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Il caso domato

di Giuseppe Gario
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Data di pubblicazione su web 01/07/2021  

«Nello scorso ventennio l’Europa ha aumentato il prodotto mondiale come gli USA, 10 bilioni di $ ciascuna circa (la Cina 14, con tasso di crescita più rapido da base di partenza minore). Il prodotto interno lordo pro-capite europeo è circa due terzi di quello USA. Non è diminuito in vent’anni grazie soprattutto agli europei orientali, avvicinatisi ai livelli di reddito occidentali. Senza facili occasioni interne, le imprese europee sono cresciute all’estero più delle omologhe americane» (The land that ambition forgot. Europe is now a corporate also-ran, in «The Economist», 5-11 giugno 2021, on line). 

«Il mondo d’affari post-pandemia è drammaticamente altro dalle attese di vent’anni fa. Un quarto del mercato azionario globale è di imprese tecnologiche e il mix geografico è straordinariamente sbilanciato. Dominano America e sempre più Cina con 76 delle 100 imprese maggiori. La quota europea è caduta a 15 da 41 del 2000». «La formula magica ha molti ingredienti. Un vasto mercato interno aiuta le imprese a realizzare rapidamente economie di scala. Forti mercati di capitali, reti di investitori in capitali di rischio e le migliori università riempiono i ranghi di nuove imprese. C’è una cultura che esalta l’imprenditore. I magnati cinesi vantano l’etica “996” del lavoro: 9 mattina 9 sera 6 giorni la settimana. Elon Musk dorme in fabbrica. Soprattutto, i politici aiutano la distruzione creatrice. Dal 2000 il governo cinese ha lasciato le briglie sul collo agli imprenditori e licenziato 8 milioni di lavoratori di imprese statali. La recente erosione del consenso politico è uno dei motivi che potrebbe rendere insostenibile la posizione dominante dei due paesi» (The world economy. The new geopolitics of global business. China and America dominate like never before, in ibid.).

«La pandemia ha imposto di rivalutare il contratto sociale specie nel ripartire i rischi tra persone, lavoratori e stato. I pacchetti di stimolo fiscale legati a Covid-19 hanno fatto sembrare pescetti anche gli interventi nella crisi finanziaria globale. L’espansione del welfare state è stata la più importante che si ricordi. I salvataggi finanziari governativi di cittadini, piuttosto che di banche, possono segnare un nuovo capitolo di storia». «Nella nuova fase avviata negli anni Ottanta la maggior parte dei paesi ha ridotto l’intervento statale e trasferito i rischi agli individui. Sono stati indeboliti i sindacati e, di più, le tutele sociali. E nel privato la certezza di pensioni a prestazioni definite è stata sostituita da incerte prestazioni a contribuzione definita. La quota di reddito reale, in sostituzione della tipica pensione obbligatoria, nei paesi ricchi è calata in media dell’11% nel 2004-18. La quota sociale di edilizia è diminuita, i controlli sugli affitti ridotti, le spese per la casa aumentate». «La pandemia ha messo in luce […] la vulnerabilità di sempre più lavoratori non protetti, i deficit di sicurezza e reddito di molti lavoratori indispensabili» e «pare aver spostato l’asse sull’universalismo». «“Tamponare non basterà a combattere i futuri shock”, avverte Anton Hemerijck di European University Institute. “Si deve investire nella cura del bambino, nei talenti e nelle persone se si vuole ancora uno stato sociale”» (Shelter from the storm. Covid-19 has transformed the welfare state. Which changes will endure?, in «The Economist», “Today”, 10 maggio 2021, on line).

 

«La situazione è così insolita che gli economisti guardano alla storia per farsi un’idea sensata del futuro. I precedenti dicono che dopo sconvolgimenti massivi non finanziari come guerre e pandemie, il prodotto interno lordo tende a rimbalzare. Ma offre tre altri insegnamenti. Primo, se la gente pare volerne uscire e spendere, talora permane l’incertezza. Secondo, la pandemia incoraggia persone e imprese a cercare nuove vie d’azione, sovvertendo la struttura economica. Terzo, come mostra ad esempio Les Misérables, spesso seguono sconvolgimenti politici con imprevedibili conseguenze economiche». «Il picco dei conflitti sociali sembra a due anni da fine pandemia. Vivi il boom venturo finché dura – fra non molto può esserci un colpo di scena» (Money, machines and mayhem. What history tells you about post-pandemic booms, in «The Economist», “Today”, 26 aprile 2021, on line).

