Lo scenografo Yannis Kokkos, greco trapiantato in Francia, ha maturato larte
della regia ampliando e fondendo le proprie doti inventive. Conoscitore dellarte
italiana, da ex-direttore di Villa Médicis a Roma, mette in scena il dramma della
creatura di Pirandello con lintenzione di indagarne, più che di
svelarne, i moventi misteriosi. Immerge perciò lavventura del protagonista in
uno spazio scenico preciso e funzionale alla sua ricerca e vi aggiunge una
terza attenzione forse superflua: sottolineare il processo del teatro nel
teatro che il drammaturgo siciliano assunse a principio, divenuto proverbiale
in certi suoi capolavori. A tale scopo, sul palcoscenico, organizzato in
elementi staccati (il trono accessibile con una gradinata, la parete con le due
figure dipinte di Enrico e Matilde), si nota la serie di camerini dove gli attori
sostano a parlare prima della recita. Un momento dello spettacolo
Già il testo svolge la sua introduzione esplicativa sulla condizione del
sedicente Enrico IV, ospitato in casa del Marchese Di Nolli suo nipote. Dai
primi discorsi dei consiglieri, la sua disgrazia appare nella fissazione
alienante della pazzia che ne ha indotto lisolamento. Si apprende dellincidente
occorso durante una remota cavalcata in maschera e si descrive come sia controllato
e protetto nel suo mondo illusorio. Con larrivo dei co-protagonisti
dellevento traumatico di ventanni prima (la caduta provocata dal rivale
Belcredi), si assisterà a un tentativo di guarirlo, proposto dal dottor Genoni,
mediante la rievocazione del momento scatenante la psicosi. La figlia di
Matilde, Frida, impersonerà la madre, sperando che la vista della compagna,
giovane come allora, produca uno shock
nel malato da farlo rinsavire. Una registrazione video documenterà
lesperimento. I personaggi si sono travestiti e quando compare Enrico, in
veste monacale scura, sembra riconoscerli compagni di quel passato. Svolge unaccorata,
profonda riflessione (se pure molto accorciata, come del resto tutte le battute)
sul suo personaggio in rapporto con quello di Matilde di Canossa, scena che lo conferma
nella “maschera” assunta e nella finzione consolidata. Il primo atto si chiude,
senza il risultato atteso, mancando lintervento della giovane Frida.
Dopo lintervallo, il medico verifica le sue ipotesi sulla registrazione
dei comportamenti del pazzo e vi trova conferma allidea di inscenare la recita
mostrando in Frida Matilde nello stesso costume. Gli interpreti travestiti
accolgono Enrico, ora anchegli in abito regale. Assecondato il dialogo fra i personaggi
storici rappresentati, passa bruscamente allinvettiva e sgomenta gli
interlocutori. Emerge così larte dellattore, persino esuberante, nel potere
delle parole, capace di sbaragliare gli astanti, i consiglieri confusi e ammutoliti
al sentirsi chiamati per nome, scoperti nellinganno in cui credevano di averlo
irretito. Enrico si rivolge poi a se stesso, alla sua identità, neppure garantita
da un nome proprio. Allo specchio, «Sono o non sono?», si domanda, quasi giustificando
un suo carattere “amletico”. Un momento dello spettacolo
Bella prova e a momenti avvincente, per Sebastiano Lo Monaco, che
ha assimilato e reso senza artifici vocali lo spirito più acre e percussivo
dellarte pirandelliana e lo applica per scombinare tante certezze di apparenza.
Il suo monito raggiunge tutti i personaggi. Il gruppo dei creduloni, succubi
seguaci per comodo e ignavia ignorante, dei consiglieri, sono resi clowneschi
da attori duttili, agili e giocosi. Gli antagonisti principali dipingono in convenzione
efficace la coppia conflittuale di Matilde (Mariàngeles Torres) e
Belcredi (Claudio Mazzenga). Inoltre, il pazzo sagace sa entrare
poeticamente nel regno del sogno, tornare a uninfanzia fantasticata e
travolgere i nemici con una risata sarcastica e contagiosa. Esce, avendo
dettato al Monacello (il Cameriere) il Decreto di Magonza.
Il dramma precipita nello scioglimento del terzo atto. In luce violetta
si animano i due ritratti, ne balza fuori Frida-Matilde e le due donne, vicine,
appaiono uguali. Enrico savvia al trono, a spiegare come, rinsavito, abbia
scelto la follia per strumento di vendetta e di affermazione. «Chi
meglio dellattore, che ogni sera si sdoppia, può recitare la follia? – propone
il regista – Chi meglio di lui può recitare il teatro dellinconscio, visto che
tutte le sere si sottopone a una seduta psicoanalitica? Lattore finge, proprio
come Enrico, il quale, attraverso la finzione, costringe gli altri, a loro
volta, a fingere. […] Il giuoco ambiguo della finzione non si coniuga più con
realtà, ma con follia, tanto che, la nota formula “Finzione o realtà?” si
trasforma in “Finzione o follia?”». Per Enrico è la follia lunica finzione
possibile. Attratto irresistibilmente dalla
Matilde sognata e ritrovata, la abbraccia («Sei mia…») e a Belcredi, che cercava
di fermarlo, spara un colpo di pistola. La scelta ormai cosciente lo assolve e
gli regala verità e libertà, per sempre.
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