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Ricordo di Elio Pandolfi

di Alessandro Tinterri
  Elio Pandolfi
Data di pubblicazione su web 31/10/2022  

Servo del signor conte è il titolo dell’incontro, promosso dagli Amici della Musica di Foligno all’Auditorium San Domenico il 9 ottobre, per ricordare Elio Pandolfi a un anno dalla scomparsa, avvenuta a Roma l’11 ottobre 2021: il concerto dei Solisti Veneti è stato preceduto dalla proiezione di una video intervista del 2005, in cui Pandolfi ricorda Luchino Visconti, e da una rievocazione de L’impresario delle Smirne, allestimento goldoniano firmato dallo stesso Visconti. Serata organizzata dal maestro Marco Scolastra, legato all’attore da affetto e stima, frutto di una pluridecennale collaborazione, fatta di tante serate in giro per l’Italia. 

Nella lunga carriera dell’attore l’interpretazione del soprano Carluccio, che aveva segnato l’ingresso del giovane Pandolfi nella primaria compagnia Morelli-Stoppa, era stato il momento di cui Pandolfi andava maggiormente fiero. Sei anni dopo la storica Locandiera, Visconti era tornato a mettere in scena Goldoni con la compagnia Morelli-Stoppa, questa volta un testo minore, L’impresario delle Smirne, che debuttò al teatro La Fenice di Venezia martedì 30 luglio 1957, nell’ambito del XVI Festival Internazionale del Teatro di Prosa, con un cast d’eccezione, che vedeva Paolo Stoppa nei panni di Alì e Rina Morelli come Annina, cantante bolognese, che, affiancata dalle due rivali, la toscana Ilaria Occhini e la veneta Edda Albertini, insieme con la scelta della versione in versi martelliani, inseriva il testo nell’orizzonte della riforma goldoniana di ‘imborghesimento’-superamento della Commedia dell’Arte. Secondo Ludovico Zorzi, infatti, L’impresario delle Smirne era un testo oscillante, «in una forma mista tra il superamento tecnico dell’Arte, la commedia di carattere, il garbato pamphlet di costume e il puro giuoco del divertissement» (L’attore, la Commedia, il drammaturgo, Torino, Einaudi, 1990, p. 291). 

Al debutto parigino, il critico di «Le Monde», memore della sensazione suscitata dalla Locandiera, decretava entusiasta: «Era una sfida. Ce l’ha fatta. Stupenda dimostrazione di maestria, di buon gusto, di erudizione, questo spettacolo uguaglia, se non supera, il precedente». Venendo poi agli interpreti, il Carluccio di Pandolfi si guadagnava la terza posizione, subito dopo i due capocomici: «Paolo Stoppa strabuzza quei suoi occhioni bianchi spaventati sotto il turbante dell’impresario musulmano; Rina Morelli stilizza con maestria la parte di Annina, la diva bolognese. Mi piace la sua grazia nervosa, aspra. Eppoi c’è un inverosimile tenorino [soprano] dalla voce di castrato che Elio Pandolfi interpreta con arguzia» (C. Sarraute in «Le Monde», 16 aprile 1958, in L. Visconti, Il mio teatro, a cura di C. d’Amico de Carvalho e R. Renzi, Bologna, Cappelli, 1979, vol. II, pp. 146-147). 

Spesso ospite nella villa di Visconti sulla Salaria, Pandolfi così ricorda quelle serate: «Luchino con me si divertiva tantissimo, amava soprattutto le mie imitazioni. Ogni tanto in maniera del tutto estemporanea, durante queste serate me ne chiedeva qualcuna, e per me era una vera gioia poterlo accontentare. Una volta imitai Rina Morelli con lei presente, e fortunatamente la stessa Morelli trovò la sua caricatura molto divertente! Insomma, da Visconti ero, come si dice, di casa, anche prima di fare teatro insieme. […] Provai invece grande soddisfazione quando mi accorsi che durante la rappresentazione de L’impresario delle Smirne Luchino stava nascosto dietro il sipario e rideva di gusto durante le mie scene più divertenti. Mi diceva sempre: “Fai meno che puoi con le parole, hai una faccia espressiva, giocati tutto sulla faccia”» (E. Pandolfi, Che spettacolo!, a cura di C. Taricano, introduzione di S. Della Casa, Roma, Gremese, 2018, pp. 116-117). 

Il gusto per le imitazioni, che divertivano tanto Visconti, risaliva al periodo in cui Pandolfi frequentava l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, quando Silvio d’Amico, incrociandolo nei corridoi, gli chiedeva di imitare la circolare, il tram che da Valle Giulia porta al Verano: «Ricordo che proprio in Accademia cominciai a imitare tutti i più grandi attori italiani; Silvio D’Amico si divertiva moltissimo, la sua preferita era quella di Gino Cervi e poi c’era la parodia della gallina (che tanto avevo potuto osservare stando in campagna da nonna), per la gioia di Orazio Costa che la trovava adorabile» (ivi, pp. 88-89).

