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Ricordo di Pizzirì

di Alessandro Tinterri
  Gilberto Tòfano
Data di pubblicazione su web 27/04/2022  

Domenica 2 febbraio 2020 se n’è andato Pizzirì. Con questo nome era stato presentato ai lettori del «Corrierino» il figlio di Bonaventura, all’anagrafe Gilberto Tòfano, nato a Roma il 17 dicembre 1929 da Sergio Tòfano e Rosetta Cavallari, attrice, scenografa e costumista, oltre che pittrice. Da anni viveva appartato a Bologna alla Casa Lyda Borelli per Artisti e Operatori dello Spettacolo ed è solo ora, interrogando la rete, che ho appreso la notizia della sua scomparsa, leggendo il ricordo di Simonetta Della Seta su «moked», il portale dell’ebraismo. Racconta una bella storia, che mi sembra giusto condividere oggi, a due anni di distanza dalla scomparsa di Pizzirì.

Nell’invitare a leggere integralmente il bell’articolo, mi limito qui a estrapolarne qualche brano. Racconta Gilberto Tòfano di essere stato cresciuto dalla sorella del padre Sergio, Liliana, che viveva con la sua storica compagna di scuola, Francesca Tardani, insegnante di pianoforte, a Roma in piazza Paganica 13, nei pressi del ghetto ebraico: «Quando i miei genitori, – che fino al ’41 hanno sempre vissuto di grande albergo in grande albergo, mi affidarono a loro divennero zie in servizio permanente effettivo: per me zia Liana era “mammì” e zia Francesca “zizzì”. Si potrebbe pensare che un bambino che cresce tra due anziane zitelle possa trarne qualche problema di personalità. Invece la tempra dimostrata dalle due fragili signorine fin sotto il fascismo e ancora di più dalle leggi razziali in poi è stata per me un grande e decisivo esempio».

Ricorda Simonetta Della Seta come il legame tra le due famiglie fosse diventato più stretto dopo che Sergio Tòfano aveva aderito all’invito di organizzare uno spettacolo del Signor Bonaventura per i bambini ebrei. In particolare dopo l’8 settembre 1943, per le zie di Gilberto l’emergenza legata alle leggi razziali divenne un’ossessione: «Non c’era sera che non si affacciassero da noi a via Arenula – ricordava mio padre Giulio – implorandoci di scappare e nasconderci». Dopo ripetute insistenze, le zie di Gilberto riuscirono a convincere nonna Della Seta a trasferirsi a casa loro con la nipotina Paola, mentre Guido, padre della scrivente, coetaneo di Gilberto e suo compagno di giochi, venne mandato da un conoscente cattolico. Il nonno Leonello, decorato della prima guerra mondiale, era certo che la patria non l’avrebbe tradito. Lui e il nipote sedicenne Giancarlo, la notte tra il 15 e il 16 ottobre, dormirono in viale delle Milizie, ospiti di una famiglia di ebrei convertiti e da lì vennero prelevati tutti da una camionetta tedesca. Finirono ad Auschwitz e non fecero ritorno. Ancora Della Seta così rievoca quelle ore drammatiche: «Quando alle 5.30 di quel sabato i Tofano sentirono le urla degli ebrei del ghetto rastrellati e li videro portare via dalla loro finestra, mio nonno e mio zio erano già stati catturati e il filo del telefono di quell’appartamento staccato. Quella mattina, che Gilberto mi ha raccontato tante volte, guidandomi fino a piazza Paganica e indicandomi le finestre da cui assistette quattordicenne a tanto scempio, segnò uno spartiacque nella nostra vita, e anche nella sua».

«Il giorno dopo, – prosegue – fu Sergio Tofano ad accompagnare mio padre sotto nome falso al collegio San Giuseppe De Merode, a Piazza di Spagna, dove aveva messo in scena non tanto tempo prima il suo Gianburrasca e dove conosceva il buon cuore di padre Sigismondo. […] Da bambina incontravo spesso sulla strada per scuola le signorine Tofano e Tardani, che abitavano in Via delle Zoccolette. A volte ci veniva a trovare anche l’anziano attore, vestito di bianco, elegantissimo. Sentivo forte il sentimento di gratitudine dei miei per tutti loro, ma ancora non sapevo. Fu molto più tardi che mio padre mi raccontò la storia nei dettagli». Sulla base di quei racconti e della testimonianza di Gilberto, Simonetta Della Seta ha avviato la procedura perché alla famiglia Tòfano venga dato il riconoscimento di «Giusti fra le nazioni» dallo Stato di Israele, perché, come è scritto nel Talmud, chi salva una vita salva il mondo intero.

