Spettacolo
indimenticabile, interpreti straordinari per giovanile entusiasmo, regìa
perfetta nei ritmi e nelle continue invenzioni, scandite da musiche di scena
coinvolgenti per spettatori grandi e piccini, scene magiche e multicolori, dal
cupo allarcobaleno, il tutto immerso in unatmosfera da fiaba, sospesa tra
Commedia dellArte e Opera dei pupi… stiamo parlando de La donna serpente del veneziano conte Carlo Gozzi, leterno rivale di Goldoni nelledizione del Teatro Stabile di Genova, dove debuttò il
18 aprile 1979 e fu subito un trionfo, come per I due gemelli veneziani dellinarrivabile Alberto Lionello, diretto da Luigi
Squarzina, che sta allo Stabile genovese un po come lo strehleriano Arlecchino servitore di due padroni sta
al Piccolo Teatro di Milano. E, come i suoi illustri predecessori, anche La donna serpente girò i teatri dItalia
e del mondo: centonovantacinque il totale delle recite e le città straniere
visitate furono Mosca, Leningrado, Guanajuato, Città del Messico, Avignone,
Amsterdam, lAja.
I
fautori del fenomenale spettacolo erano Egisto
Marcucci, regista sensibile e inventivo, proveniente dal mitico Gruppo
della Rocca, Lele Luzzati,
determinante per limpronta visiva dello spettacolo, Franco Piersanti, compositore delle musiche e delle canzoni che
costellavano la narrazione, sino a farne una sorta di musical. Ma la carica
travolgente di questo miracolo della scena, destinato a rinnovarsi sera dopo
sera, proveniva dai suoi interpreti, per lo più giovanissimi, freschi della
scuola dello Stabile, alla quale Marcucci era stato chiamato a insegnare, con
linnesto di attori di vaglia come Benedetta
Buccellato, Massimo Lopez, Gianni De Lellis e Donatello Falchi. Nel bel libro-intervista a Luzzati (Dipingere il teatro. Intervista su
sessantanni di scene, costumi, incontri, Bari, Laterza, 2000, p. 156) Rita Cirio definisce La donna serpente «uno spettacolo
piuttosto straordinario […] una specie di manifesto del tuo modo di fare
scenografia». Al che Luzzati conferma: «Anche Marcucci ha sentito molto questo
spettacolo che è venuto fuori da un gran dialogo col regista. Probabilmente è
stato uno spettacolo più felice di altri perché il regista si sentiva molto
libero, dovendo lavorare soprattutto con allievi-attori. La donna serpente nacque del resto come saggio scolastico anche se
la protagonista era Benedetta Buccellato, già attrice a tutti gli effetti».
Abbiamo
evocato La donna serpente, perché il
Truffaldino di quello spettacolo, erede del mitico Antonio Sacchi, Francesco
(Checco) Origo, attore e regista genovese, è prematuramente scomparso,
alletà di sessantadue anni, il giorno 11 aprile 2022 (era nato a Casella il 6
ottobre 1959). E chi ha visto lo spettacolo non può dimenticare il momento in
cui usciva di scatto da una scatola a sorpresa, come sospinto da una molla
improvvisamente liberata. La donna
serpente fu spettacolo galeotto perché in una sorta di chiasmo nuziale
sulle tavole di quel palcoscenico i fratelli Origo incontrarono i fratelli
Buccellato e fu così che Checco sposò Benedetta (Cherestanì, fata, regina di
Eldorado, sposa di Farruscad), mentre sua sorella Enrica (Canzade, sorella di Farruscad, guerriera, amante di
Togrul/Zemina, fata) sposò Francesco
(Checco) Buccellato, lunico non attore (nessuno è perfetto, per citare Billy Wilder). E la festa nuziale,
evento privato che si svolse a Paveto, località di villeggiatura dellentroterra
genovese, animata, comera naturale, da una folta rappresentanza di teatranti,
fu evento festoso, che aveva in sé qualcosa di scespiriano.
