È tornato sulla
scena italiana, in una edizione aggiornata, Solo, ultimo one man show
di Arturo Brachetti, una delle figure cardine della prestigiazione
contemporanea, rifondatore, a partire dagli anni Ottanta, di una branca dellillusionismo
pressoché scomparsa dal panorama teatrale internazionale dagli anni Venti del
Novecento: il trasformismo scenico. Una pratica performativa la cui attrattiva
consiste nel dare vita a una serie continua di personaggi mediante rapidissimi
cambi di costume e di trucco.
Allinizio dello spettacolo, il
contenitore scenico è chiuso allaltezza del proscenio da un telo sul quale è
proiettato un surreale e sdoppiato ritratto del volto dellartista, che fluttua
fra le tavole di un nudo palcoscenico e un cielo dalle fattezze magrittiane. Leffigie-matrioska
(la stessa della locandina) si anima: ruota di novanta gradi e una carrellata
ottica in avanti conduce lo sguardo degli spettatori nella “mente” di
Brachetti. Sollevatosi lo schermo-sipario, una simbolica scenografia (Rinaldo
Rinaldi) simula lo spigolo interno di una enorme scatola dei ricordi in
cartone squarciata diagonalmente, ai cui versanti lacerati è visibile persino il
caratteristico strato di carta ondulata. Nel segno di una esibita mise en
abyme, al centro della scena campeggia un tavolo rotante sul quale è
collocato un altro contenitore che, scoperchiatosi magicamente, rivela al suo interno
una sorta di “casa delle bambole” (Matteo Piedi). Il trasformista entra
in scena vestito con un lungo impermeabile grigio e, dischiusa la facciata
frontale dellabitazione in miniatura, inizia a esplorare i suoi accurati
interni mediante una GoPro 5, le cui riprese sono proiettate sulle pareti della
scenografia.
Questo escamotage scenico-diegetico
è lidea forte che caratterizza limpianto registico dello spettacolo.
Brachetti innova il tradizionale assetto paratattico secondo il quale sono
offerte le attrazioni da teatro di varietà, montando i suoi numeri in modo
interdipendente, legandoli attraverso un comune fil rouge. «Sul palco
entro in una sorta di casetta della memoria e ogni stanza mi proietta un mondo
legato ai miei ricordi o ai nostri immaginari», afferma nellintervista a Diego
Vincenti. Così nella prima camera delle meraviglie, il soggiorno, un
televisore anni Sessanta in bakelite
marrone è il pretesto narrativo per dialogare con la memoria televisiva e
cinematografica degli spettatori, ai quali lartista offre a un ritmo vorticoso
e trascinante i primi repentini cambi di costume, trasformandosi, tra gli altri,
in Hulk, Spock, Batman, Jessica Fletcher, Wonder Woman, Cody Madison, Zio
Fester, Sherlock Holmes e in uno dei Ghostbusters.
Un momento dello spettacolo © Paolo Ranzani
Nel solaio della casa delle bambole, vano
depositario dell«archeologia famigliare», è conservata una falda di cappello
forata, che il nonno gli aveva regalato esortandolo a «giocare con le cose
dimenticate». Il microscopico scampolo di feltro, nellatto di essere estratto
dal modellino, diviene per magia di dimensioni naturali, pronto per essere utilizzato
in una singolare performance di chapeaugraphie.
Brachetti,
modellando sul proprio capo la tesa del cappello, dà corpo di volta in volta a un
colbacco russo, al berretto da arciere di Guglielmo Tell, a un elmetto da
equitazione, allacconciatura di Elizabeth
Taylor nella parte di Cleopatra, allampio panama indossato dalla Scarlett
OHara di Via col vento, a un copricapo da pompiere, al kabuto dei
samurai, al petit chapeau di Napoleone.
La camera dellinfanzia è loccasione per offrire
al pubblico numerosi personaggi del mondo delle fiabe e delle favole quali
Peter Pan, il lupo e Cappuccetto Rosso, Aladino, Biancaneve, Shrek, Cenerentola.
