Squadra
vincente non si cambia: con questo film il regista Luca Guadagnino decide di riprendere sotto la sua ala il suo
parter-in-crime Timothée Chalamet, che
su Instagram scrive: «This man changed my life», strizzando locchio a tutti i suoi
fedelissimi followers che sa che
andranno in sala sulla fiducia e arrivando al Lido con una disinvoltura che
rivela la consapevolezza di poter fare ormai quello che gli pare. E deve essere
così, perché è difficile pensare a quanti altri la Biennale avrebbe lasciato
portare in concorso un tema così crudo, scorretto e controverso. Del resto,
Guadagnino riesce a portare a termine il suo compito molto bene: di Chiamami col tuo nome si ritrova quello
stesso impeto, quel senso di urgenza nel raccontare i sentimenti in modo
viscerale, in questo caso anche letteralmente.
Se
certe scene sono decisamente poco adatte agli stomaci deboli, e in alcuni
passaggi si raggiungono picchi di assurdità degni di una versione di Twilight aggiornata, esteticamente
curata, con attori di livello e con più alti standard produttivi, la cosa
interessante di questo film, al di là del tema macabro, è che si tratta anche e
prima di tutto di un coming of age in
cui si racconta un processo di maturazione di due giovani adulti (lo stesso Chalamet
e Taylor Russel) che, proprio come
nella precedente pellicola del regista, incontrandosi si rivedono e rispecchiano
luno nellaltro, sfatando la propria autocondanna allunicità («Credevo di
essere lunica», dice più volte Maren). I due scoprono tramite il loro sentimento
spontaneo un guscio di protezione e una strada per odiarsi un po di meno;
forse non è vero che lamore non li vuole, come credono inizialmente.
Nonostante
ciò, la messa in scena è molto diversa da quella di Chiamami col tuo nome: qui si preferiscono talvolta limpatto e la
reazione immediata allindagine psicologica, cadendo in soluzioni poco
credibili, anche se molto probabilmente volute. Ciò che viene a mancare è la
calma, la lentezza con cui si costruisce il crescendo
emotivo. Qui esplode tutto subito, di colpo, con una velocità e un caos che
richiamano la frenesia delladolescenza e ricalcano la narrazione del libro
omonimo di Camille DeAngelis da cui
il film è tratto.
La
risoluzione della trama è del tutto coerente con ciò che viene raccontato in
precedenza, ma lascia inevitabilmente allo spettatore un senso di malinconia,
quando la pellicola si chiude con unultima inquadratura che congela per sempre
il tempo in una dimensione ideale.
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