Svet.
La luce risplende nelle tenebre,
2007
Sciaccaluga
amava definirsi figlio di abbonati, in quanto genitori e nonni erano tutti
appassionati di teatro. A nove anni la nonna lo porta per la prima volta al
Teatro Carlo Felice, a vedere Il ratto
dal serraglio di Mozart; lanno dopo, ancora in compagnia della
nonna, il piccolo Marco assiste al suo primo Goldoni allo Stabile di
Genova: I due gemelli veneziani,
regia di Luigi Squarzina e scene di Gianfranco Padovani,
interpretazione magistrale di Alberto Lionello, «attore immenso», come
ebbe a definirlo Squarzina. Al teatro Sciaccaluga si accosta subito dopo la
maturità classica, quando, insieme con il compagno di classe Massimo
Mesciulam, prende a frequentare il primo nucleo di quella scuola di
recitazione, diretta da Anna Laura Messeri, che tanti talenti ha
forgiato: da Tullio Solenghi a Massimo Lopez, da Enrico
Campanati a Elisabetta Pozzi, dai fratelli Origo, Enrica
e Francesco a Ugo Dighero, da Valerio Binasco a Orietta
Notari, alcuni dei quali hanno preso strade diverse come Maurizio Crozza
e Carla Signoris, Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, e
lelenco potrebbe continuare a lungo.
Ma
oltre al teatro, Sciaccaluga coltiva anche altri interessi, su tutti gli
scacchi e il cinema. Insieme con Enrico Ghezzi e Marco Giusti, Teo
Mora e Renzo Trotta, altri compagni di liceo, diviene assiduo
frequentatore di Filmstory, storico cineclub genovese, creato da Sandro
Ambrogio, composto da due salette, la sala Ford e la De Mille, di poche
decine di posti ciascuna, dove matura la sua passione per il grande cinema
hollywoodiano di Ford, Walsh, Hitchcock, Lang e Lubitsch,
e per il cinema francese di Truffaut, Chabrol…
Neodiplomato,
viene scritturato con contratto triennale da Ivo Chiesa, entrando così a
far parte di quellallegra brigata di attori che caratterizzò gli anni della
condirezione dello Stabile genovese di Squarzina, coincidenti con il periodo
della sua maturità artistica. Una piccola parte nella compagnia goldoniana de La casa nova e poi nel 74, poco più che
ventenne, il debutto nella regìa con la Cooperativa Teatro Aperto ne Il perdono reale di John Arden e Margaretta
DArcy, spettacolo pieno di freschezza e di brio, con Gianni Fenzi, Mara
Baronti, Sebastiano Tringali… Ed ecco già lanno seguente
presentarglisi la grande occasione, una sorta di secondo debutto come regista,
questa volta in una grande produzione del Teatro Stabile di Genova, Equus di Peter Shaffer, grande
successo di Londra e di New York, dove era stato interpretato da Anthony
Hopkins e poi da Tony Perkins, che in Italia tiene il cartellone per
tre stagioni, con Eros Pagni, protagonista nei panni del dottor Dysart,
e un debuttante Giovanni Crippa. Lo spettacolo ha grande risonanza, cui
certo contribuisce la curiosità destata dalla scena di nudo integrale, maschile
e femminile.
Marco Sciaccaluga alla scuola
di recitazione
©
Ph Pitto
Nel
bel libro intervista di Roberto Iovino (altro compagno di scuola), Marco Sciaccaluga e il Teatro (Genova,
De Ferrari, 2019), Equus viene
ricordato da Sciaccaluga con un misto di riconoscenza e di autoironia: «Come
dico sempre scherzosamente ai ragazzi della Scuola, avete davanti a voi un enfant prodige che alla vostra età aveva
già fatto tre regie e da lì è cominciato il lento e inevitabile e dignitoso
declino. Nel senso che non sono diventato Mozart: è un destino che si deve
accettare!» (p. 23).
