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L’ardua ascensione alla verità

di Gianni Poli
  foto di scena
Data di pubblicazione su web 06/05/2022  

Lo spazio è attrezzato a tutto palcoscenico, con tre schermi e alcune postazioni sulle quali gli interpreti-performers vanno componendo, in tempo reale, una rappresentazione che viene mostrata come tale mediante telecamere e condotta da una presentatrice. Non quindi recitazione d’un testo drammatico, ma spettacolo narrato e documentato nel suo svolgimento. Ne nasce un insolito scambio tra scena e platea che attrae e subito allarma lo spettatore sul fine e sui mezzi della comunicazione. Fra documentario e narrazione, è dall’inizio inquietante l’evidente incertezza della verità, su fatti e notizie che costituiscono l’informazione e il sapere; tanto più nel loro portato filosofico. L’ambizioso programma si avvia con modi agili e scherzosi, con un lungo scambio di volano (badminton) per poi entrare nel tema problematico del confronto con il reale, alla ricerca della verità, sfuggente e sempre da riconquistare.      

foto di scena (C) Jordi Soler Quintana
foto di scena 
© Jordi Soler Quintana

La metafora principale appare così nella scelta della scalata all’Everest quale meta simbolica. Si rievoca in particolare la spedizione del 1924, guidata dagli inglesi Adrew Irvine e George Mallory. All’analogia poetica si aggiunge la consapevolezza della capacità umana nell’influenzare il significato e le relative conseguenze in ogni comunicazione. Pertanto, gli autori-attori studiano e illustrano la forza delle convenzioni relative e le facoltà carismatiche di affermazione del potere. Scelgono Vladimir Putin quale figura tipica di chi sa imporre garanzia di autenticità ai suoi discorsi, indiscutibili per i destinatari, quasi incapaci di giudizio. In scena è riprodotto da una “maschera” elettronica (di Román Torre), immagine iconica dalla latente, potente ambiguità.

Un secondo caso esemplare, consiste nella ricostruzione, minuziosa e storicamente attendibile, della trasmissione radiofonica La guerra dei mondi, ideata e diffusa nel 1938 da Orson Welles con clamoroso esito di coinvolgimento popolare. Nel ruolo di presentatrice, Anna Pérez Moya elimina l’enfasi epica e riduce la partecipazione emotiva nel commentare le vicende così audacemente accostate e fatte reagire. Tiene inoltre a chiarire che l’ispirazione al personaggio di Putin resta quella dell’edizione originale (2020), quindi non modificata secondo i fatti recenti, pure così importanti. La critica ai regimi autoritari, resta di scoperta e forse ovvia declinazione occidentalista.

foto di scena © Jordi Soler Quintana
foto di scena 
© Jordi Soler Quintana

Qualche passaggio didascalico non smorza tuttavia l’efficacia spesso coinvolgente del racconto sceneggiato. Il suo fascino prevale forse nelle sequenze rievocative del progetto dell’ascensione alla parete inviolata. L’alpinista eroico viene meglio definito grazie al dialogo intessuto a distanza con la moglie. Il loro scambio epistolare riesce a tessere sentimenti e riflessioni di un rapporto personale profondo, aperto a valori esistenziali universali. La tecnica spettacolare è raffinata nella confezione e nello sviluppo delle immagini evocative e nei dettagli degli oggetti reinventati aggiunge una verità attuale al documento, comunque rispettoso della storicità. Corde e moschettoni, scarponi, guanti e ramponi, risaltano nell’ambiente ghiacciato e misterioso “degli Ottomila”, descrivendo un’esperienza lontana un secolo, che attraverso i protagonisti s’imprime negli spettatori. Similmente accade per l’animazione dei modellini da “fumetto” che amplificano visivamente l’effetto auditivo del radiodramma fantascientifico.

Il soggetto – nell’invenzione dei sensibili sceneggiatori - era l’invasione dei marziani, ispirata a La guerra dei mondi, di Herbert G. Wells (1897) resa in forma di radiocronaca. La testimonianza del cronista accresce il valore comunicativo di un evento eccezionale in sé. Significativo appare che le diverse interpretazioni date dallo stesso autore sull’evento, dimostrino il potere suggestivo e mistificatore dei mass-media.

foto di scena © Jordi Soler Quintana
foto di scena 
© Jordi Soler Quintana

Molto vari gli interventi visivi e sonori, quale la musica di Nico Roig che diffonde echi siderali immaginari e motivi lirici, a seconda dei momenti drammatici. Un drone funziona costantemente in perlustrazioni e riprese video, sincronizzate con le altre apparecchiature sofisticate. Gli elementi spettacolari – dalle voci alle immagini - trovano amalgama d’assieme, ben governati da una regia complessa, la cui efficacia vale sia negli aspetti funzionali, sia in quelli estetici. Il finale mantiene viva la tensione alla ricerca di una realtà sempre indefinibile, un desiderio insoddisfatto di conoscere l’ignoto. Dopo la scomparsa di Mallory nel balzo dell’ultimo tratto, il cui l’esito resta dubbio, la “piramide della Montagna”, simbolica di una verità incerta, appare un attimo per scomparire nella nebbia, sferzata dal vento.

Gli artisti della Compagnia di origine spagnola, che si esprimono in inglese, usano un linguaggio di buon livello letterario, leggibile nei sovrattitoli. Lo rendono godibile, tanto a commento delle immagini d’archivio, quanto nell’originalità pertinente delle citazioni e degli inserti nelle sequenze animate.  




The Mountain
cast cast & credits
 

foto di scena © Jordi Soler Quintana
foto di scena 
© Jordi Soler Quintana



Andrea Porcheddu, dramaturg del Teatro Nazionale di Genova, presenta lo spettacolo
 
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