drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Ricordo di Marco Sciaccaluga

di Alessandro Tinterri
  Marco Sciaccaluga
Data di pubblicazione su web 17/03/2021  

Il Teatro della Corte di Genova si è riaperto per salutare il suo amato figlio. Mentre su un grande schermo scorrevano le immagini di una vita, nella massima compostezza e nel rispetto delle norme imposte dall’emergenza sanitaria, strettamente contingentati affluivano quanti erano venuti a salutare Marco Sciaccaluga (Genova, 21 agosto 1953-ivi, 10 marzo 2021), uomo di teatro. Fuori, le canzoni dei Beatles accoglievano chi era in attesa di poter accedere al foyer del teatro. Molti gli allievi della scuola di recitazione, che lui dirigeva, nella quale si era diplomato. Quella di Marco Sciaccaluga è, infatti, la storia di una lunga fedeltà al Teatro di Genova, dagli anni del suo apprendistato teatrale sino alla condirezione con Carlo Repetti, da poco scomparso: il teatro si può ben dire fosse la sua casa, condivisa per anni con la moglie, la scenografa Valeria Manari, scomparsa prematuramente nel 2008, allieva di Lele Luzzati, e madre dei suoi figli, Carlo, Giovanni e Caterina.

Svet. La luce risplende nelle tenebre, 2007

Sciaccaluga amava definirsi figlio di abbonati, in quanto genitori e nonni erano tutti appassionati di teatro. A nove anni la nonna lo porta per la prima volta al Teatro Carlo Felice, a vedere Il ratto dal serraglio di Mozart; l’anno dopo, ancora in compagnia della nonna, il piccolo Marco assiste al suo primo Goldoni allo Stabile di Genova: I due gemelli veneziani, regia di Luigi Squarzina e scene di Gianfranco Padovani, interpretazione magistrale di Alberto Lionello, «attore immenso», come ebbe a definirlo Squarzina. Al teatro Sciaccaluga si accosta subito dopo la maturità classica, quando, insieme con il compagno di classe Massimo Mesciulam, prende a frequentare il primo nucleo di quella scuola di recitazione, diretta da Anna Laura Messeri, che tanti talenti ha forgiato: da Tullio Solenghi a Massimo Lopez, da Enrico Campanati a Elisabetta Pozzi, dai fratelli Origo, Enrica e Francesco a Ugo Dighero, da Valerio Binasco a Orietta Notari, alcuni dei quali hanno preso strade diverse come Maurizio Crozza e Carla Signoris, Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, e l’elenco potrebbe continuare a lungo.

Ma oltre al teatro, Sciaccaluga coltiva anche altri interessi, su tutti gli scacchi e il cinema. Insieme con Enrico Ghezzi e Marco Giusti, Teo Mora e Renzo Trotta, altri compagni di liceo, diviene assiduo frequentatore di Filmstory, storico cineclub genovese, creato da Sandro Ambrogio, composto da due salette, la sala Ford e la De Mille, di poche decine di posti ciascuna, dove matura la sua passione per il grande cinema hollywoodiano di Ford, Walsh, Hitchcock, Lang e Lubitsch, e per il cinema francese di Truffaut, Chabrol

Neodiplomato, viene scritturato con contratto triennale da Ivo Chiesa, entrando così a far parte di quell’allegra brigata di attori che caratterizzò gli anni della condirezione dello Stabile genovese di Squarzina, coincidenti con il periodo della sua maturità artistica. Una piccola parte nella compagnia goldoniana de La casa nova e poi nel ’74, poco più che ventenne, il debutto nella regìa con la Cooperativa Teatro Aperto ne Il perdono reale di John Arden e Margaretta D’Arcy, spettacolo pieno di freschezza e di brio, con Gianni Fenzi, Mara Baronti, Sebastiano Tringali… Ed ecco già l’anno seguente presentarglisi la grande occasione, una sorta di secondo debutto come regista, questa volta in una grande produzione del Teatro Stabile di Genova, Equus di Peter Shaffer, grande successo di Londra e di New York, dove era stato interpretato da Anthony Hopkins e poi da Tony Perkins, che in Italia tiene il cartellone per tre stagioni, con Eros Pagni, protagonista nei panni del dottor Dysart, e un debuttante Giovanni Crippa. Lo spettacolo ha grande risonanza, cui certo contribuisce la curiosità destata dalla scena di nudo integrale, maschile e femminile.

