In
un magistrale saggio, Anatole France
fa dialogare Ponzio Pilato, ex procuratore
della potenza globale di turno, con un giovane amico (Il procuratore della
Giudea, Palermo, Sellerio, 2001). Sul fatto cerniera della vita sua, poi dellimpero
romano, dEuropa e del mondo, «dopo qualche istante di silenzio: “Gesù?”
mormorò “Gesù il Nazareno? No, non ricordo”» (ivi, p. 31). Leonardo Sciascia nota che, come Tacito, «Ponzio Pilato ha dimenticato del tutto Cristo e i
cristiani; Tacito si ha il sospetto che ha voluto – per profonda insofferenza o
per lungimirante preoccupazione – dimenticarli. Il passo in cui ne parla, a
proposito dellincendio di Roma, è per noi propriamente misterioso, suggestivo
e sollecitante; dà alla fantasia, come si dice che un vino dà alla testa. E
vale la pena di rileggerlo: “Ma nulla, né gli umani soccorsi, né le larghezze
del principe, né i sacrifici ai numi, valse a distruggere linfamante opinione
che lincendio fosse stato comandato. Nerone, allora, per soffocar questa voce,
mise avanti come rei dellincendio gente odiata pei suoi mali costumi, che il
volgo chiamava Cristiani: e inflisse loro i più raffinati supplizi. […] Ondè,
che pur di fronte a una genìa colpevole e degna di esemplare novità di pene, si
faceva strada la pietà, come verso chi era sacrificato, più che al bene di
tutti, alla ferocia di un solo”» (ivi, p. 37).
Prosegue
Sciascia: «il sapere, mentre scriveva, che quella “esecrabile superstizione”
era dovunque esplosa e il rifiutarsi allattenzione, al parlarne, al
descriverla; lapprovare e il disapprovare insieme quella repressione; la
constatazione che “si faceva strada la pietà”, e cioè ad un passo dal
constatare che proprio nel farsi strada della pietà era la vittoria del
cristianesimo: sono elementi che sommamente si prestano alla fantasia di chi non
può non dirsi cristiano. E si dirà che sono riconducibili a uno solo,
oggettivamente tacitiano: lodio alla tirannia, lidea che la tirannia – in sé
negazione della legge – nulla mai possa compiere di legittimo e di giusto,
nulla che non sia delitto; ma non riusciamo a non conferire a Tacito – a quello
che ha scritto, e più a quello che non ha scritto – lombra di un interno
dissidio, di una certa inquietudine. Ma il racconto di France, pur così breve e
così netto da parere non contenga oscure allusioni e ambiguità, non si può
racchiudere nella formula di omaggio alla dimenticanza (non a quella
burocratica, da uomo dordine e quasi da precursore di Eichmann, di Ponzio
Pilato; ma a quella storica, civile, pietosa della grandezza di Roma, di
Cornelio Tacito) e di apologia dello scetticismo. Si può dire anzi che questa
formula è suscettibile di contraddizione e rovesciamento: supremo omaggio, in
definitiva, dello scetticismo a se stesso» (ivi, pp. 38-39).
Supremo
omaggio a sé stesso dello scetticismo, coerente e autocritico, che condivide con
la pietà il rifiuto della tirannia, in sé nemica della legge, illegittima e
ingiusta anche verso «gente odiata pei suoi mali costumi». Mali costumi perché resistenti
al tiranno di turno e alla antica pedagogia dodio svelata dallinterno nei
documenti di lavoro di Joseph Goebbels,
ministro della propaganda di Hitler.
Allora come sempre, «era tutto imperniato sulla sua persona; era lui a dare
limpronta, tutto girava intorno a lui; lui solo decideva, sollevava problemi,
distribuiva lode e biasimo, aveva trovate brillanti, faceva lunghe
disquisizioni critiche, proponeva gli argomenti e tagliava corto alle
obiezioni. Era il solo a decidere che cosa fosse attuale e “popolare”» (W.A.
Boelcke, La guerra è bella!: Goebbels e la propaganda di guerra, Firenze,
Vallecchi, 1973, p. 3). «In fin dei conti dunque ai partecipanti alla
conferenza non restava altro che il ruolo di comparse, su quella scena della
quale solo Goebbels teneva in mano le fila. Ma, evidentemente, questi Reichskopsfnicker
[teste signorsì di ogni tirannide, ndr]
gli erano necessari per la rapida esecuzione delle sue direttive» (ivi, p. 5). «Contemporaneamente
egli scatenò operazioni di polizia e persecuzioni giudiziarie; fece sì che la
giustizia pronunciasse sentenze intimidatorie e provvide a che i resoconti dei
processi avessero la necessaria efficacia propagandistica» (ivi, p. 9). Come già
a suo tempo Nerone e come sempre. E di nuovo ora in Europa.
