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Ideologie e scienza economica

di Giuseppe Gario
  Ideologie e scienza economica
Data di pubblicazione su web 10/10/2022  

«Dal 2000 il debito delle società non finanziarie è passato da 64% del Prodotto Interno Lordo a 81% in USA e da 73% a 110% in area euro. (In Gran Bretagna è un modesto 68%, più o meno come nel 2000, raro punto di sollievo per un’economia altrimenti assediata). Insieme, le società per azioni americane, britanniche e area euro ora devono ai creditori quasi 19 trilioni di dollari, e altri 17 trilioni le società non quotate. Quanto traballa questa pila di debiti?» (A reckoning has begun for corporate debt monsters, «The Economist», “Today”, 27 settembre 2022, on line). 

In Capitalism, socialism, democracy, nel 1942 Joseph Schumpeter definì “distruzione creatrice” il processo innovativo senza fine della rivoluzione industriale nata in Europa poi mondiale con la crescente centralità dei poteri economico-finanziari. «La creazione della società a responsabilità limitata è stata un potente strumento […] per sbloccare guadagni economici nel settore privato, ma anche per limitare l’influenza dell’impresa e proteggere democrazia e istituzioni civiche dai suoi eccessi» (Stakeholder capitalism poisons democracy, argues Vivek Ramaswamy, «The Economist», 24 settembre-3 ottobre 2022, on line). Abrogato nel 1999 dal Congresso repubblicano USA il Glass-Steagall Act, che dopo la “grande crisi” del 1929 separò attività bancaria ordinaria e investimento, le imprese hanno avuto mano libera. «Le corporation possono aver sostenuto l’innovazione nell’ultimo secolo, migliorando la vita attraverso nuove tecnologie, scoperte mediche, progressi nei trasporti e simili. Ma negli ultimi quarant’anni hanno esagerato. Hanno fatto pressioni per affossare lo stato sociale, costringendo un grande numero di persone a lottare ogni giorno per sopravvivere. Hanno fatto pressioni a favore della impunità in modo da alimentare il cambiamento climatico, inquinare l’aria, intasare gli oceani con la plastica e distruggere le foreste e le specie (aumentando il rischio di pandemie mortali, tra le altre cose). Hanno combattuto la democrazia su ogni fronte e hanno favorito una nuova ondata di autoritarismo. E hanno fatto tutte queste cose perché, istituzionalmente, è quello che sono progettate per fare. Non è una sorpresa che abbiano fatto quello che hanno fatto. La tragedia è che glielo abbiamo permesso» (J. Bakan, Siamo qui per voi. Come ci governano le nuove corporation, Milano, Feltrinelli, 2022, p. 157). 

Sempre più le imprese impongono i loro interessi a democrazia, istituzioni civiche, noi cittadini e alla terra che ci ospita e possiamo distruggere, ma non creare. All’alba dell’età moderna – la nostra – ci fu detto che ci sono più cose tra cielo e terra di quante ne possiamo sognare nelle nostre filosofie. Nella crisi ambientale in anticipo sulle previsioni e nel mondo unito tecnologicamente ma via via più frammentato in centri sempre più ricchi e gigantesche periferie sempre più misere, tra cielo e terra è determinante il rapporto tra ideologie e scienza economica. 

Ideologie e scienza economica (Firenze, Sansoni, 1966), un volume di Joan Robinson, che lo pubblicò nel 1962 a Cambridge dove insegnava politica economica, conclude su Le regole del gioco. «Nel pieno della confusione, c’è un solido, immutabile blocco di ideologia, talmente scontato per tutti noi che il più delle volte neppure lo si rileva: il nazionalismo» (ivi, p. 185). «Un punto di vista genuinamente universalistico è molto raro. Al massimo, possiamo arrivare a dire che in un mondo prospero noi viviamo meglio che in un mondo in miseria. La prosperità degli altri non è desiderabile per amor loro, ma come contributo ai nostri agi; quando quella prosperità appare come una minaccia a questi ultimi, non è desiderabile affatto. Questo sembra un modo di pensare così naturale, così giusto e appropriato, che non ci accorge neppure che è comunque un modo particolare di pensare: è un’aria che abbiamo respirato dalla nascita, e non ne avvertiamo più l’odore» (ivi, p. 187). 

«Gli enormi progressi fatti dalla produzione in regime di concorrenza internazionale ci hanno condotti alla paradossale situazione odierna. Mai prima le comunicazioni sono state così totali. Mai prima l’opinione pubblica colta in ogni paese è stata così consapevole del resto del mondo. Mai prima si è trovato opportuno pensare alla povertà come ad un problema mondiale: solo ora appare possibile, con l’applicazione della scienza alla salute, al controllo delle nascite e alla produzione, sollevare l’intera razza umana dalle sue peggiori miserie» (ivi, p. 189). «Ma l’inimicizia interna viene vinta proiettando all’esterno gli istinti aggressivi. Molte cose che verrebbero considerate un male in patria si giustificano in nome dell’interesse nazionale. Come dice il dottor Johnson, “il patriottismo è l’estremo rifugio degli scellerati”. Ancora una lunga strada ci resta da percorrere, perché la coscienza nazionale si evolva in modo tale da trasformare il patriottismo in desiderio di comportarsi rettamente» (ivi, p. 190). «La rivoluzione keynesiana smascherò il preteso internazionalismo delle dottrine del libero scambio, e aiutò ad introdurre un internazionalismo autentico nel nostro modo di pensare. Gli accordi internazionali del dopoguerra, sebbene profondamente influenzati dagli ideali del libero scambio, contemplarono clausole di salvaguardia per paesi che avessero difficoltà nella bilancia dei pagamenti e per le nazioni sottosviluppate; e permisero alla politica dell’occupazione interna di avere la precedenza sugli obblighi internazionali». «Senza lo schermo della dottrina del laissez faire, il problema morale, su scala mondiale, ci guarda chiaramente in faccia» (ivi, p. 191). Infatti. 