In un altro momento dello spettacolo, il trasformista assume le sembianze di
alcuni divi della musica: Pavarotti,
Elvis Presley, i Beatles, Édith Piaf, Madonna, Beyoncé, Michael Jackson e Freddie Mercury. E, ancora, entrando e uscendo da due aperture di
uno spezzato che raffigura la cucina di un ristorante partenopeo, riesce a
recitare da solo una intera breve pièce, nella quale dà voce alle battute vestendo
– letteralmente – i panni del cuoco, della cameriera, dello sposo, della sposa,
della madre dello sposo, nonché del prete.
Sotto la copertura di cortine, teli, dense
nuvole di fumo, improvvisi cambi di luce e grazie alluso di speciali costumi di
sua ideazione, nonché allentourage di assistenti che lo aiuta dal
retropalco attraverso le aperture segrete presenti nella scenografia, Brachetti
riesce a trasformarsi in pochi secondi. La sapiente misdirection
corporea, luministica e scenotecnica depista efficacemente lattenzione degli
spettatori dalle mosse segrete, offrendo loro una rutilante galleria di oltre
sessanta magiche metamorfosi a ritmo di brani famosi e musiche originali (Fabio
Valdemarin). Lartista, energico e appassionante, si rivela abile non solo
nel padroneggiare il peculiare sapere tecnico della disciplina, ma anche nel
fondare la propria recitazione su diversi registri. Brachetti caratterizza con
precisione tutti i suoi – seppur telegrafici – personaggi. Per renderli istantaneamente
riconoscibili ne esagera gli atteggiamenti e ne evidenzia i contrasti, spesso in
chiave caricaturale, tragicomica o farsesca, mediante una espressività
mimico-gestuale di rilievo, un competente uso plastico del corpo – specialmente
nei ruoli en travesti –, nonché un impiego versatile della voce, capace
di realizzare virtuosismi polilinguistici e vertiginosi pastiches
fonetici.
Un momento dello spettacolo © Paolo Ranzani
Al raffinato cabotinage si
alternano momenti di suggestiva poesia. Reinterpretando leffetto de La
palla zombi, ideato negli anni Quaranta dal prestigiatore americano Joe
Karson, Brachetti presenta un vestito a fiori – nei suoi ricordi confezionato
dalla madre – e, facendolo magicamente librare a mezzaria, intesse con labito
una melanconica danza fantasmatica. Successivamente propone un numero dedicato
alle quattro stagioni, in cui la foggia dei quattro costumi si ispira rispettivamente
a Golconda (1953) di René Magritte, a Sopra Vitebsk (1914)
di Marc Chagall, al ciclo delle Ninfee di Claude Monet e
alla serie dei Girasoli di Van Gogh. E, ancora, esibisce una esperta
chironomia durante la performance delle ombre cinesi e il toccante numero di sand
painting.
Il caleidoscopico spazio scenico è in
continuo mutamento. Ad animarlo tematicamente concorrono lelaborato disegno
luci (Valerio Tiberi), gli invisibili espedienti scenotecnici, gli accessori
(Carlo Bono), le soluzioni pittoriche e, soprattutto, i sofisticati apparati
di videomapping: un avanzato sistema di videoproiezioni incrociate che caratterizza
le superfici degli elementi di scena. Un prodigioso ed esibito ibridismo fra fattualità
e fantasmagoria che raggiunge la sua massima espressione nella scena finale: fra
piramidi, muri e fasci di avveniristici raggi laser, il trasognato trasformista
duella con la sua ombra razionale, interpretata da Kevin Michael Moore,
che durante lo spettacolo lo esorta a più riprese a tenere i piedi per terra.
Al termine della pacifica contesa, lillusionista riesce a convincere la sua
controparte e si leva in volo volteggiando allinterno di un cono di raggi
luminosi. Lillusione è visivamente perfetta.
Un momento dello spettacolo © Paolo Ranzani
«Un objet ne tient
pas tellement à son nom quon ne puisse lui en trouver un autre qui lui
convienne mieux», scrisse Magritte (Les mots et les images, in «La
révolution surréaliste», VI, 1929, 12, p. 32). Lapplauditissimo Brachetti con la
sua drammaturgia dei costumi sembra dirci pressappoco la stessa cosa: un uomo
non è a tal punto legato al suo costume da non poterne trovare un altro che gli
si adatti meglio.
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