È
un canto e un controcanto alle radici dellesistenza Pupo di zucchero. La festa dei morti, la nuova creazione di Emma
Dante, applaudita con entusiasmo presso il teatro Carlo Goldoni di Venezia.
Uno spettacolo intenso e scrupoloso, difficile da descrivere perché, comè
nello stile della regista, si affida a una miriade di linguaggi espressivi e genera
un ventaglio di suggestioni emotive.
Ispirandosi
a un passo singolare de Lo cunto de li cunti
di Giambattista Basile, il tessuto drammatico viaggia nella tradizione
orale e linguistica del meridione, da Napoli alla Sicilia, ma finisce ben
presto per sondare le ansie della modernità. La pièce agisce entro lo specchio dellinvisibile, attraversando il
confine sottile tra la vita e la morte, fino a evidenziare il legame profondo
che, con il passare degli anni, nella mente e nei sogni si stabilisce tra chi
ancora vive e le generazioni degli assenti. Un momento dello spettacolo
© Ivan Nocera
La
monotona solitudine di un Vecchio «nzenziglio e spetacchiato» si
interrompe la vigilia della “festa dei morti” con la preparazione del “pupo di
zucchero”, un impasto rituale che sembra avere il potere di evocare i fantasmi
dei propri defunti. La ricetta del dolce, i cui ingredienti sono descritti nel Cunto di Basile, in particolare nel terzo racconto della quinta giornata, Pinto Smauto (“Smalto Splendente”), è una vera e propria formula
magica da eseguire con la giusta lievitazione per attirare «li pesci de lo cielo».
Così,
al suono dei campanelli, il buio intorno alluomo si anima, facendo riaffiorare
le sembianze dei propri familiari: vi sono le tre sorelle dai nomi odorosi,
Rosa, Primula e Viola, che sannunciano con il loro canto; il papà marinaio che
un giorno non torna più indietro e che ogni notte mammina attende invano in
riva al mare. Il gruppo dei morti si allarga con la parvenza di Pasqualino, lesuberante
ragazzo adottato dalla madre e accolto come un figlio, con la femminilità
esibita della zia Rita, impegnata a eccitare zio Antonio, un marito-amante
violento allestremo, e con lesaltato Pedro, linnamorato di Viola che sogna
di diventare un torero. Il “pupo” ha il potere di riattivare la forza avvilente
dei ricordi e i turbamenti onirici più insidiosi; fa riferimento al pasto
simbolico che invita a mangiare il corpo del defunto per poterlo ricongiungere
a sé. Un momento dello spettacolo
© Ivan Nocera
Dentro
la stanza delle memorie Emma Dante scatena una sarabanda festosa, che travalica
il piano drammaturgico e incrocia lo spirito delle antiche ricorrenze popolari,
affidandosi alle lamentazioni del canto, alla frenesia scomposta delle danze, perfino
alle follie del varietà. La traccia registica emerge con chiarezza attraverso lenergia
degli attori, tutti davvero impareggiabili, instancabili nel disegnare dentro il
vuoto del palcoscenico i tratti riconoscibili del tempo perduto. Il bravo Carmine
Maringola è lanziano protagonista, tormentato dallansia di rientrare nel
cerchio di un passato pieno di abitudini felici e necessarie; lattore incarna
con efficacia lo spunto di partenza segnalato dalla regista e tratto da I quaderni
di Malte Laurids Brigge di Rainer
Maria Rilke, laddove si dice come le reminiscenze possono diventare
ispirazione (ovvero: vitalità e, insieme, espressione poetica) solo quando si innestano
finalmente nelle pulsazioni sanguigne, negli sguardi e nei gesti dei
sopravvissuti.
La
consapevolezza del Vecchio emerge, dunque, nella sintesi di un quotidianità
familiare, aspra e gioiosa a un tempo, con un rito arcaico che per un momento spazza
via lo squallore del buio e dellattesa; così dichiara: «Il 2 novembre è
lunico iuorno ca ce sta nu poco de vita dinta a sta casa», prima di avviarsi verso
il cimitero, dove siede davanti alle tombe per onorare con i lumini accesi i
corpi rinsecchiti dei propri cari, raffigurati dalle sculture create da Cesare
Inzerillo alla stregua degli scheletri custoditi nella Cripta dei
Cappuccini di Palermo. Mentre gli interpreti si immergono con maestria nella
vacuità del soffio notturno, la rappresentazione si chiude con una visione
scenica alla Kantor, con una processione macabra avvolta dal silenzio
assoluto delleternità.
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