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L’ingegno e il potere

di Giuseppe Gario
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Data di pubblicazione su web 08/09/2021  

L’ingegno. «Ebbero gli Ateniesi la straordinaria capacità, a partire da un minuscolo angolo di mondo, di pensare l’universo. Ma è anche un segno della forte coscienza di sé, del proprio rilievo e del proprio ruolo, che serbarono le grandi famiglie pur entro la cornice della democrazia ateniese. Il veicolo di questa loro straordinaria avventura mentale fu il pensiero matematico» (L. Canfora, Un mestiere pericoloso. La vita quotidiana dei filosofi greci, Palermo, Sellerio, 2000, p. 72).

Il potere. «La regione è un territorio che non ha un limite preciso, ma sfuma in un certo margine di incertezza, una specie di “terra di nessuno”, dove è possibile incontrare altri gruppi o comunità. In tali condizioni, anche una fila di colline dal rilievo assai netto può essere concepita non tanto come il confine”, ma come “quel territorio-limite oltre il quale, a una distanza un po’ incerta, che varia da stagione a stagione, è possibile incontrare quell’altro popolo, con il quale – a seconda dei casi – si dovrà combattere oppure commerciare”» (O. Lattimore, La frontiera, Torino, Einaudi, 1970, p. 408).

«Di solito è possibile scorgere i segni premonitori di una nuova epoca storica molto prima che la fase precedente abbia del tutto esaurito il suo corso» (ivi, p. 428). Per la nostra, che combatte o commercia fin nell’universo, lo fece Carlo Maria Cipolla nel 1962: «una delle principali conseguenze della Rivoluzione industriale è stata la riduzione del costo e l’aumento della velocità dei trasporti. Le distanze si sono ridotte ad un ritmo stupefacente. Giorno per giorno il mondo sembra diventare sempre più piccolo e società che da millenni si ignoravano praticamente a vicenda si trovano all’improvviso a contatto – o in conflitto. Nel nostro modo di agire, sia nel campo politico che in quello economico, sia nel settore della organizzazione sanitaria che in quello della strategia militare si impone un nuovo punto di vista. Nel passato l’uomo ha dovuto abbandonare il punto di vista cittadino o regionale per acquisirne uno nazionale. Oggi dobbiamo uniformare noi stessi e la nostra maniera di pensare ad un punto di vista globale. Come scrisse recentemente Bertrand Russell, “Il mondo è diventato uno, non solo per l’astronomo, ma anche per il normale cittadino”» (Uomini, tecniche, economie, Milano, Feltrinelli, 1990, p. 5).

Oggi ormai «l’urgenza delle sfide globali – COVID-19, cambiamento climatico e sviluppo inclusivo – richiede un’azione globale» (V. Gaspar-G. Gopinath, Coming Together, in «International Monetary Fund blog», 10 ottobre 2021, on line). Per agire servono l’ingegno e il potere.


L’ingegno e il potere (C. Bernardini-D. Minerva, Firenze, Sansoni, 1992) è un rapporto complesso affascinante inevitabile, attraverso i tempi e i protagonisti, dice il sottotitolo in copertina dove un insegnante scrive 1+1=2 alla lavagna e dice «Questa è una uguaglianza» a uno studente, che tra sé pensa «Ci risiamo con la politica». Si sono capiti, ingegno e potere. «Ciò che è chiamato comprensione spesso non è che uno stato in cui si diventa familiari con ciò che non si capisce. […] Quei fatti, anche strani, possono diventare così familiari che non ci si sente più perduti fra di essi. Quando uno li può usare per fare predizioni, allora può dire: “Io capisco”; e capire è una delle più grandi consolazioni umane». Così nel 1978, alla Pepperdine University (Malibu, California) l’ungherese Edward Teller, esule in USA dal nazismo e uno dei protagonisti della bomba atomica (ivi, p. 251). Strenuo promotore delle armi nucleari, per primo ebbe nel 1991 il premio (parodistico) Ig Nobel per la Pace quale «padre della bomba a idrogeno e primo difensore del sistema antimissile Star Wars, per una vita dedicata a cambiare il senso della parola “pace” così come la conosciamo». Isidor Isaac Rabi, premio Nobel 1944 per la fisica e uno dei suoi capi al Progetto Manhattan, lo definì «un pericolo per i valori che ci sono più cari. Credo davvero che il mondo sarebbe stato migliore senza Teller» (M. Abrahams, I Premi Ig Nobel, Milano, Garzanti, 2004, p. 89, on line). Usare fatti anche strani per predire le Guerre Stellari dell’aggressivo neoliberismo globale del presidente Reagan non è stata, non è, né mai sarà «una delle più grandi soddisfazioni umane».