Marco Sciaccaluga alla scuola di recitazione
© Ph Pitto

Nel bel libro intervista di Roberto Iovino (altro compagno di scuola), Marco Sciaccaluga e il Teatro (Genova, De Ferrari, 2019), Equus viene ricordato da Sciaccaluga con un misto di riconoscenza e di autoironia: «Come dico sempre scherzosamente ai ragazzi della Scuola, avete davanti a voi un enfant prodige che alla vostra età aveva già fatto tre regie e da lì è cominciato il lento e inevitabile e dignitoso declino. Nel senso che non sono diventato Mozart: è un destino che si deve accettare!» (p. 23).

Dopo vengono Il complice (1977) di Dürrenmatt (una sua passione, di cui nel 1989 avrebbe messo in scena anche I fisici e, nel 2015, Il matrimonio del signor Mississippi), Le intellettuali (1978) di Molière, nella traduzione di Cesare Garboli, il Čechov degli atti unici, Fremendo, tra le lacrime, sul punto di morire! (1979), sino al successo de La bocca del lupo (1980), riduzione teatrale del romanzo di Remigio Zena, spettacolo corale, con le scene di Gianni Polidori, al centro del quale si staglia una straordinaria Lina Volonghi, affiancata dalla giovane Elisabetta Pozzi. Nei decenni a seguire le regie di Sciaccaluga si sarebbero inanellate l’una dopo l’altra, in una lunga teoria, sino a raggiungere il ragguardevole traguardo di centocinquanta spettacoli. Impossibile citarli tutti; meglio, dunque, lasciare la scelta a Sciaccaluga stesso, che, invitato dal suo intervistatore a scegliere cinque titoli, oltre al già citato Equus, fuori dal conteggio, ai primi due posti «per mille ragioni anche di natura personale» (le scenografie di entrambi erano di Valeria Manari) seleziona Morte di un commesso viaggiatore (2005) di Miller, con un intenso Eros Pagni e la brava Orietta Notari, a incarnare la coppia protagonista (interpretata da Paolo Stoppa e Rina Morelli nella storica edizione di Visconti) e Re Lear (2008), spettacolo ambientato in uno scenario barbarico di grande efficacia e originalità, nella traduzione di Edoardo Sanguineti; cui aggiunge Un mese in campagna (1996) di Turgenev, Svet. La luce splende nelle tenebre (2007) di Tolstoj e Un nemico del popolo (2002) di Arthur Miller (da Ibsen), nella traduzione di Masolino d’Amico.

Quello con Squarzina, il primo maestro, è «un incontro fondamentale». È lui a fargli il provino che gli apre le porte dello Stabile genovese. Subito dopo i due si trovano per caso a Venezia, dove hanno appena visto Sogno di una notte di mezza estate nella regia di Peter Brook. Sciaccaluga riporta con tenerezza il commento di Squarzina: «Hai visto che roba? Ci tocca cambiare mestiere. Tu sei ancora in tempo» (Marco Sciaccaluga e il Teatro, cit., p. 30). «Squarzina – ricorda Sciaccaluga – aveva in particolare un’attitudine straordinaria, quella dell’analisi. Ancor prima di essere un regista era un intellettuale. Lo chiamavano, non a caso, il professore. Le prime prove di uno spettacolo si fanno a tavolino: in quelle riunioni il regista spiega il testo, il significato, la struttura. Ebbene, tenute da Squarzina erano delle lezioni indimenticabili. Poi, magari, quando andava in scena, denotava qualche rigidità: a me, ad esempio, come spettatore piaceva di più Strehler. Sentivo che lì c’era una poesia, un’arte che in Squarzina ritrovavo solo in alcuni momenti. Era un bravo direttore di attori. E ha avuto la fortuna di lavorare con un gruppo straordinario. E poi ha affrontato un teatro di notevole importanza, penso a tutta la stagione del teatro civile e poi ai suoi Goldoni che rimangono nella storia del teatro italiano» (ivi, pp. 27-28). Per tre anni Marco lo affianca come assistente, divenendo il suo allievo prediletto.