Dopo vengono Il complice (1977) di Dürrenmatt
(una sua passione, di cui nel 1989 avrebbe messo in scena anche I fisici e, nel 2015, Il matrimonio del signor Mississippi), Le intellettuali (1978) di Molière,
nella traduzione di Cesare Garboli, il Čechov degli atti unici, Fremendo, tra le lacrime, sul punto di
morire! (1979), sino al successo de La
bocca del lupo (1980), riduzione teatrale del romanzo di Remigio Zena,
spettacolo corale, con le scene di Gianni Polidori, al centro del quale
si staglia una straordinaria Lina Volonghi, affiancata dalla giovane
Elisabetta Pozzi. Nei decenni a seguire le regie di Sciaccaluga si sarebbero
inanellate luna dopo laltra, in una lunga teoria, sino a raggiungere il
ragguardevole traguardo di centocinquanta spettacoli. Impossibile citarli
tutti; meglio, dunque, lasciare la scelta a Sciaccaluga stesso, che, invitato
dal suo intervistatore a scegliere cinque titoli, oltre al già citato Equus, fuori dal conteggio, ai primi due
posti «per mille ragioni anche di natura personale» (le scenografie di entrambi
erano di Valeria Manari) seleziona Morte
di un commesso viaggiatore (2005) di Miller, con un intenso Eros
Pagni e la brava Orietta Notari, a incarnare la coppia protagonista
(interpretata da Paolo Stoppa e Rina Morelli nella storica
edizione di Visconti) e Re Lear
(2008), spettacolo ambientato in uno scenario barbarico di grande efficacia e
originalità, nella traduzione di Edoardo Sanguineti; cui aggiunge Un mese in campagna (1996) di Turgenev,
Svet. La luce splende nelle tenebre
(2007) di Tolstoj e Un nemico del
popolo (2002) di Arthur Miller (da Ibsen), nella traduzione di Masolino
dAmico.
Quello
con Squarzina, il primo maestro, è «un incontro fondamentale». È lui a fargli
il provino che gli apre le porte dello Stabile genovese. Subito dopo i due si
trovano per caso a Venezia, dove hanno appena visto Sogno di una notte di mezza estate nella regia di Peter Brook.
Sciaccaluga riporta con tenerezza il commento di Squarzina: «Hai visto che
roba? Ci tocca cambiare mestiere. Tu sei ancora in tempo» (Marco Sciaccaluga e il Teatro, cit., p. 30). «Squarzina – ricorda
Sciaccaluga – aveva in particolare unattitudine straordinaria, quella
dellanalisi. Ancor prima di essere un regista era un intellettuale. Lo
chiamavano, non a caso, il professore. Le prime prove di uno spettacolo si
fanno a tavolino: in quelle riunioni il regista spiega il testo, il
significato, la struttura. Ebbene, tenute da Squarzina erano delle lezioni
indimenticabili. Poi, magari, quando andava in scena, denotava qualche
rigidità: a me, ad esempio, come spettatore piaceva di più Strehler. Sentivo che lì cera una poesia, unarte che in Squarzina
ritrovavo solo in alcuni momenti. Era un bravo direttore di attori. E ha avuto
la fortuna di lavorare con un gruppo straordinario. E poi ha affrontato un
teatro di notevole importanza, penso a tutta la stagione del teatro civile e
poi ai suoi Goldoni che rimangono nella storia del teatro italiano» (ivi, pp.
27-28). Per tre anni Marco lo affianca come assistente, divenendo il suo
allievo prediletto.
Dopo
di allora Sciaccaluga avrà molte altre occasioni di osservare i grandi registi
della scena europea, da Luca Ronconi a Terry Hands, da Otomar
Krejca a Matthias Langhoff, invitati come registi ospiti al Teatro
di Genova, di cui è regista stabile. Ogni volta, con umiltà intellettuale, si
mette a loro disposizione, li affianca, si pone in ascolto, li osserva da
vicino e impara, sa che non si finisce mai di imparare. A sua volta verrà
chiamato da compagnie private o allestero, a Rotterdam, a Spalato, a Zagabria…
Un
nemico del popolo,
2002
Ma
il maestro cui più si lega è Benno Besson, lallievo prediletto di Brecht,
il regista svizzero che ha scelto liberamente di restare per venti anni a
lavorare nella Germania Est, dove ha diretto i più importanti teatri di Berlino
est, dalla Volksbühne al Deutsches Theater. Preceduto da tanta fama, Besson
viene chiamato a inaugurare il Teatro della Corte nel 1991 con Mille franchi di ricompensa di Victor
Hugo, per poi firmare altre sei regie per il teatro genovese. Dopo il Brook
di Sogno di una notte di mezza estate, tra gli spettacoli che più lo avevano
impressionato negli anni di gioventù, Sciaccaluga ricorda Lanima buona di Sezuan nella regia di Besson, vista nel 1972 al
Politeama Genovese, allora, con il Duse, appartenente al Teatro Stabile di
Genova, in una tappa della tournée italiana della Volksbühne. Lincontro si
rivela per Sciaccaluga non meno fondamentale di quello con Squarzina.