Servendosi dello stato o asservite allo stato, tipicamente in USA e Russia, le corporation accrescono sempre più la loro presa su noi e sul mondo, nel credo neoliberista di una democrazia solo formale di periodiche elezioni non (troppo) palesemente manipolate (ma con margini sempre più ampi, come il tentato colpo di stato elettorale di Trump dimostra). In gergo, populismo. È l’atavica politica di forza dei potenti di turno, come nei fatti accertati giudiziariamente nelle nostre vicende di stragi. Magistrato dal 1970 al 2015, Giovanni Tamburino «rinvia a una ragione sostanziale rappresentata dalla difesa degli interessi» (Dietro tutte le trame: Gianfranco Alliata e le origini della strategia della tensione, Roma, Donzelli, 2022, p. 118). «Sin quando questo insieme di interessi ancora attuali non verrà analizzato compiutamente e dissolto attraverso gli strumenti del diritto, non potremo essere sicuri che la stagione delle stragi sia tramontata nel nostro paese» (ivi, p. 122) e ovunque l’impressionante disponibilità di risorse finanziarie riservate dei servizi di sicurezza e informazione «spiega la convinzione secondo cui “chi è padrone dei servizi è padrone dello Stato”» (ivi, p. 120). «Non poche volte con il passaggio più o meno diretto dal comando dei servizi a ruoli di vertice nello Stato. I casi stanno sotto gli occhi. Uno di questi riguarda l’autore dell’aggressione (febbraio 2022) all’Ucraina» (ibid.). A beneficio di interessi misurabili in denaro. 

«Quanto sta accadendo alla Borsa di Amsterdam con i contratti futures sul gas naturale è probabilmente solo un assaggio. Il punto di scambio virtuale Ttf [Title Transfer Facility, mercato del gas istituito nel 2003 in Olanda, ndr] è infatti un mercato piccolo, sottile». «Con l’effetto leva, bastano pochi ordini a far oscillare violentemente i prezzi. Il ricatto russo sulle forniture di metano all’Europa ha semplicemente amplificato il meccanismo tipico della speculazione che dopo aver fatto il pieno di gas – l’aumento delle quotazioni del Ttf europeo in un anno è stato del 753% – è già pronta a cambiare bersaglio, cercandone uno più grosso. L’euro, nelle brame degli avvoltoi, ha una stazza decisamente appetibile». «Nel panorama economico attuale e soprattutto con una guerra in corso alle porte d’Europa non si possono escludere anche gli scenari estremi. Quelli peggiori per i cittadini europei e migliori tanto per la “finanza casinò” quanto per il presidente Vladimir Putin: incertezza, confusione, frammentazione sono a entrambi utili per far saltare l’euro-banco». «L’Europa, nell’affrontare l’ultima grande crisi finanziaria undici anni fa, commise soprattutto l’errore di non mostrare compattezza, anzi di spaccarsi. Non fu cioè in grado di condividere per tempo i rischi. Allora ci mise una pezza – meglio, un vero e proprio scudo – la Bce e in particolare l’allora presidente Mario Draghi, con il whatever it takes, “qualsiasi cosa serva” per salvare l’euro». «I danni ormai prodotti alle economie di alcuni paesi e in particolare della Grecia furono però enormi, proprio a causa del ritardo nella risposta Ue». «Un singolo Paese con un debito da 2.766 miliardi, pur sovrano, non sarebbe in grado di fermare la speculazione. È la stessa scommessa di Putin: può vincere la sua guerra solo con un’Europa disunita» (M. Girardo, I velleitari e gli avvoltoi, «Avvenire», 6 settembre 2022, pp. 1 e 4). 