Dopo di allora Sciaccaluga avrà molte altre occasioni di osservare i grandi registi della scena europea, da Luca Ronconi a Terry Hands, da Otomar Krejca a Matthias Langhoff, invitati come registi ospiti al Teatro di Genova, di cui è regista stabile. Ogni volta, con umiltà intellettuale, si mette a loro disposizione, li affianca, si pone in ascolto, li osserva da vicino e impara, sa che non si finisce mai di imparare. A sua volta verrà chiamato da compagnie private o all’estero, a Rotterdam, a Spalato, a Zagabria…

Un nemico del popolo, 2002

Ma il maestro cui più si lega è Benno Besson, l’allievo prediletto di Brecht, il regista svizzero che ha scelto liberamente di restare per venti anni a lavorare nella Germania Est, dove ha diretto i più importanti teatri di Berlino est, dalla Volksbühne al Deutsches Theater. Preceduto da tanta fama, Besson viene chiamato a inaugurare il Teatro della Corte nel 1991 con Mille franchi di ricompensa di Victor Hugo, per poi firmare altre sei regie per il teatro genovese. Dopo il Brook di Sogno di una notte di mezza estate, tra gli spettacoli che più lo avevano impressionato negli anni di gioventù, Sciaccaluga ricorda L’anima buona di Sezuan nella regia di Besson, vista nel 1972 al Politeama Genovese, allora, con il Duse, appartenente al Teatro Stabile di Genova, in una tappa della tournée italiana della Volksbühne. L’incontro si rivela per Sciaccaluga non meno fondamentale di quello con Squarzina.

Con Besson, riscopre il piacere del gioco del teatro ed è sotto la sua direzione che torna a fare l’attore: «Ho recitato tre volte con Besson, la prima è stata in Hamlet, poi Moi di Labiche e, infine, Il Tartufo. E con Hamlet era la prima volta che tornavo a recitare. Ora, non siamo qui a parlare di me, ma da questo punto di vista Besson ha dato moltissimo a questo teatro, ci ha dato un patrimonio immenso di memoria, che affiora continuamente, anche lavorando con gli attori, la seconda ragione, più personale, è che ho avuto l’onore di assisterlo, di fare un po’ da traduttore in tutti gli allestimenti genovesi e per me è stata una straordinaria avventura. Terza ragione, ancora più personale, mi ha aiutato in un momento in cui ero un po’ in crisi con il teatro. […] Vivevo il mio mestiere di regista con una preoccupazione e un’angoscia […] tanto che avevo seriamente pensato di smettere, avevo circa quarant’anni e per un attimo pensai di cambiare mestiere […]. Così chiesi a Besson di darmi una parte, dicendogli che se non fosse stato contento si sentisse libero di dirmelo dopo una settimana. E io gli devo molto, primo perché accettò e poi per come mi ha aiutato a vincere la scommessa» (Il viaggio in Italia di Benno Besson, Perugia, Morlacchi, 2006, p. 171). È in interviste come questa che emerge tutta l’onestà intellettuale di Sciaccaluga.

Nel solco della tradizione instaurata da Silvio d’Amico nella sua Accademia d’Arte Drammatica, di cui Squarzina è stato uno dei primi e più riusciti allievi, Sciaccaluga è un regista-interprete, abituato a scavare nel testo come un «minatore ostinato» e a confrontarsi con i classici della letteratura drammatica di tutti i tempi. Li considera voci che, anziché venire dal passato, vengono dal futuro: profeti la cui geniale intuizione dell’animo umano, colto nella sua essenza, li proietta naturalmente nel futuro. Ed è questa proprietà che ce li fa sentire contemporanei. Dalle profondità di quelle miniere Sciaccaluga riporta alla luce altre esperienze e sempre nuove conoscenze, da condividere con gli allievi: percorsi critici dell’intelligenza che restano nei volumi della collana dei testi degli spettacoli, editi dal Teatro di Genova.

Re Lear, 2008

In questa prolungata chiusura dei teatri, Sciaccaluga, cui la vita non aveva risparmiato prove severe, se n’è andato con discrezione, dopo una lunga battaglia con la malattia, condotta in dignità, cercando sino all’ultimo di contrastarla, soprattutto per amore dei figli, lui che troppo presto si era trovato orfano dei genitori. Presente sino all’ultimo nel sito del Teatro Nazionale di Genova con racconti, aneddoti, perle di saggezza teatrale, ha affidato al web (YouTube, #raccontiintempodipeste) – quasi un messaggio nella bottiglia per tutti, attori e spettatori – una poesia della Szymborska, Impressioni teatrali, che si conclude così: «Ma davvero sublime è il calare del sipario / e quello che si vede ancora nella bassa fessura: / ecco, qui una mano si affretta a prendere un fiore, / là un’altra afferra la spada abbandonata. / Solo allora una terza, invisibile, / fa il suo dovere / e mi stringe la gola».



 



Marco Sciaccaluga con Valeria Manari e Matthias Langhoff

 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013