Nel secolo del mondo globale, due guerre totali di sterminio anche atomico in una sola generazione si sono concluse con dettati di pace agli stati vinti: la pace fu finalmente riconosciuta valore in sé e non più la pausa tra guerre (Guerre Stellari incluse) della dottrina «si vis pacem, para bellum dal lat. “se vuoi la pace, prepara la guerra”. – Sentenza latina anonima in questa forma, ma presente, in modo poco diverso nella formulazione o nella sostanza, in vari autori; si cita soprattutto per affermare che uno dei mezzi più efficaci per assicurare la pace è quello di essere armati e in grado di difendersi, in modo da scoraggiare eventuali propositi aggressivi degli avversari» (Treccani). Ma alla forza armata già nel V secolo a.C. Sun-Tzu antepose i fattori di vittoria etici, politici, ambientali (L. Canfora, La conversione. Come Giuseppe Flavio fu cristianizzato, Roma, Salerno, 2021, p. 178), che oggi sono le sfide globali per cui il Fondo Monetario Internazionale richiede un’urgente azione globale.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Parigi il 10 dicembre 1948 ha un articolo 30 a sancire («rendere sacro, inviolabile»: Treccani) che «nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati». Ma l’uso di fatti anche strani per predire le Guerre Stellari ci diede la terza guerra mondiale, «fredda» scrisse il «giornalista americano W. Lippmann (1889-1974) per descrivere un’ostilità che non sembrava più risolvibile attraverso una guerra frontale tra le due superpotenze, dato il pericolo per la sopravvivenza della umanità rappresentato da un eventuale ricorso alle armi nucleari. Tale lotta per il controllo del mondo conobbe diverse fasi, caratterizzate anche da gravi tensioni (crisi missilistica di Cuba, 1962) e guerre “calde”, come quelle in Corea (1950-53) e in Vietnam (conclusa nel 1975)» (Treccani).

A ingegno e potere mancò la «facoltà del pensare, cioè l’attività psichica mediante la quale l’uomo acquista coscienza di sé e della realtà che considera come esterna a sé stesso; propria dell’uomo, lo differenzia dagli altri esseri viventi permettendogli di cogliere valori universali, di costruire nuovi modelli che trascendono i limiti spazio-temporali della percezione sensibile, di formarsi una coscienza di quello che esperimenta nella sua interiorità e nella realtà esterna: lo pensiero è proprio atto de la ragione, perché le bestie non pensano, che non l’hanno (Dante)» (Treccani). Tecnicamente unito, il nostro mondo è correttamente definito “villaggio” globale, che «in etnologia rappresenta una forma elementare dell’abitato umano stabile e si differenzia, come tale, dall’accampamento, sede transitoria delle popolazioni nomadi» (Treccani), oggi le sempre più numerose private di diritti umani, rivendicati nel 2001 nella Genova del G8 e oggi dai migranti che sfidano la morte nel Mediterraneo. Non a caso nell’UE in transizione sovranazionale, due fasi della lotta politica globale per attuare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, negata dal crescente terrorismo statale/tribale nel mondo «diventato uno non solo per l’astronomo ma anche per il normale cittadino» (Cipolla, Uomini, tecniche, economie, cit., p. 5).

Nel mondo diventato uno, «una delle più grandi consolazioni umane» è capire che l’ingegno e il potere devono cooperare per «uniformare noi stessi e la nostra maniera di pensare ad un punto di vista globale» (ibid), qui e ora per l’UE nel necessario passo di unire nella difesa dei diritti e in democrazia i cittadini del mondo africani ed europei con le loro risorse di ingegno e potere, i fattori di vittoria etici, politici, ambientali che esprimono il loro potenziale di sviluppo nel tempo, mentre da Brasilia a Voghera gli sceriffi del villaggio globale sparano a vista contro tutti e tutto. Sparano anche a Covid-19 che, divenuto pandemico per loro arroganza, si arrende però solo all’intelligenza dell’ingegno e del potere che insieme costruiscono la salute globale superando la violenza di stati e tribù impotenti anche nell’emergenza climatica, altro frutto avvelenato globale del loro rifiuto e della loro incapacità tecnica e politica di pensare e lavorare insieme per il bene comune, a casa e nel mondo.

