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L’amaro e amorale dongiovannismo di Don Juan

di Gabriella Gori
  Don Juan
Data di pubblicazione su web 25/05/2021  

Don Juan è uno spettacolo potente ed esplosivo che ci fa ritrovare il piacere di stare a teatro, dopo l’assenza forzata per il Covid-19, e riassaporare la magia dell’accadimento scenico con la sua rappresentazione al Teatro Metastasio di Prato. Un evento che saluta l’auspicata riapertura delle Fondazioni e vede il Metastasio ospitare in prima regionale la creazione a serata intera di Johan Inger, ideata per i danzatori dell’Aterballetto.  

Una collaborazione fra il coreografo svedese e l’importante compagnia italiana che si rinnova felicemente dopo Rain Dogs del 2013, l’assolo Birdland e Bliss (quest’ultimo vincitore del Premio Danza&Danza del 2016), in seguito assemblati nel “concerto di danza” Golden Days. Dunque un ritorno che, questa volta, mira a “mettere in ballo” la storia di Don Giovanni, diventato simbolo della gioia di vivere, dell’amore libertino, e persino di una leggerezza di spirito opposta all’austera gravità che sovrasta Amleto e all’ansia del divino che attanaglia Faust. Un’impresa non da poco, ma certo affascinante dal momento che Don Juan è forse il personaggio più teatrale della letteratura moderna e fra quelli che si prestano meglio a interpretazioni e trasposizioni operistiche di genere differente.

© Viola Berlanda e Celeste Lombardi

Una ennesima sfida che Inger affronta con cognizione di causa puntando sulla teatralità di un balletto in un atto grazie alla leggibile drammaturgia di Gregorg Acuña-Pohl e alla musica originale di Marc Álavarez, cui corrispondono le mutevoli scene di Curt Allen Wilmer, le luci chiaroscurali di Fabiana Piccioli e i variopinti costumi di Bregje Van Balen. Un complesso, studiato allestimento, supervisionato da Carlo Cerri, in cui svetta la narrazione coreografica di Inger: una modalità creativa che gli ha fatto vincere nel 2016 il Benois de la Danse per la sua Carmen.

Dancemaker colto e di fama internazionale, Inger per questo Don Juan ha tenuto presente l’archetipo secentesco El Burlador de Sivilla di Tirso di Molina, la commedia di Molière, l’opera in musica di Mozart-Da Ponte, il dramma di Brecht e la pièce di Suzanne Lifar Le Burlador, che rilegge il mito di Don Giovanni in chiave femminista. Però poi si è avvicinato a questo personaggio in modo autonomo, non «per difenderlo, ma magari per spiegarlo», arrivando a ipotizzare l’origine della sua ossessione conquistatrice. Una voracità insaziabile di fugaci rapporti che il coreografo, junghianamente, fa risalire al difficile rapporto con la Madre, o meglio al Don Juanismo che altro non è che il desiderio inconscio di ritrovare in ogni donna la figura materna.

© Viola Berlanda e Celeste Lombardi
© Viola Berlanda e Celeste Lombardi

Ma c’è di più, perché in questo Don Juan il dongiovannismo avrebbe la sua motivazione nella nascita traumatica del seduttore. L’inguaribile tombeur de femme sarebbe il frutto di una violenza e questa avrebbe segnato i rapporti tra genitrice e figlio. Lei si sarebbe trasformata in quel Commendatore, in quel Convitato di pietra inesorabile a cui Don Giovanni non può sfuggire. Lui sarebbe rimasto ossessionato dal bisogno di essere accettato e amato dalla Madre e in ogni avventura l’avrebbe ricercata, diventando vittima di sé stesso e del complesso edipico. Un uomo ambivalente, cinico e irriverente, ma anche infantile e debole, a cui fa da contraltare Leporello, ribattezzato Leo, che qui, anziché essere il servo e il complice delle sue malefatte, è il suo alter ego, l’anima pura, buona che lo vorrebbe aiutare ma fallisce nell’intento.

Tutto in questo balletto è drammaturgicamente lineare e si snoda in una catena parossistica di incontri tra il conquistatore incallito e le sue vittime, donne, mogli, fanciulle, che concorrono a delineare sempre di più il carattere di Don Juan e il suo amaro e amorale dongiovannismo. Con taglio cinematografico scorrono le scene clou: dall’apparizione iniziale della Madre, violata e puerpera, alla prima egoistica conquista femminile, Elvira, alla successiva resa di Zerlina, che tradisce il disperato Musetto il giorno delle nozze, all’autoesaltazione di Don Giovanni nell’irretire Donna Ana, insoddisfatta del marito Don Ottavio, nell’illudere la giovane Tisbea o nel violare la candida Inez. Figure femminili che ottengono da lui quello che vogliono, ovvero il piacere, e al tempo stesso ne sono vittime a eccezione dell’ingombrante Madre-Commendatore, la cui presenza aleggia quando il figlio uccide un uomo, quando immagina di possederla mentre stupra l’adolescente o nel tragico finale quando è sommerso da una pioggia di neve grigiastra.

© Viola Berlanda e Celeste Lombardi
© Viola Berlanda e Celeste Lombardi

Un’atmosfera noir accentuata dalle luci ed esaltata, per contrasto, dagli abiti colorati e dagli oggetti di scena semplici ed essenziali: la casetta di legno, la carrozzina, le maschere e soprattutto i grandi pannelli che all’occorrenza diventano materassi, pareti, palchi, piazze, voragini. “Correlativi oggettivi” di una parabola esistenziale a cui la musica si adatta perfettamente sia nella partitura originale per violino, viola, violoncello, chitarra elettrica e percussioni, sia nella sapiente ripresa delle melodie di Gluck. Sostrato e commento sonoro di una “messa in ballo” in cui la danza contemporanea, come mezzo espressivo, e la coreografia moderna, come narrazione, si fondono nel fluire dinamico di duetti e danze corali, riflesso dell’incessante ricerca dell’amore materno.

Per questo sono viscerali e soffocanti i passi a due di Don Giovanni, un intenso e bravissimo Saul Daniele Ardillo, con la dolorosa Madre di Ina Lesnakowski; intriganti e mossi sono invece quelli con le sue conquiste: la fiduciosa Elvira di Estelle Bovay, la dolce Zerlina di Sandra Salietti Aguilera, la disinvolta Dona Ana di Ivana Mastroviti, la volitiva Tisbea di Martina Forioso, la fiduciosa Inez di Arianna Kob. E altrettanto diversificati sono i duetti al maschile: quello del protagonista con il suo doppio Leo, un elegante e nobile Philippe Krazt che si scontra con la fisicità di Ardillo, quello con il rabbioso Musetto di Giulio Pighini o quello con il virile Don Ottavio di Adrien Deléphine.

Dirompenti sono inoltre le scene di gruppo della festa di nozze e di paese in cui i sedici danzatori di Aterballetto (doveroso citare anche Matteo Fiorani, Clément Haenen, Federica Lamonaca, Roberto Tedesco, Hélias Tur-Dorvault, Minouche Van De Ven) fagocitano lo spazio e catturano lo spettatore visivamente ed emotivamente con una danza maschia, muliebre e transgender. Un ballo inarrestabile fatto di gesti e pose en dedans ed en dehors, di passaggi à la seconde, di grovigli di braccia e gambe, di salti, di guizzi fulminei, di cadute e riprese, che spingono al massimo la tecnica contemporanea in un balletto di azione e in azione, interpretato da formidabili ballerini e salutato da applausi calorosi e convinti.



Don Juan
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