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Ricordo di Francesco Origo

di Alessandro Tinterri
  Francesco Origo
Data di pubblicazione su web 12/08/2022  

Spettacolo indimenticabile, interpreti straordinari per giovanile entusiasmo, regìa perfetta nei ritmi e nelle continue invenzioni, scandite da musiche di scena coinvolgenti per spettatori grandi e piccini, scene magiche e multicolori, dal cupo all’arcobaleno, il tutto immerso in un’atmosfera da fiaba, sospesa tra Commedia dell’Arte e Opera dei pupi… stiamo parlando de La donna serpente del veneziano conte Carlo Gozzi, l’eterno rivale di Goldoni nell’edizione del Teatro Stabile di Genova, dove debuttò il 18 aprile 1979 e fu subito un trionfo, come per I due gemelli veneziani dell’inarrivabile Alberto Lionello, diretto da Luigi Squarzina, che sta allo Stabile genovese un po’ come lo strehleriano Arlecchino servitore di due padroni sta al Piccolo Teatro di Milano. E, come i suoi illustri predecessori, anche La donna serpente girò i teatri d’Italia e del mondo: centonovantacinque il totale delle recite e le città straniere visitate furono Mosca, Leningrado, Guanajuato, Città del Messico, Avignone, Amsterdam, l’Aja.

I fautori del fenomenale spettacolo erano Egisto Marcucci, regista sensibile e inventivo, proveniente dal mitico Gruppo della Rocca, Lele Luzzati, determinante per l’impronta visiva dello spettacolo, Franco Piersanti, compositore delle musiche e delle canzoni che costellavano la narrazione, sino a farne una sorta di musical. Ma la carica travolgente di questo miracolo della scena, destinato a rinnovarsi sera dopo sera, proveniva dai suoi interpreti, per lo più giovanissimi, freschi della scuola dello Stabile, alla quale Marcucci era stato chiamato a insegnare, con l’innesto di attori di vaglia come Benedetta Buccellato, Massimo Lopez, Gianni De Lellis e Donatello Falchi. Nel bel libro-intervista a Luzzati (Dipingere il teatro. Intervista su sessant’anni di scene, costumi, incontri, Bari, Laterza, 2000, p. 156) Rita Cirio definisce La donna serpente «uno spettacolo piuttosto straordinario […] una specie di manifesto del tuo modo di fare scenografia». Al che Luzzati conferma: «Anche Marcucci ha sentito molto questo spettacolo che è venuto fuori da un gran dialogo col regista. Probabilmente è stato uno spettacolo più felice di altri perché il regista si sentiva molto libero, dovendo lavorare soprattutto con allievi-attori. La donna serpente nacque del resto come saggio scolastico anche se la protagonista era Benedetta Buccellato, già attrice a tutti gli effetti».

Abbiamo evocato La donna serpente, perché il Truffaldino di quello spettacolo, erede del mitico Antonio Sacchi, Francesco (Checco) Origo, attore e regista genovese, è prematuramente scomparso, all’età di sessantadue anni, il giorno 11 aprile 2022 (era nato a Casella il 6 ottobre 1959). E chi ha visto lo spettacolo non può dimenticare il momento in cui usciva di scatto da una scatola a sorpresa, come sospinto da una molla improvvisamente liberata. La donna serpente fu spettacolo galeotto perché in una sorta di chiasmo nuziale sulle tavole di quel palcoscenico i fratelli Origo incontrarono i fratelli Buccellato e fu così che Checco sposò Benedetta (Cherestanì, fata, regina di Eldorado, sposa di Farruscad), mentre sua sorella Enrica (Canzade, sorella di Farruscad, guerriera, amante di Togrul/Zemina, fata) sposò Francesco (Checco) Buccellato, l’unico non attore (nessuno è perfetto, per citare Billy Wilder). E la festa nuziale, evento privato che si svolse a Paveto, località di villeggiatura dell’entroterra genovese, animata, com’era naturale, da una folta rappresentanza di teatranti, fu evento festoso, che aveva in sé qualcosa di scespiriano.

