Lidea
di un film sulla dissoluzione della famiglia Gucci risale al lontano
2006 ma vede la luce soltanto nel 2020, quando la MGM acquisisce i diritti del romanzo
omonimo di Sara Gay Forden. Distribuito nelle sale a pochi mesi di
distanza dallanteprima veneziana di The Last Duel (sempre diretto da Ridley
Scott), House of Gucci si presenta come lennesimo biopic di
cui si poteva benissimo fare a meno. Solo nellipotesi che lintento degli
autori fosse quello di mettere in scena una farsa, una parodia, gli si
perdonerebbe tutto. Con un cast
e una troupe del genere le
aspettative erano alle stelle, ma bisogna prendere atto che non è sempre oro
quel che luccica.
Una scena del film
La
storia si distende su un arco temporale di quasi ventanni, dal 1978 al 1997.
Durante una festa a Milano una giovane e attraente Patrizia Reggiani (Lady
Gaga) fa la conoscenza dellimpacciato e timido studente di giurisprudenza Maurizio
Gucci (Adam Driver), erede di metà delle azioni della nota maison.
Questi, dapprima sulle sue, cede al fascino della donna, inimicandosi il padre Rodolfo
(Jeremy Irons) che lo disereda quando i due convolano a nozze,
convinto che la donna stia con il figlio soltanto per denaro. Luomo cambierà
idea con la nascita della nipotina Alessandra (stesso nome della moglie venuta
a mancare). In questa instabile rete familiare si aggiungono le figure dellautoritario
zio Aldo (Al Pacino) e del cugino Paolo (Jared Leto).
Praticamente unica figura femminile di rilievo è Patrizia, tralasciando la sua
fida consigliera Giuseppina Auriemma interpretata da Salma Hayek,
moglie, tra laltro, dellattuale capo di Gucci François-Henri Pinault.
La protagonista, spinta dalla brama di potere e di ricchezza, tesse le fila di
una ragnatela destinata a tenere tutti sotto controllo, al prezzo di diatribe,
separazioni, arresti, agguati.
Una scena del film
La
costruzione dei personaggi risulta drammaticamente bidimensionale,
macchiettistica, realizzata sui reiterati stereotipi degli italoamericani
eccentrici e filomafiosi. A pagare le spese di questa rappresentazione
irriguardosa è la stessa famiglia Gucci al completo: Rodolfo, padre e zio
snaturato “incastrato” nel suo passato; il figlio Maurizio, prima inetto poi
novello Giasone (o anche Teseo); il fratello Aldo, viscido donnaiolo attempato;
il nipote Paolo, quasi un minorato mentale. Questa sorta di accanimento raggiunge
lapice nel finale con il tentativo di giustificare il successo della casa di
moda proprio grazie alla sparizione nel direttivo di tutti i membri della
famiglia. Visto in lingua originale – dal punto di vista lessicale e filologico
– la pellicola rasenta a dir poco il ridicolo: la recitazione (in americano) degli
attori principali calca fino allinverosimile le inflessioni dellitaliano, con
tanto di gesticolazioni improbabili; quando invece gli interpreti pronunciano
qualche parola in italiano, buttata qua e là senza una reale giustificazione, la
cadenza anglofona straborda, in una babele linguistica che, cosa più unica che
rara, spinge a consigliarne la versione doppiata. La domanda sorge spontanea:
perché non utilizzare direttamente attori italiani? Oppure: perché non recitare
esclusivamente in americano?
Una scena del film L“occhio
di bue” è praticamente sempre puntato sulla figura della Reggiani, privata però
di un approfondimento concreto del suo ego spezzato, umiliato e offeso. La
superficialità regna sovrana soprattutto nellultima parte, nonostante lenorme
potenziale drammaturgico delle torbide vicende in questione: la maniera
sbrigativa con cui vengono messe in scena le avvicina, più che al noir, alla
soap opera. A tentare di salvare il risultato concorrono il lavoro dei
truccatori, i costumi della straordinaria Janty Yates, alcune perle
recitative degli attori principali, uno più bravo dellaltro ma tutti (ahinoi) vittime
della sceneggiatura. Che il ventisettesimo film del cineasta ottantaquattrenne cercasse
di restituire a tutti i costi un vortice di brame, lussi, vanità ed efferatezze
lo si capiva sin dalle prime immagini trapelate dai vari set e trailer.
Ma, come si è detto, non è bastato. Siamo di fronte a unoperazione dove il
grottesco non ammalia ma respinge, dove lemozione è solo sussurrata ma mai messa
davvero in mostra. Occasione mancata.
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