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Grand Guignol

di Diletta Valenti
  Bones and All
Data di pubblicazione su web 05/09/2022  

Squadra vincente non si cambia: con questo film il regista Luca Guadagnino decide di riprendere sotto la sua ala il suo parter-in-crime Timothée Chalamet, che su Instagram scrive: «This man changed my life», strizzando l’occhio a tutti i suoi fedelissimi followers che sa che andranno in sala sulla fiducia e arrivando al Lido con una disinvoltura che rivela la consapevolezza di poter fare ormai quello che gli pare. E deve essere così, perché è difficile pensare a quanti altri la Biennale avrebbe lasciato portare in concorso un tema così crudo, scorretto e controverso. Del resto, Guadagnino riesce a portare a termine il suo compito molto bene: di Chiamami col tuo nome si ritrova quello stesso impeto, quel senso di urgenza nel raccontare i sentimenti in modo viscerale, in questo caso anche letteralmente.


Una scena del film

Se certe scene sono decisamente poco adatte agli stomaci deboli, e in alcuni passaggi si raggiungono picchi di assurdità degni di una versione di Twilight aggiornata, esteticamente curata, con attori di livello e con più alti standard produttivi, la cosa interessante di questo film, al di là del tema macabro, è che si tratta anche e prima di tutto di un coming of age in cui si racconta un processo di maturazione di due giovani adulti (lo stesso Chalamet e Taylor Russel) che, proprio come nella precedente pellicola del regista, incontrandosi si rivedono e rispecchiano l’uno nell’altro, sfatando la propria autocondanna all’unicità («Credevo di essere l’unica», dice più volte Maren). I due scoprono tramite il loro sentimento spontaneo un guscio di protezione e una strada per odiarsi un po’ di meno; forse non è vero che l’amore non li vuole, come credono inizialmente.


Una scena del film 

Nonostante ciò, la messa in scena è molto diversa da quella di Chiamami col tuo nome: qui si preferiscono talvolta l’impatto e la reazione immediata all’indagine psicologica, cadendo in soluzioni poco credibili, anche se molto probabilmente volute. Ciò che viene a mancare è la calma, la lentezza con cui si costruisce il crescendo emotivo. Qui esplode tutto subito, di colpo, con una velocità e un caos che richiamano la frenesia dell’adolescenza e ricalcano la narrazione del libro omonimo di Camille DeAngelis da cui il film è tratto. 

La risoluzione della trama è del tutto coerente con ciò che viene raccontato in precedenza, ma lascia inevitabilmente allo spettatore un senso di malinconia, quando la pellicola si chiude con un’ultima inquadratura che congela per sempre il tempo in una dimensione ideale.




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La locandina
 
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