Ma la storia non finisce qui, perché un giorno Hanna, figlia di Simonetta Della Seta, stabilitasi nel frattempo in Israele, torna da scuola tutta eccitata, per aver visto Matzor, film israeliano, che l’ha entusiasmata: «Mamma, mi disse, il regista ha un nome che sembra italiano: un certo Gilberto Tofano».

Infatti, Gilberto, arrivato in Israele nel 1967 dopo la guerra dei Sei Giorni, girò Matzor (L’assedio), con attori israeliani, presentato al Festival di Cannes del 1969, una pellicola che occupa tuttora un posto di rilievo nella storia della cinematografia israeliana, tanto da essere inclusa nel 2010 nella rassegna romana sul cinema israeliano. In controtendenza al clima euforico, seguito alla vittoria israeliana, il lavoro di Tofano racconta la storia di una giovane vedova, Tamar, che, incoraggiata da David, rompe l’assedio di Eli, amico del marito, e di quanti la vorrebbero imprigionare nel suo ruolo di vedova di guerra. Tamar cambia modo di vestire e pettinatura, finché anche David viene richiamato sotto le armi e la storia sembra ripetersi. Lo sguardo esterno del regista si tradusse in un film antiretorico, in bianco e nero, contro la guerra e dalla parte di una donna.

Ma, prima di approdare in Israele, l’Enciclopedia dello Spettacolo ci informa che Gilberto aveva studiato danza coi Sakharoff, Alexander e Ludmilla, e aveva esordito nel luglio 1954 al Teatro Verde di Venezia come mimo in Resurrezione e vita, coreografo Massine. Dopo aver ideato i costumi per Fondarono una città di Cesare Meano al Teatro delle Arti di Roma nello stesso 1954, diresse e coreografò due spettacoli d’eccezione, di cui ideò anche scene e costumi, al teatrino di Villa Zingone al Casaletto a Roma: La finta giardiniera di Mozart (17 luglio 1956) e Le Devin du village di Rousseau (14 luglio 1957). Dal ’56 al ’59 fu aiuto regista di Strehler al Piccolo Teatro di Milano, per il quale tradusse il Coriolano di Shakespeare, e al Piccolo avrebbe fatto ritorno alla fine degli anni Ottanta per collaborare con lo stesso Strehler alla traduzione del Faust di Goethe, nell’impresa che vide il regista anche interprete. Negli anni Sessanta fu anche regista televisivo, collaborando a Tv7, storico rotocalco televisivo della Rai.

Risale agli anni Settanta la bella mostra Sto. Una storia lunga un milione: disegni, fotografie, spettacoli di Sergio Tòfano da lui curata insieme con Alessandro d’Amico (catalogo Bulzoni), che, partita dal Palazzo delle Esposizioni di Roma, per opera del Museo Biblioteca dell’Attore, cui nel frattempo aveva affidato il Fondo Tofano, visitò Genova, Firenze, Torino e Milano. Pizzirì continuò ad adoperarsi per tenere viva la memoria del padre e far rivivere la sua eredità, ricorrendo alle nuove tecnologie digitali e curando il sito, ricco di materiali e testimonianze, nonché analisi di illustri esegeti, tra i quali Tullio De Mauro e Edoardo Sanguineti.

Nella spola tra Italia e Israele, Gilberto, convertitosi all’ebraismo e stabilitosi con la moglie Bina e il figlio Samuele (Pimpi) a Tel Aviv, diresse per diversi anni il Teatro Comunale di Haifa, dove nel 1987 mise in scena, tradotto in ebraico, Qui comincia la sventura del Signor Bonaventura di Sto, spettacolo memorabile per le scene, ispirate alle tavole del «Corriere dei Piccoli», e i costumi di pannolènci, dai colori vividi e caldi, nel quale un attore arabo vestiva i panni di Bonaventura (si veda la galleria fotografica nel sito sopra citato).

Dotato di molti talenti (sapeva imitare perfettamente il tratto di Sto) e di vasta cultura, Gilberto parlava correntemente molte lingue, per vivere si contentava di poco, talvolta pochissimo, di carattere schivo, bastava un nulla ad accendergli un sorriso. La sua vita? Un’elegante piroetta.




 



 
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