Con
Besson, riscopre il piacere del gioco del teatro ed è sotto la sua direzione
che torna a fare lattore: «Ho recitato tre volte con Besson, la prima è stata
in Hamlet, poi Moi di Labiche e, infine, Il Tartufo. E con Hamlet
era la prima volta che tornavo a recitare. Ora, non siamo qui a parlare di me,
ma da questo punto di vista Besson ha dato moltissimo a questo teatro, ci ha
dato un patrimonio immenso di memoria, che affiora continuamente, anche
lavorando con gli attori, la seconda ragione, più personale, è che ho avuto
lonore di assisterlo, di fare un po da traduttore in tutti gli allestimenti
genovesi e per me è stata una straordinaria avventura. Terza ragione, ancora
più personale, mi ha aiutato in un momento in cui ero un po in crisi con il
teatro. […] Vivevo il mio mestiere di
regista con una preoccupazione e unangoscia […] tanto che avevo seriamente
pensato di smettere, avevo circa quarantanni e per un attimo pensai di
cambiare mestiere […]. Così chiesi a Besson di darmi una parte, dicendogli che
se non fosse stato contento si sentisse libero di dirmelo dopo una settimana. E
io gli devo molto, primo perché accettò e poi per come mi ha aiutato a vincere
la scommessa» (Il viaggio in Italia di
Benno Besson, Perugia, Morlacchi, 2006, p. 171). È in interviste come
questa che emerge tutta lonestà intellettuale di Sciaccaluga.
Nel
solco della tradizione instaurata da Silvio dAmico nella sua Accademia
dArte Drammatica, di cui Squarzina è stato uno dei primi e più riusciti
allievi, Sciaccaluga è un regista-interprete, abituato a scavare nel testo come
un «minatore ostinato» e a confrontarsi con i classici della letteratura
drammatica di tutti i tempi. Li considera voci che, anziché venire dal passato,
vengono dal futuro: profeti la cui geniale intuizione dellanimo umano, colto
nella sua essenza, li proietta naturalmente nel futuro. Ed è questa proprietà
che ce li fa sentire contemporanei. Dalle profondità di quelle miniere
Sciaccaluga riporta alla luce altre esperienze e sempre nuove conoscenze, da
condividere con gli allievi: percorsi critici dellintelligenza che restano nei
volumi della collana dei testi degli spettacoli, editi dal Teatro di Genova.
In
questa prolungata chiusura dei teatri, Sciaccaluga, cui la vita non aveva
risparmiato prove severe, se nè andato con discrezione, dopo una lunga
battaglia con la malattia, condotta in dignità, cercando sino allultimo di
contrastarla, soprattutto per amore dei figli, lui che troppo presto si era
trovato orfano dei genitori. Presente sino allultimo nel sito del Teatro
Nazionale di Genova con racconti, aneddoti, perle di saggezza teatrale, ha
affidato al web (YouTube, #raccontiintempodipeste) – quasi un messaggio nella
bottiglia per tutti, attori e spettatori – una poesia della Szymborska, Impressioni teatrali, che si conclude
così: «Ma davvero sublime è il calare del sipario / e quello che si vede ancora
nella bassa fessura: / ecco, qui una mano si affretta a prendere un fiore, / là
unaltra afferra la spada abbandonata. / Solo allora una terza, invisibile, /
fa il suo dovere / e mi stringe la gola».