturata, varia e irta, dalla prima aria
(scena VI), chiara e speranzosa nellincontro con linnamorato. Se i versi
mortificano il suo sentire, gioia e ardore ne sgorgano limpidi e sereni. Alla prova
dellabito nuziale, lemissione gioca e ricama finemente la felice sorpresa, onorando
il virtuosismo delle roulades (gorgheggi) convenzionali nel genere. Nota
strana, la mancanza dun duetto con Claudio, baritono dialogante appena con le voci
maschili. La delusione canora nel rapporto con il partner è compensata dalla vivacità
figurativa delle situazioni sceniche dispiegate. In duetto con la confidente Ursule, Héro tocca invece lacme espressivo
(atto I, scena XVI) per delicatezza e incanto nel notturno (lunare), con
bucoliche suggestioni ed erotici sensi, eccitati dal clima, sfocianti in
pianto.
Una scena dello spettacolo © Teatro Carlo Felice di Genova La coppia del titolo ha più occasioni di scambio, non sempre cantate. Nel duetto (atto I, scena 7) dichiarazioni contrarie al sentire, nella finzione. Nei momenti allunisono, divagazioni e ritrosie attorno al letto matrimoniale, spunto alla vocalità vera e precipua del duo. Béatrice, una Cecilia Molinari soprano dal fraseggio un po rude, dironia urticante, finalmente liberato nellunica aria tutta sua: «Dieu, que viens-je dentendre? / Je sens un feu secret, / dans mon sein se repandre, / Bénédict... se peut-il?» (atto II, scena 2). Julien Behr tenore è un Bénédict volubile, dai pregiudizi facilmente ribaltabili, bastante uno scherzo simpaticamente concertato per aprirlo, nel rondò, a lodi sperticate per la “nemica” dichiarata. Somarone è comicamente reso dal basso Ivan Thiryon. Maestro titolare del coro, recita un curioso, pedante testimone e cronista delle voci di popolo. Ursule trova in Eve-Maud Hubeaux un mezzosoprano ricco e sfumato, con echi di più classiche dame di compagnia. Il governatore Léonato (Gérald-Robert Tissot, attore soltanto) e il Generale (Nicola Ulivieri, basso) sinseriscono nella corrente motrice dun mondo autarchico. Il coro, diretto da Claudio Marino Moretti, emula in sensibilità lorchestra. In principio (scena V) aggiunge nobiltà allinno di giubilo, malgrado la piatta retorica: «Le More est en fuite! Victoire! Vive la Sicile!». Segue un Epitalamio grottesco, augurale duna morte-per-amore raddolcita. E al ritmo di marcia saccende linsegna luminosa, BÉNÉDICT LHOMME MARIÉ, a suggellare il trionfo dellunione già minacciata domani, dal ritorno delle ostilità. Considerata la novità e linfrequenza di altre
esecuzioni, questa edizione si apprezza quale capostipite italiano, degno
dessere diffuso in diretta da Rai Radio3. Anche così si conferma una scelta
programmatica, intesa a trarre dalloblio opere del passato per riproporle a
confronto con il repertorio.
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