 

«La peste bubbonica uccise tra uno e due terzi di europei nel XIV secolo. Covid-19 per fortuna non ha preteso tanto. Ma l’impatto demografico è probabilmente più grave dei circa 3 milioni di morti ora attribuiti al Coronavirus, per la concomitante caduta delle nascite. Ad esempio, 15% circa in Cina e in USA tra febbraio-novembre nel 2020». «Un calo demografico planetario parrebbe benvenuto date le sfide ambientali globali. Ma meno persone può anche significare meno idee nuove e un futuro diverso dall’immaginario degli ottimisti. L’umanità è giunta al miliardo solo nel 19° secolo, poi è rapidamente cresciuta». «Per gli abitanti di un pianeta che si svuota, la maggiore stranezza può essere l’ansia dei governi dei paesi oggi ricchi per la rapida crescita demografica dei paesi in via di sviluppo. Che le economie avanzate non abbiano investito con generosità nei talenti di miliardi di poveri del mondo potrà rivelarsi esistenzialmente temerario» (Free Exchange. The economics of falling populations, in «The Economist», 27 marzo-2 aprile 2021, on line).

 

«Immaginate un investimento con un ritorno del 17.900% in quattro anni. È un esborso iniziale del tutto tollerabile. Chi perderebbe quest’opportunità? La risposta sembra stia alla riunione annuale, in settimana, del G7, club di democrazie ricche. Se non riescono ad agire rapidamente e a vaccinare il mondo contro Covid-19 perdono l’affare del secolo. Non solo follia economica, ma fallimento morale e disastro diplomatico» (Inoculation, inoculation, inoculation. The West is passing up the opportunity of the century, in «The Economist», “Today”, 9 giugno 2021, on line). Così come le «lungaggini e i ritardi della Regione Lombardia che hanno permesso al contagio di diffondersi moltiplicando il numero delle vittime», «il fenomeno ha le sue premesse nell’errore, o meglio nell’operato criminale, di una politica recente guidata da un rampante neoliberismo che ha destrutturato la sanità pubblica a favore dell’imprenditoria privata e delle cliniche di lusso» (A. Prosperi, Tremare è umano. Una breve storia della paura, Milano, Solferino, 2021, p. 12).

 

«Da queste vicende emerge confermata l’amara saggezza del celebre detto di Eschilo: “La verità ha sempre la peggio in guerra”. E quello che è scoppiato intorno al virus e alla pandemia è un vero conflitto, che ha per posta forti interessi economici e politici e investe il confronto fra sistemi sociali e forme di potere. Così anche stavolta la conoscenza della verità è destinata a scavarsi la strada nella battaglia per la conoscenza e un cambiamento politico e sociale» (ivi, p. 13).

 

I conflitti non scoppiano per caso. Il caso è stato domato.

 

 

Il caso domato è il titolo italiano (Milano, il Saggiatore, 1994) di The Taming of Chance di Ian Hacking (Cambridge, Cambridge University Press, 1990). «L’etica è, tra le altre cose, lo studio di quel che si deve fare. La probabilità non può dettare dei valori, ma è attualmente alla base di ogni scelta pubblica ragionevole» (ivi, p. 5). Hacking analizza il lavoro di Charles Sanders Peirce (1839-1914) nell’«addomesticamento del caso, cioè il modo in cui eventi apparentemente casuali o irregolari sono stati riportati sotto il controllo di leggi naturali o sociali. Il mondo non è diventato per questo più incerto, al contrario» (ivi, p. 12). «Quello che voglio sapere è quanto è affidabile la mia prossima inferenza, non che il mio metodo di inferenza porta a conclusioni vere il più delle volte. “Un’inferenza particolare deve essere vera o falsa, senza coinvolgere delle probabilità; quindi, se considerata in riferimento a un singolo caso preso isolatamente, la probabilità può non avere alcun significato. Eppure, se una persona dovesse scegliere tra l’estrazione di una carta da un mazzo di venticinque carte rosse e una nera, o da un mazzo di venticinque carte nere e una rossa, e se l’estrazione di una carta rossa contemplasse per lui la felicità eterna e quella di una carta nera eterno dolore, sarebbe una follia negare che dovrebbe preferire il mazzo con più carte rosse, anche se per la natura del rischio non potesse ripeterlo. Non è facile riconciliare questo fatto con la nostra analisi del caso”. La risposta data da Peirce è degna di nota. “L’inevitabile conclusione mi sembra essere che la logicità richiede inesorabilmente che i nostri interessi non siano limitati. Non devono fermarsi al nostro destino personale, ma comprendere l’intera comunità. Questa comunità non deve a sua volta essere limitata, ma comprendere tutte le razze e gli esseri con cui possiamo entrare in relazione intellettuale mediata o immediata… Niente ci impedisce nei fatti di nutrire la speranza, o il pacato e benevolo augurio, che la comunità possa durare oltre qualunque limite prefissato”». «Un uomo solitario e burbero come Peirce sosteneva che il “ragionamento presuppone un sentimento sociale”. Nella sua prima serie importante di saggi leggiamo che “questa concezione comporta essenzialmente la nozione di una COMUNITÀ, senza limiti definiti e capace di un aumento indefinito nella conoscenza”» (ivi, p. 318).

