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Lady Macbeth chic e kitsch

di Giuseppe Mattia
  House of Gucci
Data di pubblicazione su web 21/12/2021  

L’idea di un film sulla dissoluzione della famiglia Gucci risale al lontano 2006 ma vede la luce soltanto nel 2020, quando la MGM acquisisce i diritti del romanzo omonimo di Sara Gay Forden. Distribuito nelle sale a pochi mesi di distanza dall’anteprima veneziana di The Last Duel (sempre diretto da Ridley Scott), House of Gucci si presenta come l’ennesimo biopic di cui si poteva benissimo fare a meno. Solo nell’ipotesi che l’intento degli autori fosse quello di mettere in scena una farsa, una parodia, gli si perdonerebbe tutto. Con un cast e una troupe del genere le aspettative erano alle stelle, ma bisogna prendere atto che non è sempre oro quel che luccica.



Una scena del film

La storia si distende su un arco temporale di quasi vent’anni, dal 1978 al 1997. Durante una festa a Milano una giovane e attraente Patrizia Reggiani (Lady Gaga) fa la conoscenza dell’impacciato e timido studente di giurisprudenza Maurizio Gucci (Adam Driver), erede di metà delle azioni della nota maison. Questi, dapprima sulle sue, cede al fascino della donna, inimicandosi il padre Rodolfo (Jeremy Irons) che lo disereda quando i due convolano a nozze, convinto che la donna stia con il figlio soltanto per denaro. L’uomo cambierà idea con la nascita della nipotina Alessandra (stesso nome della moglie venuta a mancare). In questa instabile rete familiare si aggiungono le figure dell’autoritario zio Aldo (Al Pacino) e del cugino Paolo (Jared Leto). Praticamente unica figura femminile di rilievo è Patrizia, tralasciando la sua fida consigliera Giuseppina Auriemma interpretata da Salma Hayek, moglie, tra l’altro, dell’attuale capo di Gucci François-Henri Pinault. La protagonista, spinta dalla brama di potere e di ricchezza, tesse le fila di una ragnatela destinata a tenere tutti sotto controllo, al prezzo di diatribe, separazioni, arresti, agguati.



Una scena del film

La costruzione dei personaggi risulta drammaticamente bidimensionale, macchiettistica, realizzata sui reiterati stereotipi degli italoamericani eccentrici e filomafiosi. A pagare le spese di questa rappresentazione irriguardosa è la stessa famiglia Gucci al completo: Rodolfo, padre e zio snaturato “incastrato” nel suo passato; il figlio Maurizio, prima inetto poi novello Giasone (o anche Teseo); il fratello Aldo, viscido donnaiolo attempato; il nipote Paolo, quasi un minorato mentale. Questa sorta di accanimento raggiunge l’apice nel finale con il tentativo di giustificare il successo della casa di moda proprio grazie alla sparizione nel direttivo di tutti i membri della famiglia. Visto in lingua originale – dal punto di vista lessicale e filologico – la pellicola rasenta a dir poco il ridicolo: la recitazione (in americano) degli attori principali calca fino all’inverosimile le inflessioni dell’italiano, con tanto di gesticolazioni improbabili; quando invece gli interpreti pronunciano qualche parola in italiano, buttata qua e là senza una reale giustificazione, la cadenza anglofona straborda, in una babele linguistica che, cosa più unica che rara, spinge a consigliarne la versione doppiata. La domanda sorge spontanea: perché non utilizzare direttamente attori italiani? Oppure: perché non recitare esclusivamente in americano?



Una scena del film

L’“occhio di bue” è praticamente sempre puntato sulla figura della Reggiani, privata però di un approfondimento concreto del suo ego spezzato, umiliato e offeso. La superficialità regna sovrana soprattutto nell’ultima parte, nonostante l’enorme potenziale drammaturgico delle torbide vicende in questione: la maniera sbrigativa con cui vengono messe in scena le avvicina, più che al noir, alla soap opera. A tentare di salvare il risultato concorrono il lavoro dei truccatori, i costumi della straordinaria Janty Yates, alcune perle recitative degli attori principali, uno più bravo dell’altro ma tutti (ahinoi) vittime della sceneggiatura. Che il ventisettesimo film del cineasta ottantaquattrenne cercasse di restituire a tutti i costi un vortice di brame, lussi, vanità ed efferatezze lo si capiva sin dalle prime immagini trapelate dai vari set e trailer. Ma, come si è detto, non è bastato. Siamo di fronte a un’operazione dove il grottesco non ammalia ma respinge, dove l’emozione è solo sussurrata ma mai messa davvero in mostra. Occasione mancata.




House of Gucci
cast cast & credits
 



La locandina del film


Candidatura per il miglior trucco e acconciature a Göran Lundström, Anna Carin Lock e Frederic Aspiras




 
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