Nellambito
del festival La democrazia del corpo (febbraio-aprile 2022) va in scena presso
Cango la nuova performance-installazione di Romeo Castellucci. Castellucci è uno dei punti di
riferimento dello spettacolo contemporaneo. Fondatore della Socìetas Raffaello
Sanzio nel 1981. Tre volte Premio Ubu – rispettivamente con Giulio Cesare
(1997), Genesi (2000) e Go Down, Moses (2015) – e Premio Europa
nel 1998. Direttore della Biennale di Venezia Settore Teatro nel 2005 e Leone
doro alla carriera nel 2013. Sono solo alcuni dei riconoscimenti che
costellano la carriera del regista e scenografo, distintosi anche in numerosi e
importanti contesti internazionali.
Ultimo
di una lunga lista di lavori, Terzo Reich si inserisce armoniosamente
nel coevo panorama performativo, che negli ultimi anni tende spesso a
confrontarsi con lhorror vacui. Se in altre occasioni il palco è
riempito fino alleccesso, qui lo spazio si fa evanescente, la sostanza si
perde, si rimette al centro la sensazione individuale a dispetto di un senso
collettivo difficile da cogliere o da manifestare. Per esprimere la perdita di
significato causata dalleccesso di informazioni che caratterizza la nostra
epoca, Castellucci prende le mosse dalle riflessioni del Lingue Tertii
Imperii di Victor Klemperer (1947) che aveva individuato la genesi
dei totalitarismi nella distorsione della lingua.
Un momento dello spettacolo © Lorenza Daverio
Nel
buio quasi assoluto che avvolge la scena, una figura avvolta in un mantello
scuro (Gloria Dorliguzzo) accende una candela. Indossa un orecchino luminoso, prezioso; se lo
toglie con movenze rituali. Illuminata dal basso dalla debole fiamma, intraprende
una danza vorticosa: il movimento delle sue braccia sembra rimanere impresso
nello spazio, riecheggiando leffetto stroboscopico di alcune opere di Giacomo
Balla. Nella penombra si percepisce anche il candore di un oggetto: è una
colonna vertebrale che viene brutalmente – e metaforicamente – spezzata dallattante.
Dopo
il breve prologo performativo, la sala è invasa da suoni ripetuti ad alto
volume. La colonna sonora martellante dello statunitense Scott Gibbons,
storico collaboratore di Castellucci, accompagna a ritmo sostenuto la
proiezione su sfondo nero di quasi quattordicimila parole bianche. Allo
spettatore è praticamente negata la possibilità di percepirle tutte. Ancora una
volta lo spettacolo contemporaneo recupera la ventata avanguardistica di inizio
Novecento: in questo caso celebrando la velocità, lunica vera protagonista
della nostra epoca. «La letteratura esaltò fino ad oggi limmobilità pensosa,
lestasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, linsonnia
febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. Noi
affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova;
la bellezza della velocità» (Filippo Tommaso Marinetti, in «Le Figaro»,
20 febbraio 1909).
Un momento dello spettacolo
© Lorenza Daverio
In
una messinscena che si può senzaltro definire “immersiva” – se pur priva di
tecnologie virtuali e visori – il pubblico non è chiamato a fruire un racconto
ma a provare emozioni contrastanti innescate da suoni e parole. Causa la forte
intensità, le prime note musicali suscitano paura e insieme curiosità. Perduta
la speranza di leggere e di carpire eventuali nessi logici tra le parole
proiettate, ha inizio nello spettatore una fase di insofferenza, di rabbia.
Segue il logoramento, lesaurimento dello sforzo (e della voglia) di concentrare
lattenzione su ciò che si vede e si ode. Il pubblico di volta in volta si
assopisce, medita, esce dal teatro a metà spettacolo. Sui corpi di chi rimane
in sala il suono e la luce provocano un effetto di vertigine ma dopo circa sessanta
minuti, svanito lo stordimento, subentra una definitiva apatia.
Attraverso
la censura, la propaganda, loscurantismo e la deformazione semantica della
lingua, i totalitarismi del XX secolo hanno scientemente favorito un diffuso vuoto
di conoscenza e di capacità critica. Lodierna disponibilità di unenorme
quantità di informazioni, di neologismi, di internazionalismi crea
disorientamento e porta a un risultato non dissimile. Terzo Reich
esprime tutta la difficoltà delluomo di oggi assorbito in un contesto di
velocità, di sovrabbondanza, di genericità. Se le parole hanno perduto il loro
significato, è ancora possibile chiamare “arte” o “spettacolo” una messinscena
come Terzo Reich? Esperimento riuscito.
|
|