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Come un nastro di Möbius: il teatro visionario di Giuliano Scabia

di Teresa Megale
  Giuliano Scabia
Data di pubblicazione su web 15/09/2021  

Pubblichiamo un ricordo di Teresa Megale dedicato a Giuliano Scabia (1935-2021).

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Ci sono titoli che da soli valgono un libro. Titoli descrittivi e prevedibili, metaforici e allusivi, persino criptici e curiosi, oppure originali e poetici. A questi ultimi appartiene Scala e sentiero verso il Paradiso di Giuliano Scabia, corredato dal più esplicativo sottotitolo, Trent’anni di apprendistato teatrale attraversando l’università, pubblicato per la cura di Francesca Gasparini e Gianfranco Anzini da La Casa Usher e le Edizioni Nuove Catarsi. Il prezioso volume, con cui l’autore da poco scomparso ci consegna il proprio testamento artistico, disegna la traiettoria di un magistero drammaturgico del tutto eccezionale, vissuto ben oltre gli stretti confini delle declaratorie accademiche, all’interno di uno spazio di libertà ideale fattosi volta volta azione, scena, realtà. Fascinoso racconto in trentatré gradini-capitoli, uno per ogni anno di insegnamento presso il DAMS di Bologna, il libro fa apprezzare la rara capacità di Scabia di trasfondere senso poetico e ideale in ciascun atto teatrale, così da mutare gli studenti in sensibilissimi vettori di conoscenza artistica. 

I “gradini”, allestiti da Scabia e riversati su pagina da scrupolosi curatori, si affrontano felicemente. Scorrono sotto gli occhi come un lungo nastro, sempre diverso eppure idealmente uguale. Il loro moto ascensionale è lieve, sorvegliato, anche quando attraversa le anse perigliose del 1977 e incrocia la stagione delle rivolte e degli scontri. Si parte dalle placide rive del Po, per affollare le piazze, invadere il cielo di mongolfiere, attraversare boschi e foreste, insinuarsi su sentieri e rocce, abitare la notte, interrogare figure mitiche dell’immaginario europeo, come Don Giovanni e Faust, ripercorrere classici come Euripide e Shakespeare. Ricerca antropologica e ricerca linguistica si fondono per nutrire quotidianamente di senso il fare teatro con i giovani universitari e per ripristinare tramite il recupero di gesti artigianali la magia e la poesia del teatro, inteso nella sua peculiarità di leva collettiva, luogo dello scambio e spazio dell’incontro. Animatore del teatro vagante, del quale il libro conserva molteplici tracce, Scabia, non per caso, aveva scritto di Dioniso bambino: «Viene fuori per respirare. / E per venire a vedere. / Viene a teatro. / Senza quel nascente che attraversa la soglia non si può fare niente. / Nessun gioco, nessun teatro, nessun amore, / nessuna civiltà». Siamo in presenza di un poeta, drammaturgo, performer, attore, narratore e teorico che ha sparso contemporaneamente teatro all’interno e all’esterno di quella «capanna dell’iniziazione» (p. 70) chiamata università. 

Nella sua preventiva architettura, Scala e sentiero verso il Paradiso quasi di soppiatto sparge grumi di pensiero analitico sul teatro e sullo spettacolo. A saper leggere, se ne potrebbero collezionare tanti, almeno uno per ogni “gradino”. Basti qualche assaggio: «Le mongolfiere […] hanno purificato l’aria. Hanno dimostrato che il teatro vince sulla morte, e anche sulla malinconia e sulla disperazione» (p. 58); «Non propongo agli attori di “fingere” la scena ma di scendere dentro sé stessi fino al fondo primigenio della fonia» (p. 87); «Il teatro di Dioniso è un essere vivente» (p. 150); «Mi interrogavo su quelle figure animali e sulla loro relazione con gli uomini e allora ho detto: facciamo le bestie per interrogare le bestie interiori» (p. 182). 

Baciato dalla fortuna, che in tal caso si chiama attenzione incondizionata di un preciso ambiente politico verso la cultura e l’università che la produce, il viaggio di Scabia e dei suoi eletti allievi non ha conosciuto soste, né limiti. L’impressione che si ricava dal resoconto didattico in forma di libro è che non ci siano stati spazi interdetti: città e foreste, paesi e campagna, cortili e alberi, “non luoghi” eretti magnificamente a sistema nei quali innescare l’immaginazione per mezzo della quale rinnovare il mondo. Nell’eldorado accademico delle origini, concepito da Benedetto Marzullo e chiamato DAMS, questo maestro inesausto del Nuovo Teatro ha realizzato la sua utopia: ha dato vita a creature (a gorilla, angeli, diavoli, burattini, cavalli), a macchine (grandi giostre o piccoli animali), a infiniti giochi e a infinite provocazioni grazie ai quali rinnovare la vita delle periferie urbane, ripristinare il valore della narrazione e il suo potere di allontanare le solitudini. Scabia ha saputo essere suscitatore di un’armonia perduta, dell’afflato con la natura e del recupero di gesti teatrali autentici, sia che si trattasse di una canzone, di un racconto, di un ballo o di una poesia da declamare appollaiato su un ramo di un amato albero. Nel corso di tre decenni, la sua concezione del teatro, innervata sull’esperienza rivoluzionaria dell’antipsichiatria basagliana, è apparsa al nostro poeta-drammaturgo il solo rimedio in grado di trasformare il mondo, di connettere l’accademia con la realtà, la vita con l’arte, la storia con il presente, l’oralità con la scrittura, l’antico con il nuovo, il dentro con il fuori. Come sulla Narrentreppe di Trausnitz, sui “gradini” del libro si sale sempre più incuriositi del punto di sbarco. Allora il “Paradiso” del teatro evocato nel titolo sta tutto qui: un nastro di Möbius intessuto di magia, di poesia e di utopia che ha scosso chi lo ha fatto e chi lo ha visto per potenza e verità, e che ha fatto e farà storia.



 

Giuliano Scabia, Scala e sentiero verso il Paradiso. Trent’anni di apprendistato teatrale attraversando l’università, a cura di Francesca Gasparini e Gianfranco Anzini, Firenze-Lucca-Urbino, La Casa Usher-Edizioni Nuove Catarsi, 2021, 239 pp., euro 20,00

 
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