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Amore e potere, conflitti di famiglia

di Gianni Poli
  Bianca e Fernando
Data di pubblicazione su web 24/11/2021  

Un intento celebrativo si è felicemente tradotto in autentica scoperta artistica, con la rappresentazione dell’opera di Vincenzo Bellini che fu creata proprio al Carlo Felice di Genova per la sua inaugurazione nel 1828. Oggi si assiste a un’esecuzione restaurata, nella musica e nel libretto, di una Bianca e Fernando nata a Napoli nel 1826 e poi perfezionata nella versione genovese. Il “melodramma serio in due atti”, tra l’epico e l’eroico, esclude vicende di passione contrastata, ma non d’amore familiare e filiale, che sfoggia sfumature anche tenere e profonde, sebbene in versi (e rime) che possono sentirsi oggi desueti.

La fonte letteraria, il dramma di Carlo Roti, passa per due versioni di libretto, quella di Domenico Gilardoni (1826) e quella rivista e abbellita di Felice Romani. Il poeta genovese avrebbe colto fama collaborando con il musicista catanese, oltre che con Donizetti, Mercadante e Rossini. Essendo la seconda giovanile prova di Bellini, la composizione non è considerata un capolavoro, bensì un «momento insopprimibile nella ricostruzione del linguaggio belliniano» (così nel programma di sala), un segno prezioso per individuarne l’evoluzione delle strutture melodiche del musicista. L’urgenza dell’impegno per Genova induce Bellini a riprendere e sfruttare l’opera appena data al San Carlo di Napoli (1826). «Scrisse nuovi recitativi, rimaneggiò la parte orchestrale con aggiunte atte ad aiutare ed evidenziare le qualità dei cantanti», nota il direttore Donato Renzetti. Così anche il testo (la “poesia”) fu affidato al ritocco sostanzioso del Romani, librettista del successivo Il Pirata.

Un momento dello spettacolo 
© Teatro Carlo Felice

Dopo l’ouverture sinfonica (lunga, reintegrata dell’allegro), il sipario si apre su una scena geometricamente disegnata, intensamente luminosa e caratterizzata da luoghi complementari d’accentuata stilizzazione costruttivista. L’antefatto, nel preludio inventato e inserito in parallelo alla suite, mostra un bambino in braccio a un genitore, accanto a una lavagna scolastica: indizi di esistenza del figlio della vedova Bianca. Fra le figure simboliche, eminente è la sfera, forse di un mappamondo, guscio gigantesco centrale, riprodotto in scala minore e in sfere rotolanti e manipolabili. Una grande grata quadrettata si disfa e ricompone per definire profondità e larghezza degli spazi. Il bianco e il nero, toni fondamentali a contrappunto, trovano analogia nei costumi, che trascorrono dal cupo al chiaro e, per Bianca, bianco, candido e argentato. Siamo in un tempo vagamente lontano, ad Agrigento, dove al Duca Carlo, imprigionato e usurpato, è succeduto Filippo, ora in attesa del matrimonio con la figlia per legittimarsi nel potere. Giunge però Fernando dall’esilio a riparare il torto, salvare il padre e allarmare la sorella sul ruolo perverso del suo riamato pretendente.  

Lo spettacolo, inquadrato in un clima freddo e in spazi di rigorosa razionalità geometrica nelle intersezioni ortogonali, trova subito una cifra figurativa precisa, se pure inattesa, rispetto a un’azione dalla storicità immaginaria e distanziata nella convenzione lirica. Forse allo scopo di promuovere il rinnovamento del modello, comunque invecchiato, cercando un’azione drammaticamente più moderna e pregnante, la regia sceglie quell’anti-naturalismo severo e astrattamente disegnato. Troppi gli indizi simbolici, negli accessori, quali le corde e i bastoni; oggetti e icone: i globi, i ritratti nel tondo, la freccia librata da un falcone (II, 9). Freccia che attraversa il palco, imponendo un’immagine enfatizzata e che riappare nei dardi vistosamente infitti nella vittima. Il prigioniero così atrocemente torturato provoca la figlia con un retorico «Eccoti il sen… Trafiggimi», copiando (inconsapevole?) il grido tragico della Fedra raciniana.

