Domenica 2 febbraio 2020 se nè andato Pizzirì. Con questo nome era stato
presentato ai lettori del «Corrierino» il figlio di Bonaventura, allanagrafe Gilberto
Tòfano, nato a Roma il 17 dicembre 1929 da Sergio Tòfano e Rosetta
Cavallari, attrice, scenografa e costumista, oltre che pittrice. Da anni
viveva appartato a Bologna alla Casa Lyda Borelli per Artisti e Operatori dello
Spettacolo ed è solo ora, interrogando la rete, che ho appreso la notizia della
sua scomparsa, leggendo il ricordo di Simonetta Della Seta su «moked»,
il portale dellebraismo. Racconta una bella storia, che mi sembra giusto
condividere oggi, a due anni di distanza dalla scomparsa di Pizzirì.
Nellinvitare
a leggere integralmente il bellarticolo, mi limito qui a estrapolarne qualche
brano. Racconta Gilberto Tòfano di essere stato cresciuto dalla sorella del
padre Sergio, Liliana, che viveva con la sua storica compagna di scuola, Francesca Tardani, insegnante di
pianoforte, a Roma in piazza Paganica 13, nei pressi del ghetto ebraico:
«Quando i miei genitori, – che fino al 41 hanno sempre vissuto di grande
albergo in grande albergo, mi affidarono a loro divennero zie in servizio
permanente effettivo: per me zia Liana era “mammì” e zia Francesca “zizzì”. Si
potrebbe pensare che un bambino che cresce tra due anziane zitelle possa trarne
qualche problema di personalità. Invece la tempra dimostrata dalle due fragili
signorine fin sotto il fascismo e ancora di più dalle leggi razziali in poi è
stata per me un grande e decisivo esempio».
Ricorda
Simonetta Della Seta come il legame tra le due famiglie fosse diventato più
stretto dopo che Sergio Tòfano aveva aderito allinvito di organizzare uno
spettacolo del Signor Bonaventura per i bambini ebrei. In particolare dopo l8
settembre 1943, per le zie di Gilberto lemergenza legata alle leggi razziali divenne
unossessione: «Non cera sera che non si affacciassero da noi a via Arenula –
ricordava mio padre Giulio – implorandoci di scappare e nasconderci».
Dopo ripetute insistenze, le zie di Gilberto riuscirono a convincere nonna
Della Seta a trasferirsi a casa loro con la nipotina Paola, mentre Guido, padre della scrivente, coetaneo
di Gilberto e suo compagno di giochi, venne mandato da un conoscente cattolico.
Il nonno Leonello, decorato della
prima guerra mondiale, era certo che la patria non lavrebbe tradito. Lui e il
nipote sedicenne Giancarlo, la notte tra il 15 e il 16 ottobre,
dormirono in viale delle Milizie, ospiti di una famiglia di ebrei convertiti e
da lì vennero prelevati tutti da una camionetta tedesca. Finirono ad Auschwitz
e non fecero ritorno. Ancora Della Seta così rievoca quelle ore drammatiche: «Quando
alle 5.30 di quel sabato i Tofano sentirono le urla degli ebrei del ghetto
rastrellati e li videro portare via dalla loro finestra, mio nonno e mio zio
erano già stati catturati e il filo del telefono di quellappartamento
staccato. Quella mattina, che Gilberto mi ha raccontato tante volte, guidandomi
fino a piazza Paganica e indicandomi le finestre da cui assistette
quattordicenne a tanto scempio, segnò uno spartiacque nella nostra vita, e
anche nella sua».
«Il
giorno dopo, – prosegue – fu Sergio Tofano ad accompagnare mio padre sotto nome
falso al collegio San Giuseppe De Merode, a Piazza di Spagna, dove aveva messo
in scena non tanto tempo prima il suo Gianburrasca e dove conosceva il buon
cuore di padre Sigismondo. […] Da bambina incontravo spesso sulla strada per
scuola le signorine Tofano e Tardani, che abitavano in Via delle
Zoccolette. A volte ci veniva a trovare anche lanziano attore, vestito di
bianco, elegantissimo. Sentivo forte il sentimento di gratitudine dei miei per
tutti loro, ma ancora non sapevo. Fu molto più tardi che mio padre mi raccontò
la storia nei dettagli». Sulla base di quei racconti e della testimonianza di
Gilberto, Simonetta Della Seta ha avviato la procedura perché alla famiglia
Tòfano venga dato il riconoscimento di «Giusti fra le nazioni» dallo Stato di
Israele, perché, come è scritto nel Talmud, chi salva una vita salva il
mondo intero.
