Presentato fuori concorso in occasione della
settantanovesima edizione della Mostra Internazionale dArte Cinematografica di
Venezia, lultima opera del regista livornese Paolo Virzì, Siccità,
ha riscosso un cospicuo numero di consensi. La pellicola, infatti, si è
aggiudicata ben tre riconoscimenti: il Premio Pasinetti come miglior film, il
Soundtrack Stars Awards 2022 e il premio speciale Green Drop Award. Il soggetto
è firmato dallo stesso Virzì e da Paolo Giordano, coadiuvati alla
scrittura da Francesca Archibugi e Francesco Piccolo,
mentre la produzione vede coinvolte Wildside e Vision Distribution. La storia è ambientata a Roma, dove da tre anni ha smesso di piovere. La conseguenza di tale fenomeno è ovviamente una terribile siccità, che mette a dura prova la vita degli abitanti della Capitale. Sullo sfondo di questo scenario apocalittico, lo spettatore assiste alle vicissitudini di una serie di personaggi, destinate a intrecciarsi tra di loro. Antonio (Silvio Orlando) è un galeotto ritrovatosi accidentalmente in libertà, che vaga per la metropoli alla ricerca dei suoi legami con il passato; Sara (Claudia Pandolfi) è un medico ospedaliero che deve fronteggiare una nuova emergenza sanitaria, diretta conseguenza della crisi idrica imperversante; lex-marito di lei Loris (Valerio Mastrandrea), finito a fare il tassista, è tormentato dai suoi fantasmi; Raffaella (Emanuela Fanelli) è una manager dellalta società continuamente umiliata dalle persone che la circondano.
Una scena del film Scritto durante il periodo del lockdown, il
film nasce come metafora della dura crisi causata dalla pandemia. Tuttavia, il
fatto di aver designato proprio la siccità come evento catastrofico che si
abbatte sulla collettività inerme, causando profondo malessere e ingenti danni,
offre anche un aggancio a quello che è lo spinoso tema del cambiamento
climatico – oggi quanto mai incombente, sebbene non sufficientemente affrontato
allinterno del dibattito politico contemporaneo. Il regista non fa certo
mistero che la questione gli stia molto a cuore, pertanto non esita a
utilizzare il medium cinematografico per sensibilizzare i suoi spettatori a
riguardo. Oltre alla tematica ecologista, Virzì non rinuncia alla componente intimistica, da sempre presente nelle sue pellicole, declinata nelle sue diverse sfaccettature: le varie dimensioni dellamore, il difficile confronto tra genitori e figli, la fragilità delle relazioni di coppia e il rapporto con se stessi. Scegliere di raccontare così tante storie in un film corale comporta inevitabilmente che alcune di esse finiscano per spiccare sulle altre. Particolarmente riusciti risultano il personaggio di Alfredo (Tommaso Ragno), unamara parodia degli influencer che predicano bene e razzolano male, e quello del professor Del Vecchio (Diego Ribon), un affermato idrologo inebriato dalla fama del momento – evidente riferimento ai numerosi epidemiologi divenuti vere e proprie star televisive nelle fasi più critiche della pandemia. Purtroppo, non tutti i personaggi godono di altrettanta fortuna. Limpressione è che, se si fosse deciso di sfoltire la rosa, concentrando le energie su di un minor numero di figure, la caratterizzazione complessiva del cast ne avrebbe giovato. Invece, le discrepanze si fanno sentire e la sensazione è che il regista abbia voluto strafare con la coralità, lasciandosi prendere un po troppo la mano come se in preda a un improvviso attacco di horror vacui.
Una scena del film Un altro aspetto degno di nota sono, senza alcun dubbio, le
impressionanti immagini della città di Roma piegata dalla siccità: vedendo il
fiume Tevere del tutto prosciugato, ridotto alla stregua della gola di un
canyon, lo spettatore non può di certo restare indifferente. A rimarcare
latmosfera torrida e soffocante è anche la sapiente scelta di una palette cromatica
giocata su toni caldi e terrosi, specie nelle scene diurne. Doverosa di
menzione è poi linfestazione di blatte che imperversa nei bagni delle
abitazioni: lo zampettare di questi insetti finisce con linsinuarsi
inevitabilmente nella mente di chi guarda, contribuendo ad acuire la sensazione
di disagio e di malessere. Visti
questi ottimi presupposti, la conclusione del film risulta eccessivamente consolatoria, come a
voler mettere un lieto fine a tutti i costi. Anziché un simile finale, più
consono a una classica commedia, forse sarebbe stato più onesto calcare
ulteriormente la mano sullaspetto distopico e catastrofico. Di certo un
epilogo negativo avrebbe concorso a sensibilizzare di più la platea sulle
complesse problematiche ambientali che affliggono il nostro tempo, nella
consapevolezza che, se non avverrà al più presto uninversione di rotta, ciò
che oggi è confinato al grande schermo è inevitabilmente destinato a tradursi
nella realtà. *
Studente di Digital humanities per la Storia dello spettacolo del
Corso di laurea magistrale in Scienze dello spettacolo, Dipartimento SAGAS, Università
di Firenze. |
|