Un momento dello spettacolo 
© Teatro Carlo Felice

Perplessità anche per le evoluzioni insistenti dei figuranti-mimi che inseguono le relazioni dei protagonisti, con ridondanza di segni e figure, quasi a voler significare una partecipazione collettiva ben già rappresentata dal protagonismo del coro, collocato su un praticabile retrostante e vestito da personale ospedaliero. O forse, ancora, per recuperare la suggestione dei balletti da grand opéra, previsti dal programma ad arricchire la serata inaugurale (v. Libretto, Genova, Pagano, 1828). Più felicemente, il flusso dell’orchestra coinvolge coro e solisti in un’avventura polivalente: non facile, dapprima, da godere e giudicare, poi man mano in grado di acuire la sensibilità dello spettatore. La direzione di Renzetti entra sapiente nel dettaglio dei colori strumentali, a bilanciare i rapporti dinamici e timbrici delle sezioni, evitando sovrappeso sonoro a scapito dello spicco delle voci.      

Distinti e ben stagliati gli episodi di equivoco drammatico, della finzione e dell’occultamento della verità ai fini della liberazione dal tiranno. Di alternanza emotiva tesa e incerta, le fasi del riconoscimento dei fratelli; il ritrovamento negli affetti e lo scontro e l’incomprensione, frutto del sentimento di Bianca per Filippo; lo svelamento progressivo della sua natura e la lotta per smascherarne il delitto. Allora duetti e trii si susseguono con scansioni e intrecci nitidi e tempestivi, grazie anche alla direzione attenta alla partitura ricostituita e quindi quasi inedita e sconosciuta.

Un momento dello spettacolo 
© Teatro Carlo Felice

Dagli interpreti, buona impressione generale, da distinguere in personali prestazioni attoriali adeguate e rese vocali lodevoli. Salome Jicia (soprano) subito autorevole in Bianca all’apparire (I, 6) di fronte alla corte e al popolo per motivare la condotta di vita, sentimentale e di governo. Da un ruolo non all’altezza delle eroine dei capolavori, l’artista trae una nobiltà unita spesso a fragilità nei contrasti più aspri, affrontati con sicurezza, con l’espressività luminosa, franca ed educata, di una personalità riconoscibile, come in Ma qual mi sorge idea (II, 5). Giorgio Misseri (tenore) entra quale Fernando di ritorno in patria, a esprimere convinto il suo slancio di nobile rivalsa. Consono al carattere “valoroso” dettato dalla musica, aggressivo e contraddittorio nel duetto ben riuscito con Bianca, T’inoltra… (II, 5), incontra difficoltà nel registro sovracuto, risolte nel falsetto con qualche indecisa incrinatura. Modulazione emotiva flessibile e vigorosa, invece, nel rapporto con gli antagonisti. Filippo ha in Nicola Ulivieri il basso equilibrato per una figura che, un po’ rozza e limitata nel libretto, si apre alle varie misure richieste dall’ambiguità delle situazioni, dalle reazioni alla presenza, temuta e sfuggente, del rivale, all’inizio dato per “estinto”. Ottimo, nella romanza Da gelido sudore (II, 9), il basso Alessio Cacciamani (Carlo), padre straziato e infine consolato. Tutti nella parte, il contralto di Elena Belfiore in Viscardo, il mezzosoprano Carlotta Vichi in Eloisa, Antonio Mannarino (tenore) in Uggero e Giovanni Battista Parodi (basso) in Clemente, così da meritare applausi ripetuti a scena aperta.

Mentre è in corso l’edizione critica (a cura di Graziella Seminara) dell’opera appena rappresentata, conforta l’osservare come un folto pubblico abbia partecipato all’incontro di studio sulla genesi di questo titolo raro e ignorato e quanto sia crescente l’esigenza di informazione specialistica sugli eventi nell’ambito dello spettacolo d’arte.




Bianca e Fernando



cast cast & credits
 
trama trama



© Teatro Carlo Felice

Spettacolo visto il 19 novembre 2021 al Teatro Carlo Felice di Genova



 
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