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Un’americana a Roma: Anne D’Arbeloff Guerrieri

di Teresa Megale
  Anne D’Arbeloff Guerrieri
Data di pubblicazione su web 21/10/2022  

Come una meteora venuta da un altro mondo, di cui molti temono il passaggio mentre alcuni la osservano stupiti o increduli, Anne d’Arbeloff (1927-2022) ha solcato il teatro italiano e ha lasciato una traccia indelebile del proprio passaggio. Poco o per nulla arrendevole, forte, fortissima, fino agli ultimi anni della sua lunga e operosa vita è stata dotata di una energia e una determinazione rare, che finivano persino con imbarazzare talvolta i propri interlocutori.

Organizzatrice inossidabile dalla incrollabile tenacia, riusciva là dove altri si sarebbero arresi istantaneamente. Per ottenere il suo scopo, produrre spettacoli ed eventi di caratura internazionale ­ come desiderava il suo Gerardo –, riusciva a mobilitare compagnie aeree e annoiati aristocratici, diplomatici scettici e politici distratti, uomini di scena prudenti e giornalisti riottosi. E, dopo la scomparsa di Guerrieri, anche accademici che, forse per pigrizia, stentavano a riconoscere il peso di suo marito all’interno della cultura teatrale del secondo Novecento.

Donna di straordinarie qualità manageriali e di intelligenza acuta, aveva incorporata la leadership. Era, per dirla con Goldoni, una donna di governo che non smetteva mai il suo ruolo. La sua corazza e la sua determinazione venivano da lontano. Appartenente a una famiglia di aristocratici georgiani esuli negli Stati Uniti, aveva fatto esperienza diretta del teatro e aveva saldato la drammaturgia con la vita politica. Entrata giovanissima nella segreteria di Eleanor Roosevelt, la grande first lady attivista nel campo dei diritti umani, aveva cominciato con tale funzione a tessere rapporti con l’Italia. Ed è così che la scoprì Oriana Fallaci, mentre nei primi anni Cinquanta si affaccendava a costruire ponti aerei fra i giovani italiani e quelli statunitensi.

Da americana a Roma, non amava il conformismo e non si era mai adeguata probabilmente a nessun conformismo, men che meno al più pernicioso di tutti, quello culturale. Creatura equamente divisibile fra Guerrieri e lei è stato sicuramente il Teatro Club, una complessa e ramificata avventura teatrale durata dal 1957 fino al 1984, il cui archivio è stracolmo di scritture di Anne d’Arbeloff. Lettere, inviti, solleciti, richieste di concessioni e carte le più varie parlano del suo iperattivismo e delle sue capacità di instaurare e curare relazioni con ministeri, enti, istituzioni, associazioni, giornali, singole personalità dell’arte e della cultura. Per tacere delle compagnie teatrali e dei gruppi: il suo ruolo nell’arrivo del Living Theatre nel nostro paese fu determinante. La sua specialità sembrerebbe fossero le ambasciate: sapeva come rivolgersi e come attivare l’attenzione dei diplomatici, canale privilegiato per lavorare su scala internazionale. Amica di uomini politici di altissimo profilo, come Aldo Moro, a lei si deve l’occupazione letterale di spazi romani non convenzionali durante gli spettacoli del Teatro Club. Si muoveva a tutto campo e a largo raggio: per lei far sbarcare la più numerosa compagnia di danza dall’Europa dell’Est nel Palasport o portare i riti degli aborigeni australiani in un museo erano la stessa cosa, perché rappresentavano la stessa sfida.

Dopo la scomparsa di Guerrieri ha saputo rilanciare in più occasioni l’importanza del pensiero del marito. Senza mai mollare, con la complicità affettuosa della figlia maggiore, Selene, ha partecipato a inaugurazioni di teatri nel nome del marito, a interviste finite incastonate in vari documentari, a convegni, a seminari.

Adesso che la sua voce, così particolare, non c’è più, rimarrà a lungo la sua straordinaria lezione di vita, di arte e di passione.




 



 
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