«Goebbels
dovette costantemente occuparsi delle “voci di pace” sorte allinterno e allestero;
nei primi anni di guerra egli proibì che le vere e proprie iniziative di pace
venissero fatte conoscere dalla stampa e dalla radio. Notizie dallestero,
spesso risorgenti, su trattative per un armistizio dovettero essere smentite;
altre notizie furono messe in circolazione dalla propaganda clandestina». «I
suoi stessi pensieri di pace Goebbels parve volerli allontanare, a partire dal
1942, con questa osservazione: “come un viandante nel deserto non deve pensare
sempre allacqua, così un uomo che partecipa alla guerra non deve mai pensare
alla pace» (ivi, p. 15). Ma «così come darebbe prova di colpevole leggerezza
chi sottovalutasse gli effetti della moderna propaganda politica di massa, non
sarebbe nemmeno giusto, daltro lato, sopravvalutare Goebbels e la sua
propaganda. Goebbels non era affatto quel “mago”, come si usa spesso dire di
lui, che durante la guerra era capace di manipolare lo stato danimo di tutto
un popolo a suo completo piacimento, che era capace di cambiare in due e due
quattro uno stato di depressione in uno stato desaltazione o di trasformare
quello che, a giudizio del governo, era un atteggiamento negativo del popolo
nei confronti della guerra in entusiasmo per la guerra» (ivi, p. 14).
I
vincenti sono tali finché vincono, oggi «unélite transnazionale o globale che,
nei suoi vari spazi e posti, è capace di trarre vantaggio dalle condizioni
sociali e politiche intrinseche alla democrazia neoliberista. La variante della
narrativa democratica occidentale è allora utile non solo agli ideologi USA che
invocano il “manifest destiny” come pietra angolare della leadership americana,
ma anche a ognuno dei numerosi regimi al potere in Medio Oriente, Asia, Africa
e Europa orientale, che possono facilmente manipolare con successo le promesse
del libero mercato neoliberista a proprio (antidemocratico) vantaggio» (S.J.
Rosow-J. George, Globalization & Democracy, Lanham, Rowman &
Littlefield, 2014, pp. 26-27). Politica e/o economico-finanziaria, è tirannia.
Sono
«gli anni di Putin: riportare lo
stato dentro, lasciando fuori la democrazia» (ivi, p. 109). Come Trump in USA, dove il 16 giugno 2022
«la Commissione dinchiesta della Camera dei Rappresentanti ha documentato come
lex-presidente e il suo entourage hanno invano premuto sul vice-presidente
affinché impedisse la certificazione dellelezione presidenziale il 6 gennaio
2021». «Alle 14,24 del 6 gennaio il Campidoglio è assalito. Donald Trump guarda
la televisione. In un nuovo tweet fustiga la mancanza di coraggio del suo
vice-presidente» (P. Smolar, Assaut du
Capitole: comment Donald Trump a voulu enrôler Mike Pence dans un coup dEtat,
«Le Monde», 17 giugno 2022, on line).
La
pretesa di bloccare la storia dellumanità e del mondo sotto il dominio dei potenti
di turno è una costante nel ritmo della storia.
Il ritmo della storia, scrive
Franco Cardini (Bologna, Rizzoli,
2001), ci lascia sempre «disorientati e affascinati. Eppure, se ci volgiamo un
istante indietro, ci sorprendiamo a chiederci come sia stato possibile che
proprio gli straordinari progressi tecnologici dellultimo secolo, anzi degli
ultimi decenni, non ci abbiano messo per tempo sullavviso a proposito
dellimprevedibilità del processo (processo: non progresso) storico. Per
millenni, la vita del genere umano – nello stesso ambito eurasiomediterraneo
chè stato uno dei grandi laboratori culturali dellumanità e che dal XVI
secolo ha imposto la fine del mondo “a compartimenti-stagno” e il decollo
delleconomia-mondo – si è svolta secondo parametri caratterizzati, se non da
immobilità, quanto meno da una lenta dinamica sia pur scandita da alcune
“rivoluzioni” (lagricola, la commerciale, la filosofico-scientifica,
lindustriale e così via). Eppure, di tutto ciò era possibile accorgersi
relativamente poco. Nella Londra del Seicento si viveva più o meno come nella
Roma imperiale: anzi, molto peggio quanto a condizioni igieniche, a livello di
consumi, a sicurezza» (ivi, pp. 9-10).
