Blue è il titolo scelto dai nuovi direttori
Stefano Ricci e Gianni Forte (Ricci/Forte) per
ledizione 2021 della Biennale Teatro (Venezia, 2-11 luglio), perché blu è il
colore del cielo e secondo Kerouac lo sguardo rivolto verso lalto libera
la mente; tanto più nelletà del grigiore pandemico si avverte la necessità dinterrogarsi
sui limiti dellumanità, per guardare oltre i contagi e le paure, e per intravvedere
un futuro possibile. Sul versante del teatro risulta ancora più elevata lincertezza
e la profondità delle visioni, pertanto occorre rimarcare lo slancio verso
nuove soluzioni. © Biennale Teatro 2021
Così
la 49a edizione del Festival Internazionale del Teatro ha presentato
una varietà di proposte tematiche, con lintento di superare lo schematismo
delle convenzioni drammatiche. Alcuni spettacoli, di fatto, hanno offerto in
tal senso spunti interessanti; altri invece hanno evidenziato il labile
esercizio delle contaminazioni con altre sorgenti dellespressività, specie
quando si è cercato il nesso con linguaggi ancor più in trasformazione quali il
romanzo, la poesia, la video-immagine e la tecnologia più spinta.
Fragile
e incerto, ad esempio, si è rivelato il saggio di Paolo
Costantini, Uno
sguardo estraneo ovvero come la felicità è diventata una pretesa assurda,
vincitore di Biennale College Registi 2020. Lautore si distacca dagli spunti tratti
dal testo di Herta Müller Oggi avrei
preferito non incontrarmi per spingere la propria riflessione sulla
trasversalità del tempo oltre la sfera umana, fino alla matrice animistica
degli oggetti. Uno sguardo estraneo ovvero come la felicità è diventata una pretesa assurda di Paolo Costantini © Biennale Teatro 2021
Allo stesso
modo, Un teatro è un teatro è un teatro è un teatro, una produzione
di OHT - Office for a Human Theatre, regia di Filippo Andreatta, scarnifica
lidea di rappresentazione, offrendo una sequenza inerte di macchinerie
teatrali (quinte, cieli, fondali, luci,
americane, e così via), salvo alcuni panorami fotografici e un commento sonoro
e un intermezzo vocale. Un teatro è un teatro è un teatro è un teatro di OHT ©Andrea Avezzù
Più elaborata
è la performance The Mountain del gruppo catalano Agrupación
Seńor Serrano che, con il
supporto di modellini e droni in volo, sviluppa su tre livelli di lettura uno
schematico interrogativo sui limiti della “verità”. Il pretesto iniziale è dato
dalla spedizione
sullEverest dellinglese George Mallory, il cui corpo è ancora oggi disperso
sulla vetta; segue la scioccante, quanto inquietante, trasmissione radiofonica di
Orson Welles con La guerra dei mondi di Herbert George Wells;
infine, viene evidenziata la falsa comunicazione sui social, attuata da Vladimir Putin e rivolta a manipolare il
pensiero comune.
The Mountain del gruppo catalano Agrupación Seńor Serrano © Biennale Teatro 2021
Si
distacca da tutto ciò Krzysztof Warlikowski, regista eclettico a cui è
stato conferito il Leone doro alla carriera per lo slancio innovativo sulla rivitalizzazione
della memoria. È risultata davvero felice la restituzione grottesca di We Are Leaving, in prima italiana, che Warlikowski
riprende dal testo Suitcase Packers di Hanoch Levin,
con le scene e i costumi
di Małgorzata Szczęśniak e la musica di Paweł Mykietyn, una produzione del Nowy
Teatr di Varsavia con un complesso di diciannove interpreti. La sequenza di otto funerali che si succedono in seno a
una comunità ebraica, qui trasferita nellambito dellodierna Polonia, suggerisce una lunga
traversata oltre le incongruenze della morte, un atto che spegne le esistenze allimprovviso.
We Are Leaving di Krzysztof Warlikowski ©Biennale Teatro 2021 La
messinscena mostra con venature parodistiche lincalzare dei decessi, cioè di accadimenti
che ai congiunti e ai conoscenti appaiono assurdi e incomprensibili, perché hanno
luogo mentre ogni individuo insegue un sogno, un desiderio, unambizione, un
amore, oppure una rivalsa. Dopo ogni commemorazione lesistenza dei vivi sembra
continuare normalmente, seppure i cambiamenti siano spesso sostanziali. Alla
base della linea vita-morte Warlikowski rilancia alcuni tratti primari quali
le variabili sessuali, che investono i personaggi a prescindere dalletà e dal
genere, limportanza del denaro, il ricordo dellolocausto, il confronto con le
radici culturali, il bisogno di fuggire altrove. Tante sono le citazioni e i
riferimenti che attraversano le tre ore e mezzo della rappresentazione, a
partire da La classe morta di Kantor,
fino ai fermo-immagini di film magistrali, Fellini compreso.
Il
Leone dargento, invece, è stato attribuito a Kae Tempest, poeta-rapper
che ha presentato in prima per lItalia The Book of Traps & Lessons, lultimo dei suoi reading del 2019 in versione parlata. La fluidità di
genere e di generi percorre
buona parte della rassegna, senza nascondere quanto dolorose siano le discriminazioni
e quanto profonde le fratture in seno alla società e alle famiglie. The Book of Traps & Lessons di Kae Tempest ©Andrea Avezzù
Tali
tematiche si sublimano nello spettacolo
Qui a tué mon père,
diretto da Thomas Ostermeier,
in cui lo scrittore Édouard Louis si confessa in scena, fuori dal
flusso del tempo, arenandosi dinanzi a una poltrona vuota, quella che ha accolto
il padre fino alla morte. È un viaggio mimetico che il regista traduce in
unaccesa denuncia contro la crudezza della politica e linsensatezza delle
leggi che regolamentano il lavoro e la vita degli uomini; i responsabili sono qui
chiamati per nome, e hanno i volti sulle foto dei presidenti Hollande, Sarkozy,
Chirac, Macron e dei loro ministri, coloro che dal 2006 in poi si
sono accaniti sul fisico paterno, annullandolo. Il figlio intende narrare la
storia di quel corpo, nonostante il genitore sia stato ostile e aspro di fronte
alla sua emergente omosessualità. Il protagonista sospira e danza con la musica
del film Titanic, mentre ricorda le
voci della madre, dei familiari, dei vicini e della gente che abita una
provincia francese squallida e inerte, raggelata nelle immagini proiettate
sullo sfondo; sono tracce della memoria che stridono con la solarità di un
ragazzo che desidera vestirsi e vivere da donna. Una realizzazione essenziale che
avvolge totalmente il testo di Louis in unaura circolare, che travalica il
palcoscenico fino a raggiungere il cuore dello spettatore. Qui a tué mon père di Thomas Ostermeier ©Biennale Teatro 2021
Il Festival
ha premiato, in conclusione, le giovani leve teatrali emergenti: Tolja Djoković e Giacomo Garaffoni per Biennale
College Autori under 40 e Olmo Missaglia, vincitore di Biennale College
Registi Under 35.
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