C'era già stato nel 1986 un tentativo da parte di Sergio Nasca (con lausilio di Piero Chiara) di trasporre sullo schermo la vita di Gabriele DAnnunzio. Ora Gianluca Jodice, napoletano classe 1973, esordisce alla regia del lungometraggio cinematografico ripercorrendo gli ultimi anni del poeta pescarese fino alla sua dipartita, avvenuta soltanto pochi mesi prima della storica visita di Hitler a Roma nel 1938, episodio rievocato anche nel capolavoro di Ettore Scola Una giornata particolare (1977). Chi si aspetti un biopic puro su DAnnunzio rimarrà deluso: la pellicola prevede una tripartizione narrativa (i due protagonisti, poeta e spia, insieme al contesto storico-sociale) destinata a confluire in un unico fatale destino.
Una scena del film Come
in numerosi celebri esempi nei quali le grandi figure della Storia vengono
raccontate attraverso occhi “altri” (stratagemma usato per una maggiore
originalità), le sorti dannunziane sono filtrate dallesperienza del giovane bresciano
Giovanni Comini (Francesco Patanè), neopromosso segretario
federale. Per via della sua formazione accademica, nel 1936 Comini viene
convocato a Roma dagli eminentia papavera del Regime – tra cui il segretario
del Partito Nazionale Fascista Achille Starace (Fausto Russo Alesi)
– che gli ordinano di trasferirsi presso il Vittoriale degli Italiani, dimora
di DAnnunzio (Sergio Castellitto). Questi, da anni discostatosi dallideologia
fascista, rappresenta per i gerarchi unincombente minaccia a causa della sua
influenza sullopinione pubblica, potenzialmente dannosa ai fini dellalleanza
di Mussolini con il suo omologo tedesco, definito dal Vate «ridicolo
nibelungo». La missione di Comini è quella di riportare ai propri superiori
tutte le conversazioni e le pianificazioni antimilitariste intercettate nella
sfarzosa residenza sita a Gardone Riviera.
La
storia ha inizio circa quattordici anni dopo la Marcia su Roma: la vicenda di
Comini-DAnnunzio risulta essere fin da subito un mero pretesto per far luce
sullipocrisia dellideologia fascista e sulle modalità in cui essa subdolamente
è riuscita a infiltrarsi in tutti gli strati della popolazione (ci sono i
cinegiornali anche prima dei film Disney!), trasformando gli “italiani brava
gente” (citando Giuseppe De Santis) in delatori, giustizieri e
vigliacchi. Le continue frecciatine sarcastiche dellartista al Regime hanno unessenza
profetica (con il senno di poi). Latmosfera crepuscolare e fatiscente che si
respira nella paura delle persone, nelle torture, nella paranoia è ben lungi
dallimmaginario cui ancora oggi viene associato il poeta di Pescara, un tempo ambasciatore
dellestetismo al pari di Joris-Karl Huysmans, che nel suo romanzo À
rebours (1884) scrive di un giovane aristocratico che per diletto fa
incastonare una serie di pietre preziose sul carapace di una tartaruga,
portandola alla morte.
Una scena del film
Limpianto
registico risulta misurato e gestito con prudenza (il cosiddetto “passo lungo
quanto la propria gamba”), complice anche il fatto che Jodice non è proprio di
primo pelo: una nota di merito rispetto a esordi sovrabbondanti di virtuosismi spesso
fini a sé stessi. Nel reparto attoriale quello che allinizio convince poco per
poi riscattarsi è il giovane Patané, abbastanza distante dallideale physique
du rôle di un federale. Tuttavia, la riuscita della sua interpretazione sta
proprio nel contrasto tra il terribile ruolo affidatogli e quel suo viso glabro
e innocente. Altra punta di diamante dellintera produzione è la fotografia di Daniele
Ciprì, che desatura le
immagini virando su un funereo bianco e nero, le uniche tonalità che si
addicono al Ventennio (il cineasta palermitano aveva già condotto unoperazione
simile in Vincere di Marco Bellocchio, 2008). Uniche note dolenti sono riconducibili alla sceneggiatura
– con alcune semplificazioni nella costruzione di personaggi (senza spessore) e
vicende (tra piattezza e approssimazione) – e alla scenografia troppo fugace, superficiale
e frettolosa del Vittoriale, che dovrebbe avere un ruolo centrale, rispetto
alle più che riuscite location di architettura razionalista fascista.
Una scena del film
Lattenzione
tutta, come prevedibile, è rivolta a un Castellitto che, coadiuvato da un
notevole lavoro sul trucco (Teresa Patella e Roberto Pastore) e
sui costumi (Andrea Cavalletto), restituisce quellaura spettrale di
anima errabonda, con lo sguardo vitreo, che si aggira per la regale, decadente dimora.
Lattore romano alterna brillantemente momenti di lucidità e di delirio, “apollineo”
e “dionisiaco”, come i personaggi di Maria e di Elena ne Il piacere (1889).
Ancor più che sulla figura delluomo-poeta il film si sofferma sulluomo-combattente,
rappresentante di una Resistenza ante litteram, che usa come arma le
parole, un po come Pessoa con Salazar o Neruda con Pinochet.
Quindi a una più attenta lettura, lopera di Jodice si impone come una efficace
riflessione sulla figura dellartista impegnato che, nonostante viva in una
gabbia doro, continua imperterrito ad agire, a voler capire, a voler cambiare. In
Italia (ma non solo) i filoni dei film biografici e di genere sembrano ormai
aver preso il volo. Un grande merito di questa nuova tendenza produttiva nel
Belpaese va proprio a figure come Andrea Paris e Matteo Rovere, promettenti produttori di società quali Ascent Film e Groenlandia. Memento audere semper!
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