Finalmente anche la Scala ha ripreso le attività in presenza. La stagione 2020-2021 è stata difficile per tutti i teatri dopera. Levoluzione della pandemia nei mesi estivi aveva garantito lautunno scorso le riaperture con distanziamento, subito però rientrate in seguito al DPCM del 24 ottobre. Quando è stato poi di nuovo possibile riaccogliere il pubblico in sala, si sono verificati ulteriori imprevisti che hanno ostacolato la ripresa. Proprio alla Scala un caso di positività al Covid tra le maestranze ha bloccato unItaliana in Algeri, pronta ad andare in scena il 25 maggio (in presenza e in diretta streaming). Alle Nozze di Figaro, che hanno debuttato secondo programma il 26 giugno, è andata decisamente meglio. Per
questa produzione si è deciso di non riprendere lultimo allestimento scaligero
dellopera di Mozart. Lo spettacolo, affidato nella stagione 2015-2016
alla regia di Frederic Wake-Walker, era nato per sostituire le Nozze di
Giorgio Strehler, andate in scena la prima volta alla Scala dal 1981,
poi tornate per otto stagioni fino al 2012. Le Nozze del 2016 sono state
uno degli esiti più infelici della gestione di Alexander Pereira (2014-2020),
a causa soprattutto della regia di Wake-Walker. In un regime di sicurezza come
lattuale, in cui è fondamentale come non mai non fare passi falsi nella
programmazione, il nuovo sovrintendente Dominique Meyer ha archiviato le
Nozze del 16, e riportato in scena lo spettacolo di Strehler, una delle
migliori regie operistiche del secondo dopoguerra, amatissima nel teatro
milanese, come testimoniano le numerose riprese.
Un momento dello spettacolo © ph Brescia e Amisano - Teatro alla Scala
Le Nozze
di Strehler risalgono al 1973, quando videro la luce al Teatro della Reggia di
Versailles per poi passare allOpéra di Parigi dopo alcune repliche. Qui
sarebbero rimaste in repertorio per decenni, per passare, nel 1981 come si
diceva, a Milano, dove lo stesso Strehler ne curò il riallestimento. Uno
spettacolo giustamente famoso, tra le migliori creazioni di uno dei maggiori artisti
del Novecento. Limpianto scenico (scene di Ezio Frigerio) prevede spazi
stilizzati, nei quali solo alcuni arredi riferiscono la diversa collocazione
sociale delle stanze in cui si svolge lazione. La Siviglia, luogo della
vicenda, è evocata da alcune citazioni nei costumi (la mantilla di
Marcellina, la giacca di Figaro; costumi di Franca Squarciapino), e,
indirettamente, dalla luce accecante dellAndalusia che penetra dallesterno, elemento
di forte caratterizzazione mediterranea nei primi tre atti dellopera (luci di Marco
Filibeck). Ripreso benissimo da Marina Bianchi (che alla Scala è
stata assistente stabile alla regia dal 1980 al 1992, quindi allepoca del
primo allestimento di queste Nozze), lo spettacolo dedica particolare
attenzione alla recitazione dei cantanti, curata fin nei dettagli: anche quando
sono fermi, i personaggi non conoscono mai momenti di vera e propria stasi.
Allo stesso tempo, recitazione e azione sono sempre misurate: si ha
limpressione che nessuno faccia niente di più e niente di meno del necessario. Un momento dello spettacolo © ph Brescia e Amisano - Teatro alla Scala
Uno
spettacolo “storicizzato”, dunque, distante dalle regie più recenti. Chi scrive
non aveva mai visto una regia lirica di Strehler e ci ha messo un po per ambientarsi
in un allestimento improntato alla parsimonia dei movimenti che, a parte il
caso-limite di Bob Wilson, non è elemento distintivo delle regie degli
ultimi decenni. Intelligenza, rigore, pulizia e tutte le altre caratteristiche
positive che si possano attribuire allo spettacolo non aiutano a cancellare i
segni del tempo: lo si guarda come si leggerebbe un (bel) libro di storia. Si
possono comprendere tutte le ragioni per riproporlo in un momento come questo (e,
al rovescio, per non riproporre le sciagurate ultime Nozze), ma
mi auguro che operazioni del genere non diventino troppo frequenti.
La
direzione di Daniel Harding ha avuto un ruolo decisivo nel rafforzare la
sensazione di spaesamento. Harding ha tratto dallorchestra un suono opulento: fin
dallouverture il direttore ha messo in risalto la scrittura sinfonica di
Mozart in tutta la sua bellezza e complessità. Ne ha fatto però le spese
laspetto dinamico, specie nei primi due atti, quando in scena succede davvero
di tutto. Lopera ha in questa parte un ritmo incalzante che rende giustizia al
titolo alternativo della commedia di Beaumarchais da cui è tratta, Le
mariage de Figaro, ou La folle journée. Ebbene, la lettura di Harding ha
reso i primi due atti di questa journée splendidi, ma non certo folli –
non almeno nel senso teatrale che mi sarei aspettato. Non a caso, scena e
direzione hanno trovato un punto di incontro nel terzo e quarto atto, in cui
lazione non è più così indiavolata come nei precedenti, e in cui il respiro
sinfonico di Harding si è fatto anche più evidentemente drammatico,
raggiungendo i risultati migliori della serata.
Un momento dello spettacolo © ph Brescia e Amisano - Teatro alla Scala
La
ripresa dello spettacolo di Strehler non avrebbe potuto sortire granché di
effetti senza unadeguata compagnia di cantanti disposti a mettersi in gioco anche
dal punto di vista attoriale. Bisogna dare atto alla Scala di aver messo
insieme un cast notevolissimo, anche nelle parti più piccole, come non si verifica
spesso per Le nozze di Figaro, opera che prevede ben undici ruoli – un
numero esorbitante, considerando gli standard dellopera buffa di fine
Settecento – per i quali non è sempre possibile assicurarsi cantanti anche solo
adeguati. Con qualche sfumatura, in queste Nozze recitavano, e bene,
tutti. La rivelazione è stata di sicuro Luca Micheletti (Figaro), un
attore-regista divenuto negli ultimi anni baritono, protagonista di unascesa
rapidissima (e comprensibilissima) nel mondo della lirica. In lui si realizza
la completa fusione di canto e recitazione: la voce è bella e voluminosa, la
musicalità perfetta, tutto a servizio del personaggio e della scena, che domina
come un attore sa fare.
Accanto
a lui Rosa Feola (Susanna) recita così bene, da non sembrare una
cantante che recita, ma anchessa unattrice che canta. E canta anche lei
benissimo, usando la voce e lespressività musicale a fini drammatici. Il
confronto con la coppia nobile della storia si risolve a leggero svantaggio di
questultima. Julia Kleiter (Contessa dAlmaviva) ha la vocalità giusta
per il ruolo; certo però che il suo canto e la sua recitazione tendono al
monocorde: poco dei tormenti interiori e delle ansie della donna trascurata
traspaiono nella sua interpretazione, nonostante esegua le due temibile arie
con sicurezza impeccabile. Diverso invece il discorso per Simon Keenlyside
(Conte dAlmaviva). La sua vocalità mostra qualche appannamento, e di
conseguenza il suo personaggio è messo in secondo piano dal confronto col resto
del cast.
Un momento dello spettacolo © ph Brescia e Amisano - Teatro alla Scala
Ottimi
poi gli altri interpreti, molti dei quali giovani: Svetlina Stoyanova
(Cherubino), tra laltro, lunica a proporre variazioni nella ripresa della sua
seconda aria; Anna-Doris Capitelli (Marcellina) e Matteo Falcier
(don Basilio), finalmente due belle voci per ruoli spesso riservati a
comprimari in odore di pensionamento (entrambi hanno eseguito, e bene, le arie
del quarto atto che in genere si tagliano); Caterina Sala che col suo
timbro lirico ricco di armonici disegna una Barbarina più consapevolmente
maliziosa di quanto abitualmente non accada. Benissimo, infine, i veterani Andrea
Concetti (don Bartolo) e Carlo Cigni (Antonio): unautentica
sorpresa sentire finalmente il ruolo del giardiniere (Antonio) cantato come si
deve (e come non succede quasi mai, nemmeno in disco). Ottimo
successo per tutti; per Feola e Micheletti gli applausi più intensi.
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