«Il cancelliere Scholz si è comportato sul gas più o meno come avrebbe fatto Salvini in Italia. Ha preso duecento miliardi a debito e li ha destinati ad aiutare imprese e famiglie tedesche: pagherà lo Stato la differenza tra il prezzo ideale e quello reale delle bollette, e lo finanzierà con uno scostamento di bilancio, in deroga alla sua tradizionale disciplina fiscale». «Il fatto che Scholz lo faccia non vuol dire che abbia ragione Salvini». «Gli sbalzi del prezzo del gas in questo momento non sono determinati dalla scarsità del bene. Abbiamo ridotto sostanzialmente e rapidamente la nostra dipendenza dalla Russia. È un mercato con sede ad Amsterdam a fissare infatti il prezzo, su basi largamente speculative (scommesse su “future”). Se dunque i Paesi europei lasciano in piedi quel casinò, e versano anzi soldi pubblici sul tavolo da gioco, non fanno altro che finanziare chi ci sta strangolando. Se mettono invece un tetto alle puntate di quel tavolo, cosicché non sia più conveniente alzare la posta, riducono stabilmente il prezzo dell’energia. E, naturalmente, lo possono fare solo insieme» (A. Polito, La giusta idea di Europa, «Corriere della Sera», 22 ottobre 2022, p. 1). 

Disunione e unione hanno una logica interna. «Lo spazio dell’economia nazionale non è il territorio della nazione ma il campo che abbracciano i piani economici del governo e degli individui (non parliamo – lo si noti – del piano economico della nazione). Questi piani economici anche in un regime liberale sono diversamente dominanti e dominati e normalmente incompatibili gli uni con gli altri. L’internazionalizzazione di questi spazi non consiste quindi in una redistribuzione di risorse tra spazi nazionali né in un’addizione o combinazione di spazi nazionali; essa consiste nel rendere compatibili i piani economici dei governi e degli individui. Questo sforzo solleva delle vere difficoltà, ma anche indica dei veri risultati. Le difficoltà esistono, quali che siano i tracciati di frontiera, i risultati si possono raggiungere teoricamente tra paesi che accettano la sostanza dell’economia di mercato senza rettifiche di frontiera. Dato che lo spazio economico è d’altronde un campo di forze, la nazione si presenta come un punto di passaggio di queste forze e come un insieme di centri o poli dai quali emanano e dove vanno talune di esse. A seconda dei settori dell’economia concreta, a seconda della natura delle attività considerate, a seconda dei periodi, gli spazi nazionali assumono dunque un significato eminentemente variabile, che non può mai essere precisato dal loro tracciato o dal loro contenente» (F. Perroux, L’economia del XX secolo, Milano, ETAS Kompass, 1967, p. 141). 

«Se applicassimo l’analisi delineata ad un gruppo di nazioni (perché no all’Europa?) saremmo radicalmente guariti dalle seduzioni dello spazio economico europeo, della grande nazione europea e anche del “blocco liberale”. Si scorgerebbe distintamente la differenza tra una cooperazione economica che svalorizzi le frontiere e un’altra che pretenda soltanto di allargarle» (ivi, p. 142). «L’economia europea come ogni altra economia non è localizzabile e le politiche che lo dimenticano sono nocive» (ivi, p. 143). Nel percorso politico verso un’economia europea, abbiamo attraversato il Rubicone della moneta unica, tra grandi difficoltà perché è la compatibilità dei piani economici di governi e individui che dà alla moneta il suo valore di cooperazione e scambio, distrutto dai conflitti insieme alle vite umane e al mondo che ci ospita, in una sequela di crisi sempre più gravi provocate tuttora dagli interessi, “li soprani der Monno vecchio” (Io so io, e vvoi nun zete un cazzo, sonetto 362da Sonetti Romaneschi di G.G. Belli]. Perciò «la cosa più importante per gli economisti, quando discutono tra di loro, è di “tentare molto seriamente”, come il professor Popper ci dice che fanno gli scienziati della natura, “di evitare di porre falsi problemi” e, rivolgendosi al mondo – annunciando in modo chiaro e distinto le loro dottrine – di combattere e non coltivare, l’ideologia che pretende che i soli valori che contano sono quelli misurabili in moneta» (Robinson, Ideologie e scienza economica, cit., p. 213). 

“Saper fare” con radici antiche: «non usate i beni di questo mondo solo per voi stessi e per il vostro egoismo, ma servitevene per generare amicizie, per creare relazioni buone» (Il Papa: scaltri secondo il Vangelo vuol dire creativi nel fare il bene, in «Avvenire», 20 settembre 2022, on line). «Le voci di caduta di Credit Suisse fanno impazzire gli investitori», perché la seconda banca svizzera sarebbe il «remake del crollo di Lehmann Brothers nel 2008 a Wall Street e della crisi finanziaria internazionale» (S. Enderlin in «Le Monde», 5 ottobre 2022, on line). «Amante di metafore svelte non sempre politicamente corrette, il celebre investitore americano Warren Buffet usava dire di sentirsi, nelle crisi finanziarie, “come un maniaco sessuale nell’harem”» e gli economisti, «punti sul vivo dalla Regina d’Inghilterra che nel 2008 chiese loro perché non avessero visto arrivare quella crisi, le hanno risposto riconoscendo “lo scacco della immaginazione collettiva di persone brillanti e intelligenti sia in Regno Unito che altrove”. Ci risiamo» [P. Escande, Comme un parfum de déjà-vu, in «Le Monde», 5 ottobre 2022, on line]. Manca l’intelligenza diffusa dell’economia che, come dice Perroux, non è localizzabile, neppure negli interessi. 

PS. Cito spesso libri della mia formazione. Come il vino, sono buoni se lo sono ancora dopo anni.







 
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