La mostra, curata da Enrico Menduni e ospitata al Museo di Roma di Palazzo Braschi (2 luglio-24 ottobre 2021), racconta, attraverso un ricchissimo materiale darchivio, il percorso del primo fotoreporter dItalia. Porry-Pastorel, già fotografo de «Il giornale dItalia» e «La voce», fondò nel 1908 la propria agenzia, un laboratorio di fotoreportage che precorreva i tempi: la VEDO - Visioni Editoriali Diffuse Ovunque.
In tre sale del piano terra del palazzo romano sono esposte circa un centinaio di immagini, tra cui alcune stampe depoca, carte alla gelatina bromuro dargento e allalbumina; una lastra di vetro con larresto di Mussolini in un comizio interventista a Roma («Il giornale dItalia», 12 aprile 1915); una cartolina con la riproduzione di uno scatto relativo allinaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele II e persino un autografo del capo fascista insieme allartista Nancy Cox-McCormack.
Le immagini sono accompagnate da altre testimonianze: frammenti di giornale, documenti ufficiali (come il passaporto di Porry-Pastorel per recarsi a Londra e a Parigi per «regio servizio», o il lasciapassare rilasciato dal MINCULPOP) e persino oggetti appartenuti al fotoreporter o alla VEDO, come un piccolo album fotografico, la scheda darchivio dellagenzia e il prezioso specchio promozionale con i recapiti del laboratorio sul retro. E ancora, il visitatore si imbatte in una caricatura pubblicitaria, nelle tempere di Corrado Cagli conservate alla Galleria darte moderna di Roma, in soluzioni grafiche per le copertine di organi di regime e finanche in una lettera intimidatoria rivolta al «Giornale dItalia» dal presidente dellIstituto Luce sullo sgradito Porry-Pastorel.
A. Porry Pastorel, Roma 6 giugno 1943. Archivi Farabola (dal sito del Museo di Roma)
La mostra non propone dunque soltanto fotografie, ma anche le tracce delle vicende storiche e della cultura visuale in cui queste sono state prodotte. Lunga la lista degli archivi coinvolti: in primis, lArchivio Storico Istituto Luce-Cinecittà, che conserva millesettecentoquaranta negativi di Porry-Pastorel e circa centottantamila della sua agenzia VEDO; quindi, lArchivio Farabola, a cui nel 1950 il fotoreporter lasciò il materiale del suo laboratorio. Ci sono anche lArchivio Vania Colasanti, la Fondazione di studi storici Filippo Turati, il Fondo Italo Zannier, lArchivio Raffaele De Berti e altri ancora.
Il percorso espositivo si organizza in tre spazi: lingresso, con alcuni filmati dellIstituto Luce; la prima sala, incentrata sul periodo iniziale di attività che conduce a un drammatico focus sul delitto Matteotti, un servizio che Porry-Pastorel consegnò alla vedova Velia e che riapparse nella sua interezza soltanto dopo la Liberazione; e la seconda sala, con un pannello dedicato al ruolo di fotografo di scena del nostro protagonista in Pane, amore e fantasia (Luigi Comencini, produzione Titanus, 1953), girato su sua proposta nel comune di Castel San Pietro Romano in cui si era rifugiato ed era stato eletto sindaco.
«Telefonare subito 16 66 [sic] – fotografa ovunque tutto». Lappello alla collaborazione riportato sul retro dello specchietto della VEDO delinea il quadro delle aspirazioni dellagenzia: una presenza capillare sul territorio e unattenzione globale allevento. Menduni propone una precisa sintesi dellattività di Porry-Pastorel: «un altro sguardo che mette in luce, ovunque possibile, il lato non convenzionale degli eventi, ciò che può sfuggire a un resoconto ufficiale o a unocchiata superficiale», un obiettivo che espone il «back-stage della scena» (dal catalogo Adolfo Porry-Pastorel. Laltro sguardo. Nascita del fotogiornalismo in Italia, a cura di E. Menduni, Milano-Roma, Electaphoto-Luce Cinecittà, 2021, pp. 12 e 14).
