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Le allucinazioni nel vuoto di un “patio”. Il teatro del tempo sospeso secondo Robert Wilson

di Carmelo Alberti
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Data di pubblicazione su web 15/11/2021  

Lo squillo insistente di un telefono, posto al centro del palcoscenico vuoto, definisce prima che abbia inizio lo spettacolo un legame indissolubile tra il tempo, lo spazio e il suono; a tali entità assolute si aggiunge ben presto il flusso delle parole, i frammenti delle battute di un monologo che nella seconda parte si traducono nella ripetizione dissonante dello stesso testo. Tutto ciò costituisce la struttura base di I was sitting on my patio this guy appeared I thought I was hallucinating, pièce ideata e interpretata già nel 1977 da Robert Wilson e Lucinda Childs, ora ripensata in una forma decisamente aggiornata, prodotta dal Théâtre de la Ville di Parigi e ospitata in prima nazionale dal Teatro Carlo Goldoni di Venezia per conto dello Stabile del Veneto. A riproporre la nuova versione dell’opera sono due protagonisti speciali, Christopher Nell, attore del Berliner Ensemble, e Julie Shanahan, attrice del Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch, che hanno elaborato le loro esecuzioni in stretto contatto con gli autori.

Un momento dello spettacolo
© Lucie Jansch

Eppure, al di là del tracciato ideale, la rappresentazione è contrassegnata dalla geniale e magica creatività di Wilson, che emerge anzitutto nella limpidezza della dimensione scenografica, laddove recupera la trasversalità della “linea” quale simbolo di un infinito procedimento spaziale; oppure nel disegno delle luci, perfettamente definite come un’estensione delle superfici. Non solo, la partitura testuale risente delle passioni letterarie del regista: così, la dirompente vitalità del nonsense alla Gertrude Stein oltrepassa le dissolvenze verbali e produce progressivamente l’incremento dei significati. Non mancano neppure richiami a precedenti realizzazioni, a partire da L’ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett (Festival di Spoleto, 2009). In questo lavoro si avverte come la propensione di Wilson verso un minimalismo formale sia connaturata alla volontà di valorizzare le complessità espressive: ciò è evidente, ad esempio, nella creazione di un’onda sonora in grado di accomunare sprazzi di rumore alle musiche di Bach, Schubert, Lully e Galasso, attimi di silenzio a una recitazione elastica che accoglie anche le urla e le impennate vocali.

Un momento dello spettacolo
© Lucie Jansch

Insomma, ogni elemento concorre a rendere tangibile allo spettatore l’idea di un tempo sospeso che assorbe il flusso delle frasi in libertà, la volubilità del pensiero, l’artificio dei gesti, la trasparenza dei corpi, persino l’inconsistenza delle ombre. Quando, poi, la performance si spezza in due fisicità distinte, il medesimo soliloquio, intermezzato a tratti da un’asettica voce telefonica, si trasforma nel paradosso dell’attesa, nell’illusione umana di comprendere il senso della propria sopravvivenza. 

Mentre la sintesi grottesca che distingue la recitazione di Christopher Nell persegue il desiderio di chiudere la porta sull’emersione del passato, la statuaria flessuosità di Julie Shanahan, unita al gioco sulla trasparenza del costume, rimanda all’inerzia di chi è rimasto a lungo immobile, seduto sopra una sedia. Poco importa se il sotto-testo alluda al ricordo di una non-storia d’amore, oppure rinvii alla solitudine di un narcisista, perché entrambe le figure in scena rivelano una visione del mondo che assomiglia a un’allucinazione scaturita nel vuoto di un patio.



I was sitting on my patio this guy appeared I thought I was hallucinating
cast cast & credits
 



Theatre De La Ville
© Lucie Jansch

Spettacolo visto l'11 novembre 2021 al Teatro Carlo Goldoni di Venezia

 
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