Non era che il preludio di una vita singolare, perché dopo aver recitato in Re Nicolò (1980) di Frank Wedekind (Noè, lavorante della sartoria), regìa di Marcucci, e come co-protagonista accanto a Lina Volonghi ne I due gemelli rivali (1982) di George Farquhar (Richmore), regista Marco Sciaccaluga, Francesco Origo lascia il Teatro Stabile di Genova per accogliere l’invito di Carlo Cecchi a entrare nella Compagnia il Granteatro, nella quale, peraltro, recita anche la sorella Enrica Origo. È un incontro fondamentale, dopo Marcucci, con un altro maestro, una folgorazione, come era stato per Cecchi l’apprendistato con Eduardo, la rivelazione della dialettalità napoletana. Ne nasce un sodalizio destinato a durare dieci anni. Dopo il debutto al Festival dei Due Mondi di Spoleto nell’Ivanov di Čechov, inizia per lui un percorso stimolante di crescita professionale e culturale grazie alla frequentazione di Elsa Morante, Fabrizia Ramondino, Natalia Ginzburg, Giovanni Macchia, Cesare Garboli.


Nella primavera del 1995 insieme con Benedetta Buccellato, Sara Bertelà e Valerio Binasco dà vita alla Compagnia I Durandarte, che debutta con Re Cervo di Gozzi, sua la regìa, al Festival Internazionale di Ventimiglia.

Come altri genovesi prima di lui, segnatamente i registi Marco Gagliardo e Marco Parodi, nel 1996 Origo approda a Cagliari e sceglie la Sardegna come palcoscenico di elezione, fondandovi, insieme con Massimo Zordan, la Compagnia Çàjka, un omaggio al Gabbiano di Čechov, che debutta nel giugno 1998 con Le furberie di Scapino di Molière, sua la traduzione e la regìa. Nello stesso anno conduce un laboratorio di ricerca all’Università di Cagliari, che termina con l’allestimento dello spettacolo Concerto per il Burlador, studio analitico sul personaggio di Don Giovanni, da Tirso de Molina a Mozart. La vocazione didattica, di cui aveva già dato prova come insegnante alla scuola di recitazione del Teatro di Genova, dove tra gli allievi c’era un giovanissimo Luca Bizzarri, si precisa e si amplia a Cagliari, estrinsecandosi in laboratori di scrittura e di recitazione, portando il teatro nelle scuole e in carcere.

Come già Sergio Tòfano, Origo ha saputo fare della sua dizione imperfetta, una cifra stilistica accompagnandola con una naturale eleganza nella postura e nel gesto e l’espressività di un volto simile a una maschera. Dai grandi maestri, da Shakespeare a Mejerhol’d, dalla Commedia dell’Arte e dall’universo fiabesco di Carlo Gozzi, dalla grande lezione del teatro del passato a un presente frutto di studio e di ricerca, Origo ha saputo distillare una visione personale, dando un apporto peculiare al teatro del nostro tempo.

In questo senso la sua iniziativa più originale, che univa le sue due grandi passioni, il teatro e il mare («la disciplina del mare – diceva – non è tanto lontana da quella dell’attore»), è stata Teatridimare, giunta nel 2021 alla ventunesima edizione, spettacoli viaggianti a bordo di una barca a vela (come non ricordare la barca dei comici di goldoniana memoria), che arrivò a toccare i porti della Grecia e della Norvegia, un modo per vivere quel mare che storicamente ha unito la Liguria e la Sardegna, un’avventura condivisa con Barbara Usai, sua compagna di vita, ed Enrico Incani, attori entrambi e pilastri della Compagnia, che prese a bordo anche il genovese Enrico Bonavera, l’Arlecchino successore di Ferruccio Soleri al Piccolo Teatro di Milano: Arlecchin dell’onda lo spettacolo che vede la celebre maschera della Commedia dell’Arte aggirarsi nell’angiporto, che «non è più mare ma non è ancora terra» (v. Tommaso Chimenti, Treatridimare: da vent’anni teatro in barca a vela«recensito.net»).

Il progetto Teatridimare gli valse la Targa d’Argento alla Camera dei Deputati. Luca Bizzarri ricorda le parole che un giorno Francesco Origo gli disse: «Devi recitare contro la morte, devi fare in modo che, se la morte entra in teatro per prendere te, non ti riconosca». Ed è al timone della sua barca, che ci piace ricordarlo: buon vento, navig-attore.




 
Sopra:
La donna serpente: bacio beneaugurante dei fratelli Origo, prima dell’alzata del sipario (in secondo piano Enrica Carini)


 
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