Pubblichiamo un ricordo di Teresa Megale dedicato a
Giuliano Scabia (1935-2021).
sf, sm
Ci
sono titoli che da soli valgono un libro. Titoli descrittivi e prevedibili, metaforici
e allusivi, persino criptici e curiosi, oppure originali e poetici. A questi
ultimi appartiene Scala e sentiero verso il Paradiso di Giuliano Scabia, corredato dal più esplicativo
sottotitolo, Trentanni di apprendistato teatrale attraversando luniversità,
pubblicato per la cura di Francesca Gasparini e Gianfranco Anzini da La Casa Usher e le Edizioni Nuove Catarsi. Il prezioso volume, con cui lautore da poco
scomparso ci consegna il proprio testamento artistico, disegna la traiettoria
di un magistero drammaturgico del tutto eccezionale, vissuto ben oltre gli
stretti confini delle declaratorie accademiche, allinterno di uno spazio di
libertà ideale fattosi volta volta azione, scena, realtà. Fascinoso racconto in
trentatré gradini-capitoli, uno per ogni anno di insegnamento presso il DAMS di
Bologna, il libro fa apprezzare la rara capacità di Scabia di trasfondere senso
poetico e ideale in ciascun atto teatrale, così da mutare gli studenti in
sensibilissimi vettori di conoscenza artistica.
I
“gradini”, allestiti da Scabia e riversati su pagina da scrupolosi curatori, si
affrontano felicemente. Scorrono sotto gli occhi come un lungo nastro, sempre
diverso eppure idealmente uguale. Il loro moto ascensionale è lieve, sorvegliato,
anche quando attraversa le anse perigliose del 1977 e incrocia la stagione
delle rivolte e degli scontri. Si parte dalle placide rive del Po, per
affollare le piazze, invadere il cielo di mongolfiere, attraversare boschi e
foreste, insinuarsi su sentieri e rocce, abitare la notte, interrogare figure
mitiche dellimmaginario europeo, come Don Giovanni e Faust, ripercorrere
classici come Euripide e Shakespeare. Ricerca antropologica e
ricerca linguistica si fondono per nutrire quotidianamente di senso il fare
teatro con i giovani universitari e per ripristinare tramite il recupero di
gesti artigianali la magia e la poesia del teatro, inteso nella sua peculiarità
di leva collettiva, luogo dello scambio e spazio dellincontro. Animatore del
teatro vagante, del quale il libro conserva molteplici tracce, Scabia, non per
caso, aveva scritto di Dioniso bambino: «Viene fuori per respirare. / E per
venire a vedere. / Viene a teatro. / Senza quel nascente che attraversa la
soglia non si può fare niente. / Nessun gioco, nessun teatro, nessun
amore, / nessuna civiltà». Siamo in presenza di un poeta, drammaturgo,
performer, attore, narratore e teorico che ha sparso contemporaneamente teatro allinterno
e allesterno di quella «capanna delliniziazione» (p. 70) chiamata università.
Nella
sua preventiva architettura, Scala e sentiero verso il Paradiso quasi di
soppiatto sparge grumi di pensiero analitico sul teatro e sullo spettacolo. A
saper leggere, se ne potrebbero collezionare tanti, almeno uno per ogni “gradino”.
Basti qualche assaggio: «Le mongolfiere […] hanno purificato laria. Hanno
dimostrato che il teatro vince sulla morte, e anche sulla malinconia e sulla
disperazione» (p. 58); «Non propongo agli attori di “fingere” la scena ma di
scendere dentro sé stessi fino al fondo primigenio della fonia» (p. 87); «Il teatro di Dioniso è un essere vivente» (p. 150);
«Mi interrogavo su quelle figure animali e sulla loro relazione con gli uomini
e allora ho detto: facciamo le bestie per interrogare le bestie interiori» (p.
182).
Baciato dalla fortuna,
che in tal caso si chiama attenzione incondizionata di un preciso ambiente
politico verso la cultura e luniversità che la produce, il viaggio di Scabia e
dei suoi eletti allievi non ha conosciuto soste, né limiti. Limpressione che si
ricava dal resoconto didattico in forma di libro è che non ci siano stati spazi
interdetti: città e foreste, paesi e campagna, cortili e alberi, “non luoghi”
eretti magnificamente a sistema nei quali innescare limmaginazione per mezzo
della quale rinnovare il mondo. Nelleldorado accademico delle origini,
concepito da Benedetto Marzullo e chiamato DAMS, questo maestro inesausto del
Nuovo Teatro ha realizzato la sua utopia: ha dato vita a creature (a gorilla, angeli,
diavoli, burattini, cavalli), a macchine (grandi giostre o piccoli animali), a
infiniti giochi e a infinite provocazioni grazie ai quali rinnovare la vita
delle periferie urbane, ripristinare il valore della narrazione e il suo potere
di allontanare le solitudini. Scabia ha saputo essere suscitatore di unarmonia
perduta, dellafflato con la natura e del recupero di gesti teatrali autentici,
sia che si trattasse di una canzone, di un racconto, di un ballo o di una
poesia da declamare appollaiato su un ramo di un amato albero. Nel corso di tre
decenni, la sua concezione del teatro, innervata sullesperienza rivoluzionaria
dellantipsichiatria basagliana, è apparsa al nostro poeta-drammaturgo il solo
rimedio in grado di trasformare il mondo, di connettere laccademia con la
realtà, la vita con larte, la storia con il presente, loralità con la
scrittura, lantico con il nuovo, il dentro con il fuori. Come sulla Narrentreppe
di Trausnitz, sui “gradini” del libro si sale sempre più incuriositi del punto
di sbarco. Allora il “Paradiso” del teatro evocato nel titolo sta tutto qui: un nastro di Möbius intessuto di magia, di poesia e di
utopia che ha scosso chi lo ha fatto e chi lo ha visto per potenza e verità, e
che ha fatto e farà storia.
|
|