Mentre Teller prediceva guerre stellari, al rapporto tra l’ingegno e il potere lavorava David Bohm – anch’egli fisico nucleare ungherese rifugiato in USA, ma al contrario di Teller allontanato per ragioni politiche dal Progetto Manhattan, poi chiamato al King’s College di Londra. «La mia proposta è che le diffuse e pervasive differenziazioni tra le persone (razza, nazione, famiglia, professione, ecc. ecc.), che stanno impedendo all’umanità di lavorare insieme per il bene comune, e in realtà persino per la sopravvivenza [sottolineatura mia, ndr], hanno in origine un fattore chiave in un tipo di pensiero che tratta le cose come intrinsecamente divise, disconnesse e “frammentate” in parti ancora più piccole. Ogni parte in pratica è considerata autonoma e auto-esistente. Quando l’essere umano pensa a questo modo inevitabilmente tende a difendere i bisogni del proprio “Ego” contro quelli degli altri; o, se si identifica con un gruppo di gente dello stesso tipo, difenderà questo gruppo nello stesso modo. Non riesce a pensare davvero l’umanità come la realtà fondamentale, le cui domande vengono prima. Anche quando tenta di riflettere sulle necessità umane, tende a considerare l’umanità come separata dalla natura e così via [la pandemia ce ne dà un vasto catalogo, ndr]. La mia proposta è che la forma mentis generale dell’essere umano nel pensare la globalità, la sua visione del mondo, è cruciale per l’ordine generale della stessa mente umana. Se pensa la globalità costituita da frammenti indipendenti, la sua mente tenderà a funzionare così, ma se può includere tutto con coerenza e armonia in un insieme globale indiviso, ininterrotto e senza frontiere (dato che ogni frontiera è divisione o rottura) la sua mente tenderà ad agire in modo analogo, e da qui potrà fluire un’azione ordinata nel tutto» (Wholeness and the Implicate Order, London-New York, Routledge, 2007, pp. XII-XIII).

Abitare il mondo globale è rispettarlo («lat. respectare, propr. “guardare indietro”», Treccani) e andare oltre il villaggio globale che come l’antenato locale muore reificandosi nel mercato: «processo di ridurre a cosa, di trattare alla stregua di cosa materiale istanze intellettuali e psichiche, morali, storico-culturali» (ibid.). Il «cammino di speranza per l’umanità nel mezzo dal caos climatico» è «abbandonare la crescita del prodotto interno lordo come orizzonte collettivo e come bussola delle politiche pubbliche» per cooperare nello scenario «che fa del benessere umano e della riduzione delle ineguaglianze sociali i due pilastri dello sviluppo, in luogo della crescita economica» (E. Laurent, Un chemin d’espoir pour l’humanité au milieu du chaos climatique, in «Le Monde», 19 agosto 2021, on line).

Sarah Vanuxem, dell’Université Côte d’Azur, ci dice che «una rivoluzione è in atto». «La creazione del principio di solidarietà ecologica segnalerebbe il passaggio da una visione antropocentrica a una eco-centrica dei diritti, basata sulla articolazione dei rapporti tra gli esseri viventi, umani e gli altri non umani, e i loro luoghi di vita, naturali e artificiali». «Sono gli ornitologi e poi gli ecologi, i climatologi e più in generale gli scienziati che allertando la comunità internazionale sui pericoli legati all’erosione della biodiversità e al cambiamento climatico, hanno portato a adottare convenzioni internazionali, essenzialmente dal 1972 in poi, e in seguito a integrare i grandi principi di prevenzione, precauzione o ancora di “chi inquina paga” nel nostro diritto dell’Unione europea» (Repenser le droit à l’âge de l’anthropocène, intervista di N. Truong, in «Le Monde», 8-9 agosto 2021, on line).

Le rivoluzioni dell’ingegno e del potere agli inizi sono storicamente inavvertite dai contemporanei, ma nel nostro caso non dai giovani, «osservando come negli ultimi anni, almeno a partire dal 2018, ci sia stata una mobilitazione giovanile di massa sul tema dell’ecologia e della crisi climatica». «Sebbene una concezione di cosmo armoniosa e il rispetto per tutte le forme viventi accomuni tutti gli attivisti contro i valori del vecchio antropocentrismo, non si appoggiano su un’ideologia, ma sui dati forniti dalla scienza» (A. Sarchi, Generazione Terra!, in «la Lettura», 22 agosto 2021, p. 12). Nel tormentato cammino verso l’unione sovranazionale, l’Europa, madre dell’ingegno e del potere moderni e dei troppi loro micidiali fallimenti, è sulla rotta necessaria per l’umanità, globale da sempre nel tempo e da due generazioni anche per tutti noi contemporanei, nessuno escluso.







 
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