Risalgono agli anni dell’Accademia anche le amicizie destinate a durare una vita, prima fra tutte quella con Bice Valori, alla quale lo legava un’intesa così forte da ingelosire Paolo Panelli, suo marito, e accadeva spesso che amici e colleghi finissero nell’obiettivo della cinepresa Super 8 di Pandolfi: «Ho fatto moltissimi filmati dei viaggi, delle tournées, dei giorni di vacanza che condividevo con i miei amici. Ho persino realizzato un piccolo documentario tutto ambientato e girato a Ostia dove racconto una delle nostre giornate al mare. Si intitola Ostia parade e ci sono Bice Valori, Tino Buazzelli, Carlo Giuffré, Nino Manfredi, Flora Carabella, Lina Wertmüller, Marcello Mastroianni con il fratello e molti altri…» (ivi, p. 91). 

Ma chi era Elio Pandolfi? Nato a Roma il 17 giugno 1926, attore brillante, talento versatile, nella sua lunga carriera ha rivestito molti ruoli, attraversato i diversi mondi dello spettacolo, sempre distinguendosi per professionalità ironia e leggerezza. Il cinema, di cui era un profondo conoscitore, è stato il suo grande amore, frequentato sia come attore sia come doppiatore, una passione non adeguatamente ricambiata e fu per lui fonte di qualche rammarico. Gliene rende atto Steve Della Casa: «La poliedricità del personaggio è evidente, incontrovertibile, ricca di sfumature. Ma l’offerta da parte dell’industria del cinema non ha saputo minimamente valorizzare tali potenzialità, e c’è un evidente velo di tristezza quando Pandolfi certifica che gli venivano soprattutto offerti ruoli di effeminato, eunuco, omosessuale. Una scelta miope, oltre che meschina, da parte dell’industria. Perché basta vedere lo sposino di Altri tempi, il film da lui interpretato per Alessandro Blasetti, o lo straordinario alter ego comico di Gian Maria Volonté, da Pandolfi proposto nel favoloso Per qualche dollaro in meno, per capire che le sue doti recitative erano una notevole tavolozza della quale sono stati utilizzati pochissimi colori. Basta ascoltare le tonalità di voci che egli presta agli attori più diversi (durante la sua carriera ha doppiato tra gli altri Donald O’Connor nella parte cantata di Cantando sotto la pioggia, Charles Laughton e un giovanissimo Tomas Milian) per capire come sappia modulare non solo la voce, ma anche lo sforzo recitativo nelle direzioni più impensate. Senza contare quanto abbiamo già ricordato, e cioè la straordinaria performance che lo porta a riassumere in sé tutte le voci della scena della conferenza stampa nel capolavoro di Fellini La dolce vita» (ivi, pp. 10-11). 

Voce della radio, iniziò prestissimo a collaborare ai programmi della Rai, scritturato nella Bisarca (1948-1950), rivista radiofonica che lanciò la coppia Pietro Garinei e Sandro Giovannini, coi quali sarebbe tornato a lavorare al Teatro Sistina in Alleluja, brava gente (1970). La televisione iniziò a frequentarla sin dalle prime trasmissioni, chiamato nel 1953 dal regista Sergio Pugliese, riandava nel ricordo ai primi pionieristici passi, culminando in un’esclamazione di comprensibile orgoglio: «Furono dieci mesi faticosissimi. Andavamo in diretta, e perciò eravamo sfiniti dalle prove. Però fu un’esperienza straordinaria, l’emozione era indescrivibile, perché quando si accendeva la lucetta rossa voleva dire che tutta l’Italia – quella che aveva la televisione – ti stava guardando. Noi in fondo siamo stati i primi!» (ivi, p. 108). 

Grandi soddisfazioni gli diede l’incontro con il mondo dell’operetta, il più adatto a valorizzare i suoi molteplici talenti di attore, cantante e ballerino. Nel 1967 debuttò, accanto a Sandra Mondaini, al San Carlo di Napoli ne La principessa della Czarda di Emmerich Kálmán per la regia di Vito Molinari, lo stesso titolo con il quale avrebbe debuttato di lì a poco al Teatro Verdi di Trieste, inaugurando una proficua collaborazione con il Festival dell’Operetta, sino all’indimenticabile interpretazione nel ruolo di Njegus ne La vedova allegra di Franz Lehár, con Raina Kabaivanska, regista Mauro Bolognini, che oggi si può rivedere su YouTube, dalla quale partire per un viaggio infinito nella rete sulle tracce di Elio Pandolfi.




 



 
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