Lo spazio scenico – un luogo fisico solitario e isolato in riva al mare – è una stanza fatiscente con finestra centrale, pavimento sconnesso e in pendenza. Una catasta di sedie ne ingombra un lato. La vecchia coppia che vi abita ripete un interminabile commento di ricordi perduti, mentre prepara la conferenza di un oratore delegato a diffondere un messaggio decisivo per lumanità. I due mentalmente rievocano a sfondo una Ville Lumière lontana, sfumata e suadente, dai sentori e suoni che si fanno canzone proveniente da fuori. Il maresciallo dalloggio (Michele Di Mauro) suona il suo bastone come una chitarra, le luci già stagliano sui muri del rudere un fondale di sogno per la favola che ha intessuto la loro esistenza di sopravvissuti. Servire il tè è cerimonia che pone a contrappunto il gesto e la parola per cui invece che in tazza il tè si sparge per terra.
Un momento dello spettacolo
Landamento drammatico è unoscillazione tra entusiasmo e delusione e crollo, a ondate successive, fra personaggi di evidente complementarità. Mostrano il sostegno ideale che Semiramide (Federica Fracassi) offre allantieroica figura del compagno, emblema della derisione che annienta le aspirazioni più nobili. Amante e madre, la donna esalta le virtù del marito e lo accoglie in un abbraccio che, in un momento, ha la goffa e tenera valenza di un amplesso impotente e di compassionevole perdono.
La vicenda segue un rituale per necessaria convenzione e simbolismo, non per verità documentaria o narrativa. La bravura degli attori è arte di imitazione e di affettuosa parodia. Si atteggiano, passeggiano, guardano, forse pensano, rendendo fatti rilevanti i gesti semplici della norma quotidiana. Cambiano dabito prima di ricevere gli ospiti via via più importanti che accolgono con convenevoli adeguati alla funzione e al rango. Si susseguono in entrata una signora, un colonnello, la bella ex compagna di scuola del maresciallo, seguita dal marito. Le presenze annunciate, sempre invisibili, sono numerabili nelle sedie collocate il cui aumento crea una sensazione di pericolo incontrollabile, espresso dalla concitazione e dalla confusione del parlare, spesso scomposto, farfugliante e sovrapposto. Nellintrattenimento risalta lesibizione alternata di uno dei padroni di casa, a giustificare la premura ospitale. E ancora la coppia guarda a ritroso e si immagina un figlio desiderato. Nellincongruenza dei sogni frustrati, il canto, la mimica e la danza si fanno strumenti del contrasto fra il comico e il tragico del racconto. Il ricordo attinge alla memoria reale, ma per trasfondersi nella fantasia della finzione. Viene recitato realisticamente in quanto recupera dal vero la forza dellinvenzione di un convegno che renda presenti le persone assenti.
Un momento dello spettacolo
Fin dagli esordi (la creazione di Le sedie è del 1952) Eugène Ionesco, più che denunciare lassurdità del mondo, preferiva non interpretarlo, rifiutava di dargli un senso. In questa messa in scena, però, scopriamo che soffrendo tragicamente quella mancanza, un sovra-senso (non trascendentale) riusciamo a trovarlo, davanti a queste scene preganti di dolore, limpide di solidarietà umana. Pare rara tanta tenerezza, imprevedibile e preziosa, in tale disperazione. Tutte le sfumature che il regista e gli attori sembrano ottenere gratuitamente sorgono invece dallintelligenza condivisa e dalla sensibilità delle reazioni espressive personali.
La quantità (ridotta) di musica, sparsa lungo tutta la durata, sostanzialmente silenziosa, dello spettacolo, decide la qualità sonora complessiva. La luce sempre rivelatrice non disturba, aumenta il pudore sui gesti, i cenni, gli sguardi, le impercettibili tensioni degli occhi, della bocca, delle dita. La precisione dei dettagli, che non si confondono sommandosi, conferisce ulteriore musicalità alla struttura visiva ed emotiva del dramma.
Un momento dello spettacolo
Nel testo originale latteso conferenziere giungeva e nel presentarsi si rivelava sordomuto. Fedeli a moventi tipici nellautore, i vecchi si suicidavano, avendo perduto, allo scadere dellattesa, la ragione di vivere. Loratore usciva a sua volta, generando nel silenzio lassenza e il nulla assoluti. Qui lo precedono i tanti personaggi accolti e trattenuti in conversazione, fino alla conferma telefonica della partecipazione dellimperatore. Infine, il relatore entra dalla sala, accompagnato da un proiettore, ma resta a sua volta invisibile. Allora la coppia recita il ringraziamento, la glorificazione del teatro prima di accomiatarsi. Un omaggio allarte della scena, sentita viva e vera nellinsieme di persone e di immagini e parole. Per questo il regista è intervenuto minuziosamente anche sui suggerimenti esteriori del testo, per adempiere lesigenza di una rappresentazione “più vera del vero” quale le marionette amate da bambino avrebbero ispirato allautore. Anche così Valerio Binasco – dopo La lezione, diretta nel 2017 – aggiunge un nuovo capitolo alla retorica del drammaturgo, per la quale le cose (qui le sedie, in primis) diventano parole in azione. A tal proposito Ionesco ammoniva il suo regista: «Il tema non è il messaggio, né gli scacchi della vita, né il disastro morale dei vecchi, ma proprio le sedie, cioè lassenza delle persone […]. Il soggetto [della pièce] è il nulla».
Ladattamento attuale sta appunto nel riconoscere larte del teatro come necessaria alla vita, supplente ai suoi vuoti. Succede quando il maresciallo coinvolge gli spettatori, sostitutivi concreti dei convocati latitanti, e affida loro il suo ultimo messaggio. E nella traduzione di Gian Renzo Morteo, uneco della dedizione che il grande critico e studioso profuse nel promuovere il “nuovo” teatro francese in Italia. Udiamo sue le parole del congedo del Vecchio dal pubblico: «Mi rivolgo a voi, a tutti voi…». Noi spettatori riceviamo il messaggio estremo, il saluto tanto atteso e dilazionato. Sicché emana quasi felicità e soddisfazione, riassunte in ritualità semplice e solenne, quellarrampicarsi dei vecchi fino al davanzale, darsi la mano e tuffarsi nel vuoto.
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