Nel
quinto e ultimo movimento, intitolato Pioggia, Cassandra (Sonia
Bergamasco) pronuncia le seguenti parole: «Non resterà vivo uno solo tra voi / se non lascerete che la pioggia
delle mie parole vi lavi il cuore. / Non resterà un solo edificio / né una
Pietà di Michelangelo né una cupola né un tempio dellEllade fanciulla / Non
resterà una sola biblioteca / né un rigo soltanto di Virgilio. / Non ci sarà
memoria / dei corpi imbalsamati dei Faraoni. / Di Stravinsky non ci sarà più
nessuna nota. / Né si saprà cosera un pianoforte. / Di Caravaggio non
sopravviverà un centimetro di rosso. / Del sogno di Dante non ci sarà più
traccia. / Ascoltatemi / Resurrexit Cassandra per tutti voi Resurge uomo / Resurge donna». Un momento dello spettacolo © Hanna Auer
Parole
esemplari di un testo – di Ruggero Cappuccio – esemplare. Parte di un
tutto complesso, ricco, denso, di felice carattere aulico-antico, il brano
citato ne rappresenta bene la drammaturgia e fa ben capire che tipo di
personaggio sia questa rinnovata, risorta Cassandra. Resurrexit Cassandra entra di diritto fra le riscritture importanti
del mito, tra le quali si può menzionare, sempre su questo personaggio, quella di Christa Wolf (1983).
Cinque
i movimenti della protagonista, con altrettanti costumi (di Nika Campisi per Farani).
Come in un complesso gioco di scatole cinesi, gli abiti emergono via via uno
dentro laltro: nero il primo e, nellordine, rosso con lurex, blu, verde
smeraldo, infine bianco. Il primo (legato al movimento La nebbia) è il
più sontuoso, dalla foggia e dallo stile ottocenteschi, con un velo che cela il
carattere della sacerdotessa. Cassandra entra in scena con un movimento che
sembra "meccanico", come fosse su ruote, ma che poi scopriamo essere del tutto "umano".
Il secondo è legato al vento; gli altri, rispettivamente, a fuoco e fumo,
vapore, pioggia. Un momento dello spettacolo © Hanna Auer
Sulla
scena la profetessa è attorniata da serpenti lignei di varie specie e
dimensioni, forse a evocare il mito e dunque la presenza dei rettili attorno a lei
bambina (e al gemello Eleno). Viene in mente il magistrale studio di Aby
Warburg dedicato al rituale del serpente (Milano, Adelphi, 1998),
tipico degli indiani Pueblo, che riverivano lanimale per la sua intelligenza,
ma anche quale simbolo del fulmine portatore di pioggia (oltre alle molteplici valenze
attribuite al serpente). Sullo sfondo della scena, appoggiata a uno
schermo, unascia, pendant di quella che Cassandra
brandisce nel video. Il film, girato dallo stesso regista Jan Fabre, accompagna, con effetti di nebbia, leggere
ma percepibili varianti, tutto lo spettacolo. Così come laccompagnano la
musica (di Stef Kamil Carlens, con effetti sonori di Christian
Monheim) e il canto che talora la protagonista intona, formando un paesaggio
sonoro gravido di suggestioni.
Limpressione
è quella di un melologo, forma, fra le altre, elettiva di Sonia Bergamasco (un
esempio? il Pierrot Lunaire di Schönberg). Del resto
questo spettacolo, di forte intensità etica ed estetica, risolto in unora
circa, è un assolo per lei. Dopo aver lavorato, recentemente, con Thomas
Ostermeier, ecco una nuova e complessa prova con un altro regista di primo
piano. La sua Cassandra – strettamente legata comè al tema dominante del
testo, lodierna devastazione ambientale – ha i toni e i timbri spesso
perentori, da poesia aulica qual è, che solo la magnificenza vocale ma anche la
complessa gamma dei gesti e dei movimenti di uninterprete di vaglia possono
esprimere appieno. Penso ai movimenti legati al sensuale abito rosso, ma anche
a quello verde, dove ella è come una sorta di incantatrice (di serpenti ma
anche di spettatori), con movenze alla Gilda (Rita Hayworth) di Charles
Vidor (1946). Finché nellultimo movimento labito bianco, con foggia da
sposa, esprime una figura muliebre accompagnata da brani che talora assumono il
tono della preghiera.
Un momento dello spettacolo © Hanna Auer
Teatro
di parola (ma anche di regia e di messa in rilievo della performance
attoriale), questo spettacolo rivela un principio di essenzialità della messa
in scena (per usare unespressione cara a Jean Renoir) – peraltro
diversa dalla configurazione, più tendente al barocco, del Fabre artista – che
lo rende rigoroso e pienamente convincente.
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