Ancor
peggio a Manchester nel 1845. «Un giorno camminavo verso Manchester in
compagnia di uno di quei signori del ceto medio. Gli parlavo dei bassifondi
miseri e malsani e gli facevo notare le condizioni di quella parte della città
dove vivevano gli operai delle fabbriche. Gli dissi che non avevo mai visto in
vita mia una città così mal costruita. Mi ascoltò pazientemente e, allangolo
della via dove ci separammo, disse soltanto: “Eppure, qui si fa un mucchio di
denaro. Buongiorno, signore!» (F. Engels, La
situazione della classe operaia in Inghilterra, cit. in E.J. Hobsbawm, Le
rivoluzioni borghesi: 1789-1848, Milano, Il Saggiatore, 1963, p. 255).
Oggi
si fa denaro a volontà speculando su tre crisi globali concomitanti (climatica,
pandemica, bellica) in assenza dogni controllo sui mercati globali
neoliberisti, discendenti algoritmici di re Mida che, secondo la leggenda, in
premio per il ritrovamento dello smarrito Bacco Sileno chiese il potere di
trasformare in oro tutto ciò che toccava, andando alla morte per fame e sete e perciò
«posto tra gli esempi di avarizia punita che le anime dei penitenti gridano la
notte nel quinto girone del Purgatorio, XX 106: “la miseria de lavaro Mida, /
che seguì a la sua dimanda gorda, / per la qual sempre convien che si rida”» (Enciclopedia Treccani, on line). È il girone
dell«élite transnazionale o globale che, nei suoi vari spazi e posti, è capace
di trarre vantaggio dalle condizioni sociali e politiche intrinseche alla
democrazia neoliberista», «a proprio (antidemocratico) vantaggio» (Rosow-George,
Globalization & Democracy, cit., p. 27). Ma Jacques Le Goff (La nascita del Purgatorio, Torino, Einaudi,
1982) ci ricorda che il purgatorio porta prima o poi al paradiso.
«Se pure
per buona parte della storia violenza e fame sono state due degli strumenti più
efficaci di cui si è servita la morte, lunica che è riuscita a spazzare via un
quarto della Terra in un colpo solo è stata proprio la malattia da contagio. La
peste ha messo fine alletà antica e segnato linizio del Rinascimento. Varie
infezioni hanno plasmato lepoca degli imperi globali, e contenerle ha permesso
di rafforzare leconomia del mondo moderno. Né la guerra né la carestia possono
rivendicare un ruolo equivalente» (C. Kenny, La danza della peste. Storia dellumanità
attraverso le malattie infettive, Torino, Bollati Boringhieri, 2021, p. 210,).
Ora guerra e speculazione fanno velo alla pandemia, ma abbiamo i mezzi per venirne
fuori.
È
quanto ci ricorda «un pragmatico puro che diffida delle teorie. Per lui “la
realtà è più importante dellidea”. È anche uno dei suoi principi dazione. Sa
anche lavorare sulla durata. Un altro è il suo principio di azione. Lo esprime
così, “il tempo è superiore allo spazio”. Francesco si spiega nellesortazione
apostolica La gioia del Vangelo: “Questo principio permette di lavorare
a lunga scadenza, senza lossessione di risultati immediati. Aiuta a sopportare
con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il
dinamismo della realtà impone. È un invito ad assumere la tensione tra pienezza
e limite, assegnando priorità al tempo. Uno dei peccati che a volte si
riscontrano nellattività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di
potere al posto dei tempi dei processi. Dare priorità allo spazio porta a
diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di
prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di auto-affermazione. Significa
cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo
significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il
tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in
costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che
generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che
li porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici.
Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci”» (J.M. Guénois, Jusquoù
ira François ?, Paris, JC Lattés, 2014, pp. 108-109).
È il
profilo genetico dellUnione Europea, il cui sostegno è oggi fondamentale – nel
contesto della crisi bellica e alimentare fomentata dai «vincenti nel contesto
neoliberista» – per attuare la riforma fiscale di unimposta minima del 15%
sugli utili delle grandi multinazionali, a partire dal 31 dicembre 2023, dando
corpo al progetto adottato nel 2021 da 140 paesi sotto legida
dellOrganizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Con il mondo
intero di cui avere cura, fornire gambe al farsi strada della pietà è supremo
omaggio dello scetticismo a sé stesso.
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