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(Non) Chiamatela (semplicemente e) solo famiglia

di Pietro Ammaturo
  The Fam
Data di pubblicazione su web 04/09/2021  

Ginevra: un gruppo di ragazze in difficoltà viene affidato alle cure di una casa-famiglia e ai suoi amorevoli e attenti operatori. Ognuna di loro si approccia alla vita in maniera diversa, provando a raccontare o a nascondere le ferite che si porta dietro, fisiche e soprattutto emotive. Ognuna di loro è come una rosa: bellissima ma pericolosa, in un mondo che sembra fare fatica a capirle.


                                   Una scena del film

A metà strada tra documentario e fiction, The Fam (titolo originale The Mif, molto più evocativo, simbolo di una sorta di disagio nello stesso linguaggio) ha vinto non solo il Gran Premio per il Miglior Film Generation 14 Plus all’ultima Berlinale ma, presentato in concorso al Giffoni Film Festival 2021, ha ottenuto il Premio Speciale Cinecircoli Giovanili Socioculturali Percorsi Creativi. Una pellicola molto personale, nata quasi come risposta a una esperienza di vita: il regista, Fred Baillif, autodidatta e con un pugno di documentari alle spalle, già campione di basket nazionale Svizzera, ha scritto, diretto, montato e in parte prodotto questo interessante mix audiovisivo, basandosi soprattutto sul suo passato recente, vissuto come assistente sociale in un centro di recupero per ragazzi difficili.


                                   Una scena del film

Così nasce The Fam: un vorticoso labirinto emotivo, girato con “sprazzi” di sceneggiatura (lo stesso Baillif ha ammesso di aver scritto molti dialoghi al momento) e con una struttura narrativa molto ingegnosa. Come una sorta di nastro magnetico nelle mani del regista, il film pone dei paletti narrativi “fissi” per raccontare la storia di un personaggio, sviluppa una linea narrativa e poi torna indietro, poggiandosi su sequenze temporali e spaziali a episodi, facendo tre passi avanti e uno indietro, giocando con la memoria e soprattutto con la percezione dello spettatore, mettendola continuamente in crisi e aumentando a dismisura il gap tra realtà e finzione (Claudia Grob, ad esempio, che interpreta la direttrice dell’istituto, ha davvero in passato ricoperto un ruolo lavorativo del genere).


                                   Una scena del film

Lo sguardo lanciato da Baillif sul mondo del disagio delle case-famiglia è disarmante: se da un lato vuole evocare il dramma quotidiano a cui questi giovani sono costretti a fuggire, dall’altro racconta una sorta di “educazione sentimentale” delle giovani protagoniste e del loro rapporto con la sessualità. È dietro questo aspetto che il film ha una potenza drammaturgica e metaforica fortissima: le attrici non professioniste, attive collaboratrici alla sceneggiatura con passati burrascosi nella loro vita privata, si muovono in una sorta di prigione non solo materiale (la casa) e fisica (ognuno dei loro corpi porta i segni del loro passato: picchiate, abusate, sfruttate), ma soprattutto emotive e linguistiche. Il loro è un mondo a parte, fatto di regole precise, con uno slang comprensibile solo alle adepte, in cui è facile entrare ma difficile (e impossibile) uscire.

Contribuiscono a questo senso di claustrofobia emotiva le riprese a spalla, con la videocamera che tallona le protagoniste cercando di trasmettere anche un solo gemito, e la fotografia di Joseph Areddy, che gioca sulla scala dei grigi, soprattutto quando si tratta di restare all’interno di quella che si può definire una sorta di prigione-rifugio. «Who are you?» a un certo punto si sente urlare; «The queen of punks, in the land of pain in the ass», risponde una delle protagoniste, chiudendo il cerchio di un film straordinario.




The Fam
cast cast & credits
 


La locandina del film

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