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Braibanti non è Madame Bovary

di Marco Pistoia
  Il signore delle formiche
Data di pubblicazione su web 10/10/2022  

«Siamo fratelli!», grida Ettore (Leonardo Maltese) al fratello maggiore Riccardo (Davide Vecchi), durante una delle passeggiate in bicicletta. Un’altra scena, notturna, sempre tra i due, fa da pendant, soprattutto perché in entrambe emerge uno dei temi portanti del film, la gelosia: tema scespiriano, verdiano, proustiano, solo per citare riferimenti altissimi. È la gelosia di Riccardo nel contendere al fratello la propria predilezione verso Aldo Braibanti (Luigi Lo Cascio), sia in quanto fratello maggiore, sia perché per primo allievo di Braibanti, che gli preferirà (come allievo ma anche come amante) Ettore. E nella sequenza notturna citata emerge anche uno dei riferimenti cinematografici che riteniamo poter individuare in questo gran bel film. Quello al cinema di Bernardo Bertolucci, in particolare a Prima della rivoluzione (1964) e segnatamente alle rispettive cadute dalla bicicletta. Nel film di Amelio è Riccardo che volutamente fa cadere dalla bici il fratello, gesto eloquente per manifestare la sua gelosia.


Una scena del film

A Bertolucci va almeno un altro richiamo, anche questo a mo’ di omaggio e quasi citazione: siamo verso il finale e un bellissimo carrello da sinistra a destra, nel bosco della campagna piacentina, evoca fortemente un carrello di Novecento (1976). E in questi richiami, come ad altri del proprio cinema (a esempio Porte aperte, 1990, ma anche Così ridevano, 1998), risiede uno dei motivi importanti di stile e poetica che Amelio rivela nel film. Perché Il signore delle formiche è senz’altro un film su Braibanti e con precisi riscontri documentali ma è anche un film auto-riflessivo. Non propriamente autobiografico ma un’opera dove Amelio mette in gioco sé stesso, sia come persona sia come regista: l’autore calabrese ha dichiarato che poco più che ventenne poté seguire solo alcune fasi del processo Braibanti, ma l’affaire fu per lui anche uno dei momenti attraverso i quali scoprire sempre di più la propria omosessualità. È dunque in buona parte di sé – nelle due dimensioni citate – che Amelio parla attraverso Il signore delle formiche. Ma è inutile riferirsi a Flaubert, perché Amelio non è propriamente Braibanti, dunque non è la Bovary della celebre massima del grande scrittore. D’altra parte Braibanti dice di sé, in bellissima battuta: «Io non sono come loro ma sono anche come loro». Coglie, Amelio, semmai, occasione per narrare per immagini una storia che senz’altro gli sta a cuore – e a partire dai tanti decenni trascorsi dalla vicenda e dal processo – una storia e una figura che un po’ prima del film sono state al centro di uno spettacolo teatrale e di un documentario, entrambi pregevoli, di Massimiliano Palmese (autore nel 2017 de Il caso Braibanti).

Una scena del film

Di Braibanti – almeno in base alle notizie consultate – Amelio coglie elementi profondi, compresa quella rabbia, implacabile, con la quale si rivolge ai propri allievi nelle scene legate alla preparazione di uno spettacolo teatrale. Ma anche la dolcezza, che rivolge a Ettore e alla madre, figura peraltro bellissima, dolente, che si chiama Susanna, come la madre di Pasolini, della quale sembra evocare anche la grazia (l’attrice non professionista che la interpreta, Rita Bosello, è di impeccabile credibilità e bravura). L’altra madre è quella, terribile, di Ettore: la scelta di Amelio, assai originale, di farla interpretare da una grande cantante d’opera, Anna Caterina Antonacci, peraltro più spesso rossiniana che verdiana, è funzionale a conferirle un che di sospeso tra il melodrammatico e il tragico (quasi come la Katina Paxinou di Rocco e i suoi fratelli, 1960, che Luchino Visconti scelse in particolare quale grande interprete di tragedia greca).

Una scena del film

E che dire di Lo Cascio? Ancora e perfino di più il grande attore che conosciamo da sempre, in uno dei suoi ruoli più belli e intensi. Magistrale nella precisa misura con la quale affronta – anche linguisticamente – una figura complessa quale Braibanti. E il molto giovane e finora poco esperto Moltese, di sorprendente quanto non effimera bravura, maturità e proprietà. Lo splendido piano-sequenza in tribunale, quando viene interrogato, si sofferma alcuni minuti su di lui; e così il magnifico finale, nella solare ariosità – e verdiana – della campagna piacentina. E la luce, così avvolgente e “affettuosa” nei notturni e così ariosa e abbacinante in taluni esterni di Luan Amelio Ujkaj, e il bravo Elio Germano e la nuova conferma delle qualità di Sara Serraiocco. Ci si commuove (ma talora si sorride) in un film che rivela ancora una volta un grande regista in stato di grazia, che – sebbene sappiamo così poco delle formiche – forse anch’egli un po’ a proprio modo lo è.



Il signore delle formiche
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La locandina

 
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