Del “film” della pomposa retorica fascista Porry-Pastorel mostra, prima del tempo, la costruzione della finzione, il dietro le quinte; non a caso la sua agenzia è stata il punto di partenza per alcuni dei successivi fotografi di scena degli anni Cinquanta e Sessanta (in esposizione cè anche una fotografia di Pierluigi Praturlon che ritrae Porry-Pastorel e Tazio Secchiaroli al congresso dei fotoreporter, 1958). I “fuori scena” di film muti e di teatro riecheggiano allora negli inconsueti sorrisi di Mussolini al fotografo (1931, 1933): lespressione, categoricamente esclusa nella cronaca ufficiale, di un sentimento ambiguo verso il professionista.
A. Porry-Pastorel, La troupe del circo Braum sul set del film Luciano Serra pilota di Goffredo Alessandrini, Roma, Aeroporto del Littorio, 30 giugno 1937
Lo sguardo del fotoreporter si insinua nei muri sventrati delle case in quella che sarà via della Conciliazione appena dopo la distruzione della Spina di Borgo, partecipa alle stanche pause dei colloqui di Mussolini con Galeazzo Ciano e Joachim von Ribbentrop (1940), compone i corpi malandati e i volti rassegnati dei soldati attorno alla radio durante lascolto delle notizie (1941). Del saggio ginnico allo Stadio dei marmi non restituisce soltanto le lunghe e minacciose file ordinate, ma rivela, con unocchiata furtiva dal retro del palco, anche il piedistallo utilizzato dal Duce (1934). Accostati ai ritratti di Cagli e alle copertine (tra cui una realizzata da Duilio Ciambellotti), ispirate al close-up della sua fotografia nella trebbiatura, ci sono poi gli scatti completi di Porry-Pastorel (1934, 1936) che estende in realtà la visione oltre la “scena”: «la trebbiatrice come un set, le comparse in costume che attendono di entrare in campo, la selva di cineoperatori e fotografi, le berline dei gerarchi parcheggiate» (Adolfo Porry-Pastorel, cit., p. 14).
Il fotoreporter testimonia anche la violenza della presa di potere e lelemento grottesco degli eventi fascisti, che assume connotazioni inquietanti nelle immagini con protagonisti bambini: come nel caso dei due ragazzini sullattenti che indossano una maschera antigas durante unesercitazione, o in quello dei piccoli orfani di legionari caduti nella Guerra civile spagnola costretti a marciare in divise più grandi di loro (qualcuno regge persino un fucile).
Ancora, la sua cronaca dellItalia del periodo si muove maggiormente “fuoricampo”: uno sguardo demistificatore sembra calare anche sulla vita quotidiana del Paese, tra i gesti degli ultimi (tra cui In coda allo sportello per il prestito nazionale, 1920; Spazzine, 1920; Elemosina, 1920; Seggiolai in bicicletta a piazza di Pietra, 1931) e gli svaghi dei ricchi (Allippodromo, 1921).
Le fotografie e i preziosi documenti esposti accompagnano la lunga cronaca di Porry-Pastorel che restituisce le attese, la preparazione, le visioni dal retro e di sbieco, il quotidiano, il goffo e linopportuno. Limpressione è che lintrusione della macchina fotografica nello spazio oltre alla ricostruzione retorica sia in grado di mostrare il “reale”, di far deflagrare lapparenza.
A. Porry Pastorel, Comparse in costume sulle rive del Tevere - Foto fuori scena di film muto non identificato, 1923. Archivio fotografico Istituto Luce, Fondo Pastorel (dal sito del Museo di Roma)
La mostra è quindi unoccasione unica di raccontare lo spirito imprenditoriale avanguardistico di Porry-Pastorel, linteresse per il cinema e il set, lo sguardo indipendente del fotoreporter e il rapporto con lattività fotografica dellIstituto Luce, con il fascismo e con l“istituzione” in genere. Lesposizione guida così il visitatore nella storia italiana della prima metà del Novecento attraverso le fotografie che lhanno attraversata.
Il catalogo, con importanti contributi sul fotogiornalismo italiano tra Roma e Milano e sulla storia del fotografo di cronaca tra fine Ottocento e Novecento firmati da Raffaele De Berti e Gabriele DAutilia (oltre al già citato prezioso approfondimento di Menduni su Porry-Pastorel), è edito da Electa e Luce-Cinecittà.
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