Il crudo realismo
e lamara comicità del teatro di Eduardo de Filippo tornano sul
palcoscenico nella nuova regia di Carlo Cecchi al Teatro Niccolini di
Firenze. Lo spettacolo mette insieme due atti unici del drammaturgo napoletano,
apparentemente lontani tra loro, ma accomunati dalla commistione di toni
giocosi e drammatici.
Dolore sotto
chiave
nasce come radiodramma nel 1958 e va in onda lanno successivo
con Eduardo e la sorella Titina nel ruolo dei protagonisti, mentre la
prima messinscena risale al 1964 per la riapertura del Teatro San Ferdinando di
Napoli. La trama racconta le sfortunate vicende di Rocco che, tornato a casa
dopo mesi di lavoro in America, apprende dalla sorella Lucia la morte della
moglie, da tempo malata. Alla tragicità dellevento si aggiunge la scoperta di
unamara quanto duratura menzogna: Lucia ha portato avanti una farsa, mentendo
a suo fratello sulle condizioni della consorte per evitare che questultimo
compisse gesti folli. La drammaticità della situazione viene però smorzata
dallilarità della reazione del marito, il quale, ormai “in ritardo” per
piangere la sua amata, è semmai afflitto dallimpossibilità di rifarsi una
nuova vita con unaltra donna. Un momento dello spettacolo
Sik-Sik lartefice
magico,
atto unico in due quadri scritto nel 1929, presenta un intreccio più
lineare e proprio questa sua estrema immediatezza suscita numerosi momenti di umorismo.
Il protagonista Sik-Sik (che in napoletano significa secco, magro),
reinterpretato dallo stesso Eduardo alla fine della sua carriera, è un buffo
prestigiatore che si esibisce con la moglie Giorgetta e Nicola, che gli fa da
spalla. Il mancato arrivo di questultimo porterà Sik-Sik a scegliere di
sostituirlo con Rafele, uno sprovveduto a cui interessano solo i soldi. La
comicità di questa pièce si basa sul fallimento della performance
illusionistica e sulla incomprensione linguistica che ne determina lesito
finale.
Carlo Cecchi
conferma la sua propensione per il recupero del teatro popolare e realizza una
messinscena che mette in risalto la dimensione testuale, rispettandola e
valorizzandone al contempo gli accenti più grotteschi e drammatici. Già regista
e interprete di opere di Eduardo, Cecchi sceglie di mettere insieme due
commedie emblematiche del teatro del Novecento e lo fa lasciando che sia la
parola a produrre quel riso amaro tipico della drammaturgia di De Filippo. Se
nel primo atto la gravità del senso della morte e della perdita viene ribaltata
da momenti farseschi e di assoluta confusione, nel secondo il divertimento è
immediatamente percepito e affidato alle stranezze del protagonista. Grande importanza
è riservata allelemento linguistico, come evidenzia lo stesso regista nel
programma di sala: «Luso che Eduardo fa del napoletano e il rapporto tra il
napoletano e litaliano trova qui lequilibrio di una forma perfetta, quella,
appunto, di un capolavoro».
Le scene curate da
Sergio Tramonti sono nel complesso essenziali, ma subiscono un radicale
cambiamento nel passaggio dal primo al secondo atto, così come avviene per i
costumi, risultato del lavoro di Nanà Cecchi. In Dolore sotto chiave
la scelta cromatica predilige tonalità neutre sia per la scenografia che per
gli abiti dei personaggi, in linea con lo stile degli anni Sessanta. Gli attori
si muovono allinterno di una stanza ricreata con pochi e semplici mobili, uno
su tutti il tavolo rotondo attorno al quale si animano i litigi dei due
fratelli. Nella seconda pièce vengono ricreati due quadri, raffiguranti
rispettivamente lesterno e linterno del teatro in cui si esibisce Sik-Sik:
nel secondo ambiente spiccano colori accesi e vivaci, fra tutti il rosso della
tunica del mago e lazzurro del vestito di seta della sua singolare aiutante.
La componente sonora ha una parte limitata allinterno della messinscena: nel
primo atto si riduce a un suono di tamburi che riecheggia nei momenti della
rivelazione; in Sik-Sik lartefice magico la musica accompagna i
fallimentari giochi di prestigio del protagonista.
Un momento dello spettacolo
Alla prova
interpretativa degli attori è affidato gran parte del successo dello spettacolo.
La recitazione rispetta la tradizione dialettale napoletana e, dunque, riserva
molto spazio alla sottolineatura di una mimica particolarmente espressiva, in
grado di catturare il pubblico fin dalle prime battute. Da lodare il lavoro
svolto da quegli attori che hanno recitato in entrambe le commedie: Vincenzo
Ferrara, che si cala prima nei panni dello sfortunato Rocco e poi in quelli
di Nicola, e Dario Iubatti, una esilarante e grottesca signora Paola nel
primo atto e, in quello successivo, il sempliciotto Rafele. Ma a colpire è
sicuramente linterpretazione di Angelica Ippolito, unica attrice in
scena, in grado di colorire i suoi due personaggi, facendone delle vere e
proprie macchiette. Lesperienza e la bravura di Carlo Cecchi, accennati nelle
brevi battute della prima parte, si rivelano compiutamente soprattutto nelle
vesti di un Sik-Sik protagonista indiscusso dellomonima commedia.
Il sipario si
chiude accompagnato dalle risa di un pubblico divertito e compiaciuto: gli
esilaranti intoppi avvenuti nel teatrino di Sik-Sik sembrano cancellare per un
momento la malinconica risata suscitata dai temi “impegnati” del primo atto. Si
realizza così in scena quel gioco del “teatro nel teatro” in cui realismo e
finzione, comicità e tragedia prendono forma e si intersecano sul palcoscenico.
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