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Il vuoto potere delle parole

di Benedetta Colasanti
   Il Terzo Reich
Data di pubblicazione su web 22/03/2022  

Nell’ambito del festival La democrazia del corpo (febbraio-aprile 2022) va in scena presso Cango la nuova performance-installazione di Romeo Castellucci. Castellucci è uno dei punti di riferimento dello spettacolo contemporaneo. Fondatore della Socìetas Raffaello Sanzio nel 1981. Tre volte Premio Ubu – rispettivamente con Giulio Cesare (1997), Genesi (2000) e Go Down, Moses (2015) – e Premio Europa nel 1998. Direttore della Biennale di Venezia Settore Teatro nel 2005 e Leone d’oro alla carriera nel 2013. Sono solo alcuni dei riconoscimenti che costellano la carriera del regista e scenografo, distintosi anche in numerosi e importanti contesti internazionali.

Ultimo di una lunga lista di lavori, Terzo Reich si inserisce armoniosamente nel coevo panorama performativo, che negli ultimi anni tende spesso a confrontarsi con l’horror vacui. Se in altre occasioni il palco è riempito fino all’eccesso, qui lo spazio si fa evanescente, la sostanza si perde, si rimette al centro la sensazione individuale a dispetto di un senso collettivo difficile da cogliere o da manifestare. Per esprimere la perdita di significato causata dall’eccesso di informazioni che caratterizza la nostra epoca, Castellucci prende le mosse dalle riflessioni del Lingue Tertii Imperii di Victor Klemperer (1947) che aveva individuato la genesi dei totalitarismi nella distorsione della lingua.

Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo
© Lorenza Daverio

Nel buio quasi assoluto che avvolge la scena, una figura avvolta in un mantello scuro (Gloria Dorliguzzo) accende una candela. Indossa un orecchino luminoso, prezioso; se lo toglie con movenze rituali. Illuminata dal basso dalla debole fiamma, intraprende una danza vorticosa: il movimento delle sue braccia sembra rimanere impresso nello spazio, riecheggiando l’effetto stroboscopico di alcune opere di Giacomo Balla. Nella penombra si percepisce anche il candore di un oggetto: è una colonna vertebrale che viene brutalmente – e metaforicamente – spezzata dall’attante.

Dopo il breve prologo performativo, la sala è invasa da suoni ripetuti ad alto volume. La colonna sonora martellante dello statunitense Scott Gibbons, storico collaboratore di Castellucci, accompagna a ritmo sostenuto la proiezione su sfondo nero di quasi quattordicimila parole bianche. Allo spettatore è praticamente negata la possibilità di percepirle tutte. Ancora una volta lo spettacolo contemporaneo recupera la ventata avanguardistica di inizio Novecento: in questo caso celebrando la velocità, l’unica vera protagonista della nostra epoca. «La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità» (Filippo Tommaso Marinetti, in «Le Figaro», 20 febbraio 1909).

Un momento dello spettacolo © Lorenza Daverio
Un momento dello spettacolo
© Lorenza Daverio

In una messinscena che si può senz’altro definire “immersiva” – se pur priva di tecnologie virtuali e visori – il pubblico non è chiamato a fruire un racconto ma a provare emozioni contrastanti innescate da suoni e parole. Causa la forte intensità, le prime note musicali suscitano paura e insieme curiosità. Perduta la speranza di leggere e di carpire eventuali nessi logici tra le parole proiettate, ha inizio nello spettatore una fase di insofferenza, di rabbia. Segue il logoramento, l’esaurimento dello sforzo (e della voglia) di concentrare l’attenzione su ciò che si vede e si ode. Il pubblico di volta in volta si assopisce, medita, esce dal teatro a metà spettacolo. Sui corpi di chi rimane in sala il suono e la luce provocano un effetto di vertigine ma dopo circa sessanta minuti, svanito lo stordimento, subentra una definitiva apatia.

Attraverso la censura, la propaganda, l’oscurantismo e la deformazione semantica della lingua, i totalitarismi del XX secolo hanno scientemente favorito un diffuso vuoto di conoscenza e di capacità critica. L’odierna disponibilità di un’enorme quantità di informazioni, di neologismi, di internazionalismi crea disorientamento e porta a un risultato non dissimile. Terzo Reich esprime tutta la difficoltà dell’uomo di oggi assorbito in un contesto di velocità, di sovrabbondanza, di genericità. Se le parole hanno perduto il loro significato, è ancora possibile chiamare “arte” o “spettacolo” una messinscena come Terzo Reich? Esperimento riuscito. 



Il Terzo Reich
cast cast & credits
 


Valerio Binasco  Spettacolo visto il 9 marzo 2022 al Teatro Duse di Genova

Gloria Dorliguzzo
in Terzo Reich
© Lorenza Daverio

 Spettacolo visto il
19 marzo 2022
a Cango (Firenze)



 
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