Non
era che il preludio di una vita singolare, perché dopo aver recitato in Re Nicolò (1980) di Frank Wedekind (Noè,
lavorante della sartoria), regìa di Marcucci, e come co-protagonista accanto a Lina Volonghi ne I due gemelli
rivali (1982) di George Farquhar
(Richmore), regista Marco Sciaccaluga,
Francesco Origo lascia il Teatro Stabile di Genova per accogliere linvito di Carlo Cecchi a entrare nella Compagnia il Granteatro, nella quale,
peraltro, recita anche la sorella Enrica Origo. È un incontro fondamentale,
dopo Marcucci, con un altro maestro, una folgorazione, come era stato per
Cecchi lapprendistato con Eduardo, la rivelazione della dialettalità
napoletana. Ne nasce un sodalizio destinato a durare dieci anni. Dopo il
debutto al Festival dei Due Mondi di Spoleto nellIvanov di Čechov, inizia
per lui un percorso stimolante di crescita professionale e culturale grazie
alla frequentazione di Elsa Morante,
Fabrizia Ramondino, Natalia Ginzburg, Giovanni Macchia, Cesare
Garboli.
Nella
primavera del 1995 insieme con Benedetta Buccellato, Sara Bertelà e Valerio
Binasco dà vita alla Compagnia I Durandarte, che debutta con Re Cervo di Gozzi, sua la regìa, al
Festival Internazionale di Ventimiglia.
Come
altri genovesi prima di lui, segnatamente i registi Marco Gagliardo e Marco
Parodi, nel 1996 Origo approda a Cagliari e sceglie la Sardegna come
palcoscenico di elezione, fondandovi, insieme con Massimo Zordan, la Compagnia Çàjka, un omaggio al Gabbiano di Čechov, che debutta nel
giugno 1998 con Le furberie di Scapino
di Molière, sua la traduzione e la
regìa. Nello stesso anno conduce un laboratorio di ricerca allUniversità di
Cagliari, che termina con lallestimento dello spettacolo Concerto per il Burlador, studio analitico sul personaggio di Don
Giovanni, da Tirso de Molina a Mozart. La vocazione didattica, di cui
aveva già dato prova come insegnante alla scuola di recitazione del Teatro di
Genova, dove tra gli allievi cera un giovanissimo Luca Bizzarri, si precisa e si amplia a Cagliari, estrinsecandosi
in laboratori di scrittura e di recitazione, portando il teatro nelle scuole e
in carcere.
Come
già Sergio Tòfano, Origo ha saputo fare della sua dizione imperfetta, una cifra
stilistica accompagnandola con una naturale eleganza nella postura e nel gesto
e lespressività di un volto simile a una maschera. Dai grandi maestri,
da Shakespeare a Mejerhold, dalla Commedia dellArte e
dalluniverso fiabesco di Carlo Gozzi, dalla grande lezione del teatro del
passato a un presente frutto di studio e di ricerca, Origo ha saputo distillare
una visione personale, dando un apporto peculiare al teatro del nostro tempo.
In
questo senso la sua iniziativa più originale, che univa le sue due grandi
passioni, il teatro e il mare («la disciplina del mare – diceva – non è tanto
lontana da quella dellattore»), è stata Teatridimare, giunta nel 2021 alla
ventunesima edizione, spettacoli viaggianti a bordo di una barca a vela (come
non ricordare la barca dei comici di goldoniana memoria), che arrivò a toccare
i porti della Grecia e della Norvegia, un modo per vivere quel mare che
storicamente ha unito la Liguria e la Sardegna, unavventura condivisa con Barbara Usai, sua compagna di vita, ed Enrico Incani, attori entrambi e
pilastri della Compagnia, che prese a bordo anche il genovese Enrico Bonavera, lArlecchino
successore di Ferruccio Soleri al
Piccolo Teatro di Milano: Arlecchin
dellonda lo spettacolo che vede la celebre maschera della Commedia
dellArte aggirarsi nellangiporto, che «non è più mare ma non è ancora terra»
(v. Tommaso Chimenti, Treatridimare: da
ventanni teatro in barca a vela, «recensito.net»).
Il
progetto Teatridimare gli valse la Targa dArgento alla Camera dei Deputati. Luca
Bizzarri ricorda le parole che un giorno Francesco Origo gli disse: «Devi
recitare contro la morte, devi fare in modo che, se la morte entra in teatro
per prendere te, non ti riconosca». Ed è al timone della sua barca, che ci
piace ricordarlo: buon vento, navig-attore.
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