Ma
la storia non finisce qui, perché un giorno Hanna, figlia di Simonetta
Della Seta, stabilitasi nel frattempo in Israele, torna da scuola tutta
eccitata, per aver visto Matzor, film
israeliano, che lha entusiasmata: «Mamma, mi disse, il regista ha un nome che
sembra italiano: un certo Gilberto Tofano».
Infatti,
Gilberto, arrivato in Israele nel 1967 dopo la guerra dei Sei Giorni, girò Matzor (Lassedio), con attori israeliani, presentato al Festival di Cannes
del 1969, una pellicola che occupa tuttora un posto di rilievo nella storia
della cinematografia israeliana, tanto da essere inclusa nel 2010 nella
rassegna romana sul cinema israeliano. In controtendenza al clima euforico,
seguito alla vittoria israeliana, il lavoro di Tofano racconta la storia di una
giovane vedova, Tamar, che, incoraggiata da David, rompe lassedio di Eli,
amico del marito, e di quanti la vorrebbero imprigionare nel suo ruolo di
vedova di guerra. Tamar cambia modo di vestire e pettinatura, finché anche
David viene richiamato sotto le armi e la storia sembra ripetersi. Lo sguardo
esterno del regista si tradusse in un film antiretorico, in bianco e nero,
contro la guerra e dalla parte di una donna.
Ma,
prima di approdare in Israele, lEnciclopedia
dello Spettacolo ci informa che Gilberto aveva studiato danza coi Sakharoff,
Alexander e Ludmilla, e aveva esordito nel luglio 1954 al Teatro
Verde di Venezia come mimo in Resurrezione
e vita, coreografo Massine. Dopo aver ideato i costumi per Fondarono una città di Cesare Meano
al Teatro delle Arti di Roma nello stesso 1954, diresse e coreografò due spettacoli
deccezione, di cui ideò anche scene e costumi, al teatrino di Villa Zingone al
Casaletto a Roma: La finta giardiniera
di Mozart (17 luglio 1956) e Le
Devin du village di Rousseau (14 luglio 1957). Dal 56 al 59 fu
aiuto regista di Strehler al Piccolo Teatro di Milano, per il quale
tradusse il Coriolano di Shakespeare,
e al Piccolo avrebbe fatto ritorno alla fine degli anni Ottanta per collaborare
con lo stesso Strehler alla traduzione del Faust
di Goethe, nellimpresa che vide il regista anche interprete. Negli
anni Sessanta fu anche regista televisivo, collaborando a Tv7, storico
rotocalco televisivo della Rai.
Risale
agli anni Settanta la bella mostra Sto.
Una storia lunga un milione: disegni, fotografie, spettacoli di Sergio Tòfano da
lui curata insieme con Alessandro dAmico (catalogo Bulzoni), che,
partita dal Palazzo delle Esposizioni di Roma, per opera del Museo Biblioteca
dellAttore, cui nel frattempo aveva affidato il Fondo Tofano, visitò Genova,
Firenze, Torino e Milano. Pizzirì continuò ad adoperarsi per tenere viva la
memoria del padre e far rivivere la sua eredità, ricorrendo alle nuove
tecnologie digitali e curando il sito, ricco di materiali e testimonianze,
nonché analisi di illustri esegeti, tra i quali Tullio De Mauro e Edoardo
Sanguineti.
Nella
spola tra Italia e Israele, Gilberto, convertitosi allebraismo e stabilitosi
con la moglie Bina e il figlio Samuele (Pimpi) a Tel Aviv,
diresse per diversi anni il Teatro Comunale di Haifa, dove nel 1987 mise in
scena, tradotto in ebraico, Qui comincia
la sventura del Signor Bonaventura di Sto, spettacolo memorabile per
le scene, ispirate alle tavole del «Corriere dei Piccoli», e i costumi di pannolènci,
dai colori vividi e caldi, nel quale un attore arabo vestiva i panni di
Bonaventura (si veda la galleria fotografica nel sito sopra citato).
Dotato
di molti talenti (sapeva imitare perfettamente il tratto di Sto) e di vasta
cultura, Gilberto parlava correntemente molte lingue, per vivere si contentava
di poco, talvolta pochissimo, di carattere schivo, bastava un nulla ad
accendergli un sorriso. La sua vita? Unelegante piroetta.
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