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Una danza sensoriale

di Benedetta Colasanti
  Let me be
Data di pubblicazione su web 27/05/2021  

Dopo una lunga chiusura forzata, il Teatro Cantiere Florida riapre le porte a un pubblico numeroso con un evento programmatico. In scena Let me be di e con Giuseppe Comuniello e Camilla Guarino, prodotto da Fuori Equilibrio e Versiliadanza. Se lo spettacolo dal vivo è espressione non solo dell’estro dell’artista ma anche delle sfaccettature socio-politiche contemporanee, così la performance esprime mancanze collettive attraverso il vissuto personale degli interpreti.

Comuniello, privo della vista – senso apparentemente imprescindibile per la fruizione e l’esecuzione della danza contemporanea – non rinuncia né alla possibilità di esibirsi né a sedersi tra il pubblico. Oltre a essere un danzatore professionista, è assiduo spettatore: nasce proprio in platea la sua collaborazione con Camilla Guarino. Negli anni quest’ultima è andata alla ricerca di un nuovo linguaggio atto a descrivere in tempo reale una performance coreutica a un non vedente. Tale modalità descrittiva è il concetto posto alla base della drammaturgia di Let me be. Tramite espressioni, gesti e passi di danza si esprimono i corpi dei due danzatori: la loro forma, la loro interazione, i limiti dello spazio in cui agiscono.

© Federico Malvadi

Alle spalle dell’opera c’è un evidente training sensoriale basato sull’ascolto, sul tatto e sull’olfatto, che insieme rendono la vista non più fondamentale. L’azione dei danzatori è tripartita tra scoperta reciproca, esplorazione dei confini scenici, cambio di ruolo. Il rapporto tra Guarino e Comuniello si fonda su un dialogo continuo, sul dare e sul ricevere. La prima condivide ciò che vede tramite parole e contatto fisico; il secondo, una volta compresi i limiti spaziali entro i quali muoversi (e forte di un nuovo modo di osservare), traduce la voce e il gesto della compagna in codice corporeo. Il timone, inizialmente nelle mani nella danzatrice vedente, passa poi sotto il controllo del partner che la accoglie tra le sue braccia. Come un puparo, Comuniello gestisce la sua marionetta in carne e ossa ma inerme, in un passo a due ricco di pathos. Dopo averla condotta nel proprio mondo, privo dei canonici punti di riferimento, Giuseppe riporta Camilla alla vista con il gesto simbolico di liberarle il viso dai capelli.

© Federico Malvadi
© Federico Malvadi

Let me be è costruito a partire da una coscienza storico-critica della danza contemporanea. Risultano percepibili gli echi dell’opera di Virgilio Sieni, maestro di entrambi gli interpreti: si pensi per esempio a La natura delle cose, ispirato al De rerum natura di Lucrezio, in cui Ramona Caia – rappresentante Venere creatrice – appare come un fantoccio tra le braccia di quattro danzatori nonostante sia responsabile del movimento corale. Si ricordino inoltre le figure coreografiche ideate per Bach Duets, nonché una produzione più recente – Danza cieca – che vede protagonisti gli stessi Sieni e Comuniello.

A supportare la buona riuscita dello spettacolo il disegno luci di Pietro Millosevich e Gabriele Termine: l’illuminazione concorre a colmare il vuoto della scena e scolpisce i corpi conferendo loro forme sempre nuove. La colonna sonora è invece la voce di Camilla Guarino nell’atto di descrivere una performance: a cosa si riferisce? A uno spettacolo “altro”? Allo stesso Let me be? Con il riaccendersi delle luci, la platea si risveglia da uno stato emotivo a cui non è più abituata. Le tensioni si distendono e la risposta è più che positiva. Il pubblico è grato, sia di essere tornato, sia di aver compreso l’intenzione, non sempre chiara, dei danzatori.



Let me be
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