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Un viaggio lungo il confine sottile tra la vita e la morte

di Carmelo Alberti
  Pupo di zucchero
Data di pubblicazione su web 20/12/2021  

È un canto e un controcanto alle radici dell’esistenza Pupo di zucchero. La festa dei morti, la nuova creazione di Emma Dante, applaudita con entusiasmo presso il teatro Carlo Goldoni di Venezia. Uno spettacolo intenso e scrupoloso, difficile da descrivere perché, com’è nello stile della regista, si affida a una miriade di linguaggi espressivi e genera un ventaglio di suggestioni emotive.

Ispirandosi a un passo singolare de Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, il tessuto drammatico viaggia nella tradizione orale e linguistica del meridione, da Napoli alla Sicilia, ma finisce ben presto per sondare le ansie della modernità. La pièce agisce entro lo specchio dell’invisibile, attraversando il confine sottile tra la vita e la morte, fino a evidenziare il legame profondo che, con il passare degli anni, nella mente e nei sogni si stabilisce tra chi ancora vive e le generazioni degli assenti.

Un momento dello spettacolo 
© Ivan Nocera

La monotona solitudine di un Vecchio «’nzenziglio e spetacchiato» si interrompe la vigilia della “festa dei morti” con la preparazione del “pupo di zucchero”, un impasto rituale che sembra avere il potere di evocare i fantasmi dei propri defunti. La ricetta del dolce, i cui ingredienti sono descritti nel Cunto di Basile, in particolare nel terzo racconto della quinta giornata, Pinto Smauto (“Smalto Splendente”), è una vera e propria formula magica da eseguire con la giusta lievitazione per attirare «li pesci de lo cielo».

Così, al suono dei campanelli, il buio intorno all’uomo si anima, facendo riaffiorare le sembianze dei propri familiari: vi sono le tre sorelle dai nomi odorosi, Rosa, Primula e Viola, che s’annunciano con il loro canto; il papà marinaio che un giorno non torna più indietro e che ogni notte mammina attende invano in riva al mare. Il gruppo dei morti si allarga con la parvenza di Pasqualino, l’esuberante ragazzo adottato dalla madre e accolto come un figlio, con la femminilità esibita della zia Rita, impegnata a eccitare zio Antonio, un marito-amante violento all’estremo, e con l’esaltato Pedro, l’innamorato di Viola che sogna di diventare un torero. Il “pupo” ha il potere di riattivare la forza avvilente dei ricordi e i turbamenti onirici più insidiosi; fa riferimento al pasto simbolico che invita a mangiare il corpo del defunto per poterlo ricongiungere a sé.

Un momento dello spettacolo 
© Ivan Nocera

Dentro la stanza delle memorie Emma Dante scatena una sarabanda festosa, che travalica il piano drammaturgico e incrocia lo spirito delle antiche ricorrenze popolari, affidandosi alle lamentazioni del canto, alla frenesia scomposta delle danze, perfino alle follie del varietà. La traccia registica emerge con chiarezza attraverso l’energia degli attori, tutti davvero impareggiabili, instancabili nel disegnare dentro il vuoto del palcoscenico i tratti riconoscibili del tempo perduto. Il bravo Carmine Maringola è l’anziano protagonista, tormentato dall’ansia di rientrare nel cerchio di un passato pieno di abitudini felici e necessarie; l’attore incarna con efficacia lo spunto di partenza segnalato dalla regista e tratto da I quaderni di Malte Laurids Brigge di Rainer Maria Rilke, laddove si dice come le reminiscenze possono diventare ispirazione (ovvero: vitalità e, insieme, espressione poetica) solo quando si innestano finalmente nelle pulsazioni sanguigne, negli sguardi e nei gesti dei sopravvissuti.

La consapevolezza del Vecchio emerge, dunque, nella sintesi di un quotidianità familiare, aspra e gioiosa a un tempo, con un rito arcaico che per un momento spazza via lo squallore del buio e dell’attesa; così dichiara: «Il 2 novembre è l’unico iuorno ca ce sta nu poco de vita dinta a sta casa», prima di avviarsi verso il cimitero, dove siede davanti alle tombe per onorare con i lumini accesi i corpi rinsecchiti dei propri cari, raffigurati dalle sculture create da Cesare Inzerillo alla stregua degli scheletri custoditi nella Cripta dei Cappuccini di Palermo. Mentre gli interpreti si immergono con maestria nella vacuità del soffio notturno, la rappresentazione si chiude con una visione scenica alla Kantor, con una processione macabra avvolta dal silenzio assoluto dell’eternità.




Pupo di zucchero
cast cast & credits
 



Lo spettacolo è stato visto 
il 17 dicembre 2021 
 
Firenze University Press
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