 

«Solo i rendiconti bancari e i registri dei crediti sono esatti, diceva Peirce, non le costanti della natura. Smettiamola di cercare di modellare il mondo, come abbiamo fatto fin dai tempi di Descartes, come se fossimo dei bottegai. Le “costanti” sono solo delle variabili soggette al caso che si sono stabilizzate nel corso dell’evoluzione delle leggi» (ivi, p. 321). «La nostra capacità di compiere ricerche di natura astratta è frutto dell’evoluzione, ma il suo valore è irrilevante per la sopravvivenza. Dovremmo piuttosto pensare che le capacità mentali si evolvano parallelamente all’evoluzione delle leggi dell’universo. Queste ultime possono essere scoperte perché le nostre menti si sono evolute allo stesso modo. Peirce chiamava tutto questo “amore evolutivo”» (ivi, pp. 321-322).

 

È l’amore di Justus von Liebig che nel 1844 «supplica i suoi contemporanei: “Colui che non trova più posto al tavolo della società, non si rassegna così semplicemente a morire di fame; in piccolo diventa ladro o assassino, o emigra in massa, o diviene un conquistatore. Ogni pagina nella storia del mondo mostra il terrificante effetto di questa legge tremenda nei fiumi di sangue con cui l’uomo dovette abbeverare la terra, che non riusciva a mantenere feconda”. Il compito dei tempi futuri è mantenere la fecondità del campo e aumentarla, e far cessare le stragi degli uomini!». «I suoi Chemische Briefe, a partire dal 1844, nel supplemento della «Allgemeine Zeitung» edita da Cotta, diventano esemplari per la cultura tedesca». «“La chimica parla un linguaggio incomprensibile, in latino e tedesco, ma nella bocca di Liebig diviene capace di esprimersi”» (F. Heer, Europa madre delle rivoluzioni, Milano, Il Saggiatore, 1968, vol. II, p. 545). «Nel 1870, gravemente ammalato, scrive: “Trovo che tutto è ordinato con sì infinita saggezza, che la questione di che cosa sarà di me dopo la fine della vita non m’interessa per nulla. Ciò che sarà di me, sarà certo il meglio, sono semplicemente tranquillo”» (ivi, p. 546). La tranquillità del cittadino di «“una COMUNITÀ, senza limiti definiti e capace di un aumento indefinito nella conoscenza”» (Hawking, The Taming of Chance, cit., p. 318).

 

«Di fatto, in questo tempo ansioso, il futuro si colora delle più diverse e smisurate speranze: quante ne propone un mondo che – solo apparentemente globalizzato – resta, come scrisse Antonio Gramsci, sempre e ancor più di prima “grande e terribile”» (Prosperi, Tremare è umano, cit., p. 149). Tra globalismo e sovranismo che pretendono di salvarlo l’uno dall’altra, ma sono due varietà dello stesso odio per i diritti e le libertà di noi cittadini della COMUNITÀ mondiale, la sola che può domare il caso della pandemia. A fatica la stiamo costruendo in UE, eredi di peste nera, guerre di religione, Leviatano, leggi di sterilizzazione e eutanasia di massa, campi di sterminio, due guerre mondiali e vari genocidi. Oggi invischiati in Libia nei campi di detenzione di rifugiati, abbiamo molta strada da fare, ma «è diventato sempre più chiaro che ciò che avviene fuori dei nostri confini non può più essere trattato come qualcosa che non ha nulla a che fare con la vita quotidiana dei nostri paesi» (I. Kershaw, L’Europa nel vortice. Dal 1950 a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2020, p. 702).

 

Contro Covid-19 dobbiamo vaccinare la COMUNITÀ-mondo, nostro interesse esclusivo e perciò inclusivo perché, Cina compresa, «lo Stato è ormai tenuto a considerare sé stesso un’impresa, tanto al suo interno che nei rapporti con gli altri stati» (P. Dardot-C. Laval, La nouvelle raison du monde. Essai sur la société néolibérale, Paris, La Dècouverte, 2010, p. 458). In competizione tra loro come i tacchini portati a spalla da Renzo, con le «teste spenzolate, le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una contra l’altra, come accade troppo spesso tra compagni